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Carnevale da Nobel
(Un caso difficile)

di Antonio Stanca

Tornato da Helsinki, dove ha messo in scena l’opera lirica "Viaggio a Reims" di Gioacchino Rossini, il Nobel 1997 per la letteratura Dario Fo è impegnato, dal 27 Febbraio, nelle Marche a Fano, in una manifestazione per il Carnevale da lui diretta e comprendente sfilate di carri allegorici e spettacoli che si svolgeranno per le vie, nelle piazze della città ad opera di attori, acrobati, giullari. Insieme alla moglie, Franca Rame, Fo rappresenterà due sue commedie, "Mistero Buffo. Primo miracolo di Gesù Bambino" e "Processo al Pupo Gargantua".

A Helsinki s’è fatto notare per una regia condotta, come al solito, fuori dagli schemi convenzionali al fine di rendere la rappresentazione accessibile ai più larghi strati di pubblico; a Fano è per le strade, tra la gente, a riproporre sue opere note. I due avvenimenti confermano la già mostrata disposizione del Fo a rimanere vicino al pubblico, ad impegnarsi in temi e modi che ad esso possano giungere con facilità.

Fo è scrittore di commedie, ballate, canzoni e regista, scenografo, attore impegnato ad inscenare ed interpretare soprattutto i propri lavori. Un genere di teatro comico, buffo, musicale è il suo, fustigatore dei cattivi costumi del nostro tempo, della corruzione dilagante, dei detentori del potere politico, economico, culturale, difensore degli umili, degli oppressi da tale situazione, del popolo, cioè, privato della possibilità di decisione, azione ed eternamente condannato a subire. Il cantore, l’interprete di tale condizione di vita vuole essere il suo personaggio, il mimo, il giullare di antica memoria che s’impegna in situazioni nuove senza rinunciare ad un repertorio che gli giunge dalla tradizione. E’ stata una fede politica ad orientare Fo in tal senso, è stata la delusione per il fallimento del Partito comunista italiano, del quale faceva parte, a muoverlo verso la ricerca di un messaggio, una comunicazione che potesse compensargli tali mancanze, a farlo giungere ad un programma d’arte. Così è venuto il suo teatro che potrebbe essere detto "popolare"e inteso come contestatore della tradizionale concezione di "arte colta" giunta fino a noi e rappresentata ora da autori che operano lontano dal contesto, fuggono la realtà fino a sfociare nel vuoto intellettualismo, nell’arida elaborazione e far presagire la fine dell’espressione artistica. In tale atmosfera di crisi il "teatro popolare" di Fo potrebbe valere anche come l’indicazione di una possibilità per risolvere il problema. Un autore, un artista che cerca la gente, dalla sua vita, cultura, lingua trae alimento per la propria attività, della farsa, della comicità fa i propri mezzi espressivi, può essere un esempio per uscire dall’immobilismo cui si è giunti in arte.

Di Fo, tuttavia, non si sarebbe tenuto gran conto se non fosse stato premiato con il Nobel. Né questo è servito molto ad accrescergli l’interesse da parte della critica: in un ambiente di consolidata tradizione culturale, letteraria, artistica quale il nostro non è facile spiegare, accettare una presenza così anticonformista, anticonvenzionale ed ancora oggi, presso la nostra cultura ufficiale, accademica, essa rappresenta un caso difficile. E tale è destinato a rimanere anche perché non sarà mai semplice distinguere in Fo le motivazioni umane, sociali, politiche da quelle culturali, letterarie, artistiche. Per questo autore ci si dovrà adattare all’idea di non poter definire con esattezza quanto lo muove, di rimanere sospesi tra il bisogno di recuperare, riscattare dal silenzio, dalla sopraffazione quelle fasce sociali rimaste escluse da ogni sistema di governo passato e presente e la volontà di contravvenire al significato di arte generalmente accolto, tra l’impegno dell’uomo e la tendenza dell’artista.


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