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Cultura quale spettacolo
(Ai nostri giorni)

di Antonio Stanca

 

Musica (rock, pop, punk, dub, elettronica) e cinema ( thriller, fantascienza, guerra, sesso, suspence, giallo, action), interminabili programmi di concerti, colossali preparazioni o imminenti proiezioni di film: sono queste le notizie che ormai occupano la maggior parte degli spazi dedicati alla cultura sia nei giornali quotidiani sia nei settimanali. Tra esse compaiono anche altre relative alla pubblicazione di libri, soprattutto narrativa, le recensioni che li riguardano ma lo spazio e l’importanza attribuiti a queste sono sempre più ridotti.

Si scrive di meno o la scrittura vale sempre meno per il grosso pubblico rispetto alla produzione di spettacoli musicali o cinematografici? E’ verso la seconda di tali ipotesi che si dovrebbe propendere visto che oggi si scrive molto più che in passato.La scrittura sembra divenuta una possibilità concessa a tutti e questo ha fatto sì che quella d’autore si allontanasse fino a scomparire dalla scena pubblica, che lasciasse il posto ad infinite altre disposte a soddisfare ogni interesse di chi scrive e di chi legge. I due si sono ritrovati tanto uniti nei gusti da poter dire che l’uno produce per l’altro e generalmente è questo il tipo di scrittura presentata dalla stampa: libri che cercano effetti sorprendenti, sensazionali, che tendono ad impressionare, a colpire l’immaginazione con storie eccezionali, inconsuete, irreali, inspiegabili, misteriose. Siamo sulla linea seguita dall’attuale attività musicale e cinematografica, quella degli effetti shock, sempre nuovi e sempre strabilianti, perché questo è divenuto il modo più idoneo per giungere al pubblico, per entusiasmarlo, coinvolgerlo. Tuttavia pur rispetto a tale scrittura la musica e il cinema rimangono i generi preferiti ed il fenomeno segnala una chiara riduzione, presso il pubblico contemporaneo, dell’interesse per la lettura ed un aumento di quello per lo spettacolo.

Si legge di meno e si ascolta, si vede, si guarda di più: avanza l’idea d’imparare tramite l’immagine, la sua visione, si diffondono il senso, il costume dell’assistere, si procede verso una cultura intesa non come formazione della personalità ma come informazione, conoscenza di quanto accade vicino e lontano, si tende a non distinguere tra pubblico adulto o giovane, maschile o femminile essendo uguali tra loro i propositi, i bisogni.

Questo sta avvenendo ai nostri giorni: è un processo inarrestabile, irreversibile, un portato dei tempi al quale hanno finito col cedere anche gli ambienti preposti alla formazione quali la scuola. Essa si va sempre più disponendo verso l’esterno, il quotidiano. Non intende distinguersi, educare, formare in nome di valori superiori al contingente, all’immediato ma adattarsi alla realtà, accoglierla in tutti i suoi aspetti. Nella scuola come nella società si vuole vivere solo del presente, di quanto lo compone, trasmettere le immagini di questo, preparare perché in esso ci s’inserisca. Cambia, s’è detto, il concetto di cultura giacché perde quanto finora l’aveva costituito e che gli giungeva soprattutto dal passato, smarrisce ogni principio ideale per trasformarsi nella concreta, precisa conoscenza di ciò che avviene intorno, nella volontà di sentirsi coinvolti in esso, partecipi del suo movimento.Vivere il proprio tempo, la propria storia è divenuto più importante che avere coscienza di essi, intervenire su di essi, aspirare a modificarli. Sembra così ricco, così completo il presente da far pensare che niente si debba aggiungere o correggere e non resti che accettarlo quale valore unico, assoluto. Una realtà, la nostra, che dovrebbe valere più di tutto e per tutti. Strano, incomprensibile sarebbe rimanervi fuori, non adoperarsi per essere in essa inseriti.

Il mondo ha finito per vincere sull’uomo che lo ha costruito, per annullarlo facendogli credere di essere un protagonista.


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