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A teatro d’eternità
(Dal mito ad oggi)

di Antonio Stanca

Del regista e autore teatrale Roberto Cavosi, nato a Merano nel 1959 e formatosi a Roma, la casa editrice Ubulibri ha recentemente pubblicato "Trilogia della luna" che comprende i drammi "Diario ovulare di Erodiade" (2001), "Anima errante" (2001) e "Bellissima Maria" (2003). Sono lavori recenti e l’ultimo è attualmente in tournée in Italia per la regia di Sergio Fantoni. In essi l’autore ha mostrato di voler intraprendere un nuovo corso giacché finora il suo impegno era stato rivolto a rappresentare la condizione umana nella dimensione sociale, politica, storica e centrali erano risultati i temi della ghettizzazione, mafia, terzo mondo, emigrazione. Invece, in tali ultimi lavori, Cavosi tratta della vita interiore dell’uomo, di quanto avviene nella sua coscienza ed in tal modo lo libera dai confini di una particolare situazione storica o geografica e ne estende la figura e il significato. Rappresentando i pensieri, i sentimenti del suo eroe, egli permette che in essi si riconosca un’umanità più ampia nello spazio e nel tempo. Ha continuato, tuttavia, pur in questa nuova fase ad utilizzare dei motivi comparsi nella sua opera fin dall’inizio quali il collegamento con esempi offerti dalla mitologia, dalla storia sacra o profana, e la concentrazione della vicenda intorno alla figura femminile poiché ritenuta più completa, più "universale" della maschile. Ma piuttosto che recuperare e ammodernare eventi di carattere generale Cavosi rappresenta ora casi particolari, intimi, che dall’uomo del passato, mitologico, storico, sono giunti fino a quello dei nostri tempi. In "Erodiade" ha voluto rivivere, in chiave moderna, la storia dell’oscena moglie di Erode Filippo che si unisce al fratellastro di lui, in "Anima errante" Maria, madre di Cristo, è divenuta Sara, in "Bellissima Maria", che viene unanimamente giudicato il più riuscito dei tre drammi, è ripercorso il mito di Fedra e del suo amore per il figliastro Ippolito. I personaggi del mito sono ora Ottavia Piccolo (Fedra–Maria), Ivano Marescotti (Teseo-Rocco), Fausto Marciano (Ippolito-Patrizio). Trasposta in un’ambientazione nuova, attuale, la vicenda assume altri aspetti, ha diversi esiti e in "Bellissima Maria" il marito-padre (Rocco) viene ucciso dal figlio-amante (Patrizio) sotto gli occhi della moglie-matrigna-amante (Maria). Eliminato l’ostacolo i due pensavano che sarebbero stati più liberi di manifestarsi, scambiarsi il proprio amore, i propri desideri e piaceri ma si sentono perseguitati dal ricordo dello scomparso, inseguiti dalla sua ombra, dibattuti tra l’orrore per l’azione criminosa e l’estasi che dai loro corpi proviene alla loro anima.

Dall’inizio alla fine della rappresentazione si assiste ad una scena quasi unica animata dai protagonisti che, pur in ambienti diversi della casa, saranno sempre presenti con i loro dialoghi rapidi, concisi, sentenziosi, le loro ossessioni, allusioni, la loro ricerca d’evasione, i loro rimorsi, la loro ansia di riscatto. Il dramma risulta sofferto soprattutto dai due uomini, uno per essere stato tradito, l’altro per aver ucciso, mentre Maria ne sarà afflitta di meno perché, "bellissima", crederà di trovare continue risorse per ogni problema nel piacere della bellezza, nella vista, nel godimento di essa. Tra posizioni che si scontrano per poi avvicinarsi e di nuovo differenziarsi si svolge il percorso dell’opera così articolato e incerto da non far prevedere alcuna soluzione e lasciare esterrefatti quando, alla fine, si saprà che la figura del padre-marito, tanto presente sulla scena, non era vera. Egli è morto da tempo, ucciso s’è detto, e la sua è stata soltanto l’immagine personificata del ricordo che perseguita i due amanti, la proiezione della loro coscienza. Era presente perché così era nei loro pensieri e così Cavosi ha pensato di esprimerli procurando all’opera un’atmosfera da thriller, una situazione ancor più sospesa di quella creatasi prima della scoperta. Passato e presente, bene e male, amore e odio, vita e morte sono gli elementi tra i quali la storia di Maria si svolge senza approdare ad alcun esito o riferimento sicuro, unico e rimanendo costantemente esposta alle più diverse soluzioni. Ci sono, tuttavia, pur tra tanta indefinizione dei motivi che ritornano, risaltano e fanno del dramma un caso diverso dalla diffusa produzione teatrale, italiana e straniera, contemporanea generalmente incline al catastrofismo. Traspaiono in questa, come nelle altre due opere contenute nel volume, una volontà di recupero, di redenzione dal male, un’aspirazione al bene, alla salvezza, che distinguono l’autore da molti altri dei nostri giorni poiché lo mostrano propenso a risolvere lo stato di smarrimento rappresentato, a riportarlo entro i termini del razionale, del logico. Inoltre i richiami al mito, anche se sottesi, evidenziano come egli cerchi, nel passato più lontano, le tracce, i segni di quanto succede ora, come tenda a provare, stabilire una continuità tra l’uomo antico e il moderno, a dimostrare i loro caratteri come eterni, ad estendere la loro figura e identificarla col messaggio e significato dell’opera.

Se nella spregiudicata cucitrice di abiti da sposa, Maria, è riconoscibile la crudele figlia di Minosse e Pasifae, Fedra, se i rimorsi di Patrizio possono essere accostati alle resistenze opposte da Ippolito alla matrigna, significa che la vita, la storia si sono continuate, ripetute fino a noi, che in esse il bene è rimasto distinto dal male ed in lotta con esso. E se c’è ancora impegno, come quello del Cavosi, a rappresentare questa lotta significa che essa, pur avendo percorso i secoli, ancora vale, che è divenuta costitutiva dell’umanità, della sua eternità.


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