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Tra realtà e idea

di Antonio Stanca

Thomas Hardy è uno scrittore e poeta inglese nato nel 1840 e morto nel 1928. E’ sepolto a Londra nell’Abbazia di Westminster. I luoghi della sua nascita e formazione tra la campagna e la vita contadina del Dorset faranno da sfondo a tutte le sue narrazioni e diventeranno il loro immaginario Wessex.

Dopo la laurea in Architettura, conseguita presso l’Università di Dorchester, nel 1862 si trasferisce a Londra per motivi di lavoro ma emerge ben presto la sua inclinazione a scrivere e solo questa seguirà in una vita trascorsa quasi interamente a Max Gate, presso Dorchester.

Ora “La biblioteca di Repubblica – L’Espresso”, Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A., Roma 2010, ha pubblicato insieme al quotidiano e al settimanale un suo racconto intitolato “I tre sconosciuti” e comparso nel 1888 nella raccolta “Racconti del Wessex”. E’ stato tradotto da Elisabetta Querci e contiene una vicenda divertente, quella di un incontro fortuito tra tre viandanti “sconosciuti” avvenuto una sera d’inverno, piovosa e ventosa, in una casa isolata della campagna inglese dove si sta festeggiando, alla presenza di invitati, il battesimo della seconda bambina del proprietario, il pastore Fennel. A chiedere riparo dalla pioggia busseranno alla porta della casa a distanza di poco tempo tre persone, delle quali due entreranno e saranno ben accolte mentre la terza non vorrà entrare  e fuggirà. Da una situazione di festa si passerà ad una di allarme quando gli invitati, preoccupati da alcuni spari provenienti dall’esterno, si metteranno alla ricerca del fuggitivo. Alla fine si scoprirà che questi era il fratello del primo ospite e che era fuggito dalla casa perché lo aveva visto fuori dalla prigione e intento a chiacchierare e festeggiare col secondo ospite, il boia che l’indomani avrebbe dovuto impiccarlo per un reato commesso tempo prima. Rimanere avrebbe significato dover svelare tutto e permettere che l’uno sapesse dell’altro. Fuggire, invece, avrebbe consentito che il boia e il condannato andassero ognuno per proprio conto quando gli invitati si sarebbero allontanati dalla casa per cercare il terzo sconosciuto.

E’ una vicenda successa cinquanta anni addietro, dice Hardy all’inizio del racconto, ma rimasta per sempre nella memoria degli abitanti del posto poiché si era tramandata, era diventata la leggenda del boia che brinda con chi dovrebbe impiccare.

Il racconto rappresenta una pausa, un momento di riposo nella produzione dell’Hardy, che è orientata in maniera completamente diversa, ma non si può trascurare che nell’uno e nell’altra il caso ha una funzione importante nel determinare le circostanze. Nel racconto queste assumeranno aspetti curiosi, altrove diventeranno drammatiche ma sarà il caso a muoverle. E non solo esso procurerà problemi ai protagonisti delle opere dell’Hardy, li sconfiggerà in ogni aspirazione, ma anche un destino avverso o l’impossibilità per loro, che provengono dalla campagna, d’inserirsi, affermarsi nella vita della città ormai completamente modificata dagli sviluppi della scienza e della tecnica oppure la difficoltà a liberarsi da conflitti personali, interiori che li trasformeranno in vittime di se stessi. Un’atmosfera cupa, priva di vie d’uscita, di speranze di salvezza, si diffonderà soprattutto nelle opere dell’Hardy della seconda fase. Qui non ci saranno sviluppi diversi da quelli del fallimento, della rovina. Esempi tra i più importanti sono i romanzi “Il sindaco di Casterbridge” (1886), “Gli abitanti del bosco” (1887), “Tess dei d’Urbervilles” (1891), considerato il suo capolavoro, e “Jude l’oscuro” (1895). Quest’ultima opera comporterà all’autore numerose polemiche che gli faranno abbandonare la narrativa per la poesia. Anche qui i risultati più significativi sarebbero venuti dopo gli inizi.

Nell’Hardy scrittore la fase detta realista della letteratura inglese ed europea, quella ridotta alla semplice descrizione dei fatti, sembra limitata alle prime narrazioni dove egli persegue la rappresentazione di una serena vita contadina nel Dorset divenuto il suo Wessex letterario. Quella serenità appena sfiorata dal timore, dal dubbio che le cose possano cambiare, sparirà nelle opere della maturità, nei suddetti romanzi, nei quali nessuno dei protagonisti riuscirà a realizzare i suoi propositi per cause a lui interne o esterne. Inquietante, drammatico, tragico diventerà il confronto tra i suoi ambienti d’origine contadina, la formazione che da essi gli era provenuta, le sue regole, i suoi principi e tutto quanto sosteneva quella vita urbana nella quale cercava d’inserirsi e che a quelle regole era decisamente contraria. La campagna sarà sconfitta dalla città, il mondo contadino da quello urbano ed anche se in termini diversi è un confronto che prelude all’altro tra spirito e materia che tra poco sarebbe stato costitutivo della poetica del Decadentismo. Anche un precursore di questa può essere considerato Thomas Hardy con i suoi contadini rifiutati dai luoghi dove cercano di entrare. Pur’essi ricevono una negazione e mentre per l’eroe decadente ci sarà un rifugio nello spirito, per il contadino di Hardy niente verrà in soccorso e ricadrà egli in quella grave realtà, in quella verità dalla quale aveva cercato di evadere.

Sospesa rimane l’opera dello scrittore tra realtà e idea, realismo e decadentismo come generalmente avviene per le opere proprie di un passaggio e per le quali l’importanza emerge ed aumenta col tempo.


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