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L’uomo più dello scrittore

 

di Antonio Stanca

 

 

A ottantatre anni il napoletano Raffaele La Capria, autore di romanzi, racconti e saggi, ha scritto “L’amorosa inchiesta” (ed. Mondadori), tre lettere che immagina d’inviare alla bellissima ragazza del suo primo amore, alla figlia del primo matrimonio ed al padre.

La Capria fa parte, insieme a Michele Prisco e Mario Pomilio per dire dei più noti, del gruppo di scrittori napoletani che si affermarono intorno agli anni ’50 sulla scia del neorealismo e proseguirono con esiti diversi da esso fino ai nostri giorni.  Generalmente nelle opere della loro maturità hanno trovato espressione le trasformazioni avvenute in Italia durante la seconda metà del secolo scorso, gli ambienti individuali e sociali seguiti all’affermazione dei mezzi di comunicazione di massa, della cultura di massa, della società dei consumi. Di questo hanno offerto una rappresentazione critica, hanno mostrato il quotidiano senza rinunciare ad una propria presenza polemica verso quanto di vero, di autentico nell’uomo, nella vita, nella storia si andava perdendo, verso i modi con i quali lo spirito veniva sostituito dalla materia. Non si possono, tuttavia, ricondurre ad una tendenza, ad una corrente unica ché ognuno ha seguito vie diverse, personali, e si possono solo comprendere in un’atmosfera diffusa.

La Capria, nelle opere, è rimasto vicino agli ambienti ed alla gente dei suoi posti e li ha sollevati ad una condizione morale tale da procurare loro un più ampio significato, da farne i simboli di un’esistenza più estesa. Ora, vecchio, si è concesso, con “L’amorosa inchiesta” e con lo stile chiaro e scorrevole di sempre, ai ricordi della sua vita, l’ha ripercorsa rammaricato per quanto gli sembra di non aver fatto, per ciò che crede gli sia mancato. Succede a tutti, da vecchi, di ricordare, di pensare al passato e spesso se non lo è stato lo si inventa a propria immagine, lo si mostra da protagonisti e, comunque, come un tempo concluso, compiuto. La Capria, invece, non riesce a distinguerlo tra i tempi della sua vita, non lo considera finito ma ancora attuale dal momento che i problemi dell’adolescente, del giovane sono stati anche quelli della maturità ed ora della vecchiaia. Come prima anche adesso egli progetta, programma e come prima anche adesso non sa con precisione cosa, sa soltanto che c’è ancora da fare, si sente incompiuto. Tale si è sentito da ragazzo innamorato non degno della bellezza di lei, da padre abbandonato, da figlio incompreso e da sempre sta attendendo di compiersi. A questo poco è servita la sua attività letteraria, i successi che da essa gli sono provenuti perché non hanno eliminato la  convinzione che nella sua vita debba ancora avvenire qualcosa di determinante, di definitivo. Una condizione spirituale perennemente insoddisfatta è la sua, ora attestata da quest’ultimo lavoro, uno stato d’animo che lo porta a credere come niente termini completamente, come sempre sia possibile un altro sviluppo, un’altra acquisizione. Dalle tre lettere de “L’amorosa inchiesta” traspare che La Capria, a ottantatre anni, non si è arreso all’idea di aver vissuto la sua vita,  aspiri a modificarla, a farla aderire ai suoi desideri e creda che questo debba ancora avvenire. Ancora oggi egli pensa a quant’altro gli manca per essere quello che sempre avrebbe voluto,  lo sta ancora aspettando. Il libro è un ricordo ma soprattutto un recupero, una conferma del particolare umore dell’autore, “un’inchiesta”  volta a dimostrare come esso costituisca il suo carattere.

In La Capria l’uomo è prevalso sullo scrittore, la vita sull’opera, “il carattere è stato più importante dell’intelligenza e della razionalità . . . una specie di sostituto del destino, del fato antico, perché è il carattere a determinare le nostre azioni”.

 


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