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La lingua in Italia
(Una coscienza mancata)

di Antonio Stanca

Da alcune settimane Luciano Rispoli ha ripreso a condurre, in televisione, la trasmissione "Parola mia" impegnata a diffondere presso il vasto pubblico televisivo l’uso corretto della nostra lingua mediante la ricerca del significato preciso, della pronuncia esatta, della storia di alcuni vocaboli. E’ un programma che la televisione ha ospitato altre volte in passato ma che ora sembra divenuto un segnale d’allarme.

Si è giunti, in Italia, a non poter leggere su un qualsiasi giornale un articolo, specie se di attualità, senza imbattersi in una serie di parole straniere o di derivazione straniera entrate da tempo a far parte dell’uso corrente, orale e scritto, oppure in molti termini tecnici pur’essi ormai diffusi e provenienti dalla sempre maggiore estensione del linguaggio telematico. Simili presenze rappresentano un ostacolo per molti lettori che spesso devono accontentarsi di una comprensione parziale di quanto scritto. Né la televisione è da meno in tale tendenza ad usare forestierismi di ogni genere nelle sue innumerevoli trasmissioni. A questa confluenza, mescolanza di lingua e linguaggi non sfuggono il cinema, la musica, la fumettistica, la cronaca sportiva, scientifica, politica, mondana, parte della produzione narrativa e saggistica, ogni aspetto, cioè, della moderna cultura e comunicazione.

Insieme alla realtà, alla vita, alla storia, la lingua si sviluppa, si evolve, si modifica, assume nuove forme, espressioni, significati, riflette, nel suo ambito, il dinamismo proprio del tempo. Ma mentre prima si assisteva ad un impegno volto a tradurre nei termini della lingua nazionale quanto di nuovo, diverso giungeva da fuori ora questo non avviene ed è invalso il costume di ritenersi moderni, progrediti, di partecipare dei tempi solo a patto di comportarsi, pensare, agire, parlare, scrivere seguendo esempi o modelli stranieri. In tal modo si smarrirà l’idea di una lingua nazionale in una nazione che, come l’Italia, ha sempre faticato per averla a causa delle numerose parti che per secoli l’hanno costituita, della loro diversa tradizione, storia, cultura, lingua, dei tanti sostrati che con queste si spiegano, da queste derivano ed ancora oggi agiscono soprattutto in ambito linguistico.

L’unificazione politica, avvenuta poco più di un secolo fa, non poteva essere anche linguistica perché era impossibile equilibrare subito una situazione così a lungo contrastata. Spettava alla scuola il compito di diffondere e perseguire sul territorio nazionale sistemi e programmi orientati a ridurre, eliminare le gravi differenze ancora esistenti. Irregolare e non uniforme era stata, però, nella prima Italia unita l’istruzione scolastica e soltanto con i tempi moderni essa è giunta ad operare in maniera uguale nell’intera nazione. Così si sono potuti perseguire obiettivi comuni tra i quali il raggiungimento di una lingua liberata dalle varie ingerenze, unica, nazionale e si è potuto finalmente pensare alla formazione di un’unità linguistica, della sua coscienza. Ma quando il processo sembrava avviato la scuola, come la stampa, la televisione, il cinema ed ogni moderno sistema di comunicazione, si è concessa a ciò che le giungeva dall’esterno, si è messa al seguito di modelli d’istruzione stranieri e dei sistemi linguistici allegati. Inoltre ultimamente si è orientata a recuperare e rivalutare il territorio nel quale opera compresa la lingua propria di questo, cioè il dialetto. Si è tornati, quindi, ad uno stato di pluralità linguistica dalla quale l’insegnamento, la diffusione, l’uso della lingua nazionale risultano impediti o almeno ostacolati. Nell’Italia d’oggi neanche la scuola è un riferimento sicuro per quanto concerne la realizzazione di quell’unità di lingua sempre perseguita. Per questo motivo si diceva che l’attuale trasmissione del Rispoli sembra avere, rispetto alle precedenti, il significato di un tentativo estremo di salvare quanto caduto in nuovi pericoli, la lingua italiana.


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