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L’arte della vita

di Antonio Stanca

La casa editrice Salani ha recentemente pubblicato il breve volume “Imprevisto amore”, che contiene alcune delle poesie d’amore dello spagnolo Federico García Lorca (1898-1936) comparse nella sua prima raccolta dal titolo “Libro di poesie” (1921). E’ il giovane Lorca quello di questi versi, il Lorca poco più che ventenne tanto carico di spiritualità e sensibilità, entusiasmo ed ardore, interessi ed aspirazioni da sentirsi sospeso tra molti progetti ed attività quali musica, pittura, poesia, teatro. Nel 1915 egli studia Giurisprudenza a Granata, nel 1918 pubblica un libro di prose poetiche, nel 1919 a Madrid  conosce i poeti Unamuno, Machado, Jiménez, il musicista de Falla, il pittore Dalí, il regista Buňuel, con i più giovani di questi s’intrattiene, conversa, programma, opera, ha riportato un insuccesso con la rappresentazione del suo primo dramma, collabora ad un’operazione di recupero e valorizzazione del canto popolare della Spagna meridionale (cante jondo), si è già immesso in quel movimentato processo che sarà costitutivo della sua vita ed opera, che non le farà mai distinguere e che, fino alla prematura scomparsa, lo vedrà sempre assorbito dall’impegno umano, civile, sociale e dall’attività intellettuale ed artistica. Pertanto la passione, il trasporto, lo slancio, che caratterizzano questi primi versi, sono destinati a rimanere permanenti nell’uomo e nell’artista anche se risulteranno diversamente alimentati e diretti. Lorca trarrà dalla sua cultura, dalle sue conoscenze, esperienze, frequentazioni di persone e luoghi, continui motivi d’ispirazione per la poesia ed il teatro ma sarà come nutrire una fiamma già avviata e crepitante. Le sue parole, la loro forma diverranno più studiate, i contenuti più vari ed articolati, le intenzioni più ampie e complesse ma inalterati saranno il suo spirito e sentimento. Questi non erano soltanto suoi perché esistevano prima di lui e intorno a lui, erano parte di un luogo, di un popolo, della loro storia, erano l’anima della Spagna gitano-andalusa dove si era svolta la prima parte della sua vita, quella che lo segnerà più d’ogni altra esperienza successiva. Erano il paesaggio, l’acqua, le piante, il vento, la luce di quei luoghi, il senso che quella gente aveva della famiglia, dell’amore, della religione, della morte, della memoria, del destino, l’idea che nutriva della casa, della donna, dei figli. Erano presenze eterne ed invisibili e spettava all’artista, secondo Lorca, percepirle, ascoltarle e riportarle con tale immediatezza e fedeltà da non alterarle ma soltanto tradurle nelle parole dei versi o nelle scene dei drammi. E’ stata questa l’arte del Lorca, una versione di quella esistente in natura e, perciò, un’espressione anche di colori e suoni oltre che il manifesto di una condizione di vita svoltasi per secoli ai margini di quella ufficiale, nella tacita accettazione di un silenzio inestinguibile, di una solitudine inalterabile. Solo un artista che come Lorca viveva con tanta partecipazione l’ambiente da sentirsi uno dei suoi elementi poteva pensare che quanto più aderente alla vita sarebbe stata la propria arte tanto più sarebbe servita a svelarne i bisogni e rivendicarne i diritti. Tramite Lorca la Spagna andalusa, il suo millenario stato di emarginazione e subordinazione, sofferenza e rassegnazione, acquistavano una voce, proclamavano la loro presenza, s’identificavano con la sua arte.

Che una tale concezione artistica si sia verificata in Europa ai primi del ‘900 quando le avanguardie culturali di ogni paese si orientavano  verso un’arte che rifiutava la vita o che da essa fuggiva, rende ancor più singolare e suggestiva l’opera lorchiana. Ed inoltre che un libro di Lorca sia stato proposto adesso significa che pur in un’atmosfera culturale come la contemporanea confusa tra tanti autori ed opere, privata di criteri di valutazione,  può ancora valere un senso dell’arte così completo e totale.


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