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I rischi del mestiere

di Antonio Stanca

Molto fa attendere Enrico Franceschini, giovane scrittore bolognese, in questo suo terzo romanzo “Fuori stagione” (ed. Feltrinelli), prima di svelare la verità circa l’omicidio del quale si narra. L’opera assume, anche se solo alla fine, i temi ed i toni del “giallo” fino a riservare al lettore molti e improvvisi colpi di scena. Gli farà credere vere situazioni diverse, si mostrerà sempre possibile di variazioni.

Franceschini da venticinque anni è corrispondente per “la Repubblica” dagli Stati Uniti, dalla Russia, da Israele, dall’Inghilterra e il suo non è il primo caso del giornalista che diventa scrittore ma è il caso nel quale certi aspetti della prima attività non sono stati superati nella seconda. Oltre alla ricerca di effetti di sorpresa, di meraviglia  vanno attribuiti alla sua formazione e professione anche i modi espressivi usati per ottenerli, i periodi brevi, concisi, il procedimento rapido, per immagini. E poi Franceschini in quest’opera usa la terza persona come appunto fa chi tende a descrivere più che ad indagare. La rapidità, l’immediatezza segnano la sua prosa, non impegnata in complicate osservazioni e riflessioni ma libera di muoversi  tra luoghi e tempi, persone e cose,  pensieri e sentimenti.

Qui si dice di un uomo, il sessantenne Quinto Baldini, originario di Borgomarina, piccolo centro marittimo sulle coste italiane divenuto meta di turisti in tempi recenti mentre prima viveva solo di pesca e diffusa era una condizione di povertà. Da questa Quinto aveva voluto fuggire, lasciando i famigliari, ed andare in Africa dove aveva svolto le più diverse attività, aveva conosciuto molti posti e persone, era diventato ricco. Ma ora aveva perso quanto accumulato ed era rientrato a Borgomarina, nella casa dove si trovavano la moglie e le figlie ormai sposate. Senza soldi, malvisto dalla moglie, sopportato dalle figlie, Quinto crede di essere un peso ma non sa decidere sul da fare e così continua fin quando non viene ricattato da un compaesano per vecchi debiti. Da questo momento e fino alla fine la narrazione diventa un “giallo”anche se non mostra di seguire le regole di tal genere giacché propone tante soluzioni circa il problema dell’omicidio del ricattatore, fa pensare a tanti colpevoli e quando giunge a quelli veri risultano i meno sospettati. Non si può pensare che la figlia e la moglie, entrambe lasciate da Quinto, uccidano per salvarlo da chi lo ricatta. Il loro gesto, però, rientrerebbe nel più vasto movimento di recupero, di riabilitazione del protagonista fallito che lo scrittore avvia nell’opera dopo aver fatto della sua una situazione estremamente grave: prima lo ha condannato ed ora cerca di salvarlo, prima è stato severo ed ora è diventato pietoso, compassionevole. Per tutto c’è posto, non si finisce più visto che ciò che accade sia all’esterno sia all’interno dei personaggi può essere  stato, può o potrà essere diverso.

 Ha creduto Franceschini che la scrittura narrativa possa accogliere tanto ma non ha tenuto conto che a questa complessità si arriva per altre vie, che espressioni così ampie hanno bisogno di contenuti ampi, che non si può dire di tutto in poco e con poco. Si rischia, così, di cedere alla fantasia, all’immaginazione, di confondere la narrazione con la favola dopo che la si era confusa con la cronaca.


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