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Ancora guerra
(Modernità quale fallimento)

di Antonio Stanca

Oggi avviene in modo diverso rispetto al passato perché diversa è la situazione storica, sociale, politica, economica, militare dei paesi del mondo, diversi i motivi, gli uomini ed i mezzi direttamente interessati ma è pur sempre la guerra e come sempre comporta distruzione e morte, come sempre si devasta ed uccide e bisogna farlo se si vuole vincere.

Così è stato poco fa tra Iraq e Stati Uniti-Inghilterra e interminabili sono state le notizie e soprattutto le immagini, diffuse dai mass-media, di truppe corazzate che avanzano, assaltano, di aerei che attaccano, bombardano. A qualsiasi ora del giorno si poteva assistere a quanto accadeva, scene di prigionieri, feriti, morti, d’incendi devastanti, quasi si trattasse di uno spettacolo tra gli infiniti altri ai quali la televisione ha ormai abituato. Anche i disastri risultano da essa trasformati in uno spettacolo da guardare trascurando, nel caso della guerra, che sono voluti, decisi e che questo rappresenta per una società moderna, civile, il fallimento di quanto è servito a comporla e la compone.

Com’è possibile che in tempi quali i nostri, dove nei rapporti tra gli stati prevalgono gli scambi pacifici, gli interventi diplomatici, dove si proclama a gran voce ed in continuazione che la via da seguire è quella della distensione, collaborazione, cooperazione, si giunga sistematicamente allo scontro armato? Come può succedere che tanta volontà di partecipazione, solidarietà finisca improvvisamente e ci sia bisogno di dimostrare chi è il più forte, chi dispone dei mezzi militari più nuovi, più potenti, delle armi più perfezionate, chi sa colpire meglio?

Sono domande che giungono naturali anche se è difficile rispondere. Per farlo bisogna riconoscere l’inutilità, il fallimento di ogni azione diplomatica in un mondo civile e la permanenza nell’uomo moderno, pur progredito, del bisogno primitivo di sopraffare, sconfiggere, invadere, possedere. E che gli scontri si verifichino, come generalmente avviene, tra stati di diversissima condizione economica e militare è un segnale ancor più grave poiché significa, da parte dei più potenti, cercare una facile esibizione delle raggiunte capacità belliche, una conferma del proprio protagonismo e non valutare che l’inferiorità dell’avversario può muoverlo verso azioni pericolose poiché clandestine e imprevedibili. Fare guerra all’Iraq vuol dire non considerare, tra l’altro, che si tratta di un paese di religione islamica, che questa è vissuta dalla popolazione con un fanatismo tale da indurla a gesti terroristici non limitati al momento dello scontro diretto ed ai nemici immediati. Può derivare una serie interminabile ed incontrollabile di attentati in ogni paese del mondo ad opera d’immigrati islamici ormai sparsi sull’intero pianeta e vicini, interessati alle sorti dei popoli di uguale religione. Può far entrare in guerra il mondo intero ed in una guerra senza fine. Con avversari simili non va usata la forza ma il dialogo, quello che inevitabilmente verrà dopo il conflitto. Se è necessario questo per potersi disporre a trattare, se prima e più di tutto vale la forza delle armi, se tanto si crede in essa, si deve ammettere che l’elemento selvaggio, barbaro è ancora presente nella nostra vita, nel nostro mondo, che la potenza acquisita dall’uomo grazie alla modernità ha bisogno di essere mostrata anche tramite la guerra, che a niente valgono le dolorose esperienze del passato e la dichiarata volontà di evitarle, a niente serve il diffuso bisogno di pace mostrato attraverso molte manifestazioni e gli appelli di personaggi autorevoli. Se l’uomo moderno è ancora in guerra e la ritiene un’operazione umanitaria, fatta per salvare, come appunto s’è cercato di far intendere quella avvenuta in Iraq, ha dimenticato egli che non si salva uccidendo, non ci si può dire civili e uccidere.

O si nega la civiltà o la barbarie!

E’ allarmante dover constatare d’essere giunti a simili estremi oggi, dopo che per secoli uomini e donne, di pensiero e d’azione, hanno lavorato e sofferto perché l’evoluzione s’identificasse con la civiltà e questa con la collaborazione e la pace.


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