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Laura Betti: una storia finita
(Cambiano i tempi)

di Antonio Stanca

Nata a Bologna nel 1934, Laura Betti (da Trombetti) è morta a Roma Sabato 31 Luglio 2004: aveva settant’anni. Ha esordito come cantante jazz, è stata attrice di teatro, di cinema, scrittrice, doppiatrice, regista. L’ultima sua apparizione è avvenuta nel 2001 quando, al Festival del Cinema di Venezia, presentò un film-documento sull’amico e ammiratore Pier Paolo Pasolini, che nel 1975 era scomparso tragicamente.

Da Pasolini era stata diretta in “La ricotta”, “Che cosa sono le nuvole”, “La terra vista dalla luna”, “Teorema”, col quale, ancora a Venezia nel 1968, aveva vinto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione,   e “I racconti di Canterbury”. Aveva lavorato pure, negli anni ’60 e ’70, con Rossellini, Bellocchio, i Taviani, Bertolucci, era stata anche amica di Moravia e degli altri intellettuali ed autori del gruppo romano di quegli anni. Ma con il poeta, scrittore, saggista, regista di “Casarsa” c’era stato un rapporto più lungo e più vicino: incontratisi nel 1963 non si erano più persi di vista ed erano diventati amici e collaboratori. Spirito polemico, contestatore, la Betti coltivava molti interessi e vario era il suo impegno intellettuale: per questo la notizia della morte ha colpito in modo particolare. Con lei è scomparsa una delle maggiori rappresentanti  della nostra più recente cultura teatrale, cinematografica, letteraria, una figura nella quale questa si compendiava, si riassumeva. Con la Betti è finita l’atmosfera di quell’epoca, sono finiti gli umori, le tendenze che l’hanno caratterizzata, il lavoro che ha richiesto, gli esiti raggiunti. Questa l’immagine, la sensazione più immediata che la notizia ha suscitato negli ambienti intellettuali giacché pur non essendo, quelli della Betti, Pasolini, Moravia, tempi molto lontani da noi sono tante le modifiche che la scrittura, il cinema, il teatro hanno accolto ultimamente che certi autori sembrano appartenere ad un passato ormai remoto. Essi perseguivano delle idee, dei valori, s’impegnavano per ottenerli e comunicarli tramite le opere, con loro non si distingueva tra cinema, teatro e letteratura ché uguale era lo spirito che li muoveva in ogni direzione, non si rinunciava ad un proprio messaggio per far posto a quanto richiesto dall’esterno, dalle mode. Erano ancora autori nel senso vero, autentico del termine,  la loro vita s’identificava con la loro opera e per entrambe a volte pativano incomprensioni, contestazioni, rifiuti.

Ai nostri giorni, invece, assistiamo ad una letteratura, un cinema, un teatro costretti, nei loro temi e mezzi espressivi, a disporsi verso il pubblico, ad invitarlo perché questo si è da essi quasi completamente allontanato a causa della televisione,  del computer o altro. In tal modo non solo il livello culturale ma anche la condizione sentimentale si è guastata se non ridotta o sostituita dalla logica del profitto immediato, della soluzione efficace. Del fenomeno hanno risentito e risentono anche i luoghi d’istruzione e formazione come la scuola sicché si assiste ormai ad una condizione sociale diffusa, che non distingue tra vecchi e giovani perché li vede tutti coinvolti nella ricerca di risultati concreti, di appagamenti materiali. In tale situazione l’uomo o l’opera che si poneva finalità diverse, che perseguiva valori ideali, morali, spirituali, era destinata a concludere la sua fase, a finire. Non c’è più oggi, infatti, una letteratura, uno spettacolo ma tanta letteratura, tanto spettacolo. Questo il motivo che fa apparire la Betti, il Pasolini, il Moravia personaggi di un’epoca trascorsa da molto, li trasforma in simboli di una storia finita ormai per sempre.


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