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Dalla morte alla vita
(Loy ricorda)

di Antonio Stanca

Insieme alle vicende di una famiglia dell’agiata borghesia romana la settantaquattrenne Rosetta Loy fa scorrere, nel suo romanzo recentemente pubblicato da Einaudi “Nero è l’albero dei ricordi, azzurra l’aria”, gli anni appena passati della nostra storia nazionale, dalla vigilia del secondo conflitto mondiale al “boom” economico e dopo. Anche con “Ahi, Paloma”, di quattro anni fa, la scrittrice romana aveva ricostruito, sullo sfondo della seconda guerra mondiale, una vicenda vissuta da alcuni giovani italiani e conclusasi tragicamente. Ed ancora prima, in altre opere, ella si era mostrata impegnata nel recupero della nostra storia più recente. Si potrebbe dire che l’Italia del passato prossimo sia un motivo ricorrente nella sua scrittura. Non, però, un passato ridotto ad elemento descrittivo, liberato di ogni peso, scaricato di ogni tensione. Non sono “bei tempi” quelli che la Loy ricorda nei suoi libri ma “brutti tempi”, quelli che ha vissuto da bambina, da adolescente in un paese come il nostro devastato, diviso, insanguinato come nessun altro d’Europa alla conclusione della seconda guerra mondiale. Allora in Italia non si riusciva a distinguere tra italiani e stranieri, alleati ed avversari, tante erano le parti che si erano formate sul territorio ed infiniti, incalcolabili, imprevedibili i pericoli. Questo il tempo che spesso ricorre nella scrittura della Loy, quello che si è verificato mentre lei era piccola e del quale avrà avuto allora notizie talmente gravi da rimanere impressionata per sempre.   Scrivere di quel tempo può significare, quindi, per lei riprendere, completare un passato del quale è stata solo una “piccola” parte, ricomporlo in tutto, nelle persone e nelle cose. Sorprendente è, infatti, come la sua scrittura, soprattutto in quest’ultimo romanzo, pur procedendo in maniera rapida ed essenziale, non trascuri niente, nessun particolare di una situazione e come riesca a far acquisire una vita ad ogni elemento rappresentato, a procurare un’anima, una voce, una ragione d’essere pur alla materia. Poetica, lirica riesce spesso ella in quest’opera, capace di particolari effetti di luce, colore, suono, altissima per emozione e sensazione, profondissima per significato.

 Un’opera che sembra si faccia da sola tanto la scrittura è vicina, aderente al narrato. Non c’è pensiero, sentimento, umore dei personaggi che non venga colto, non c’è luogo o parte di esso che non partecipi di quanto accade, che non viva. E’ un processo di animazione incontenibile quello avviato dalla Loy nel romanzo, è la vita nella totalità dei suoi esseri a venire trasferita sulla pagina ed in maniera così naturale e spontanea da riuscire, già dall’inizio, una lettura facile ed avvincente, da tener legato chi legge fino agli ultimi esiti.

La storia privata di una famiglia, s’è detto, viene collegata con quella pubblica degli anni tra i ’30 ed i ’60, si svolge parallelamente ad essa, s’intreccia con essa tramite i suoi membri e come essa precipita per poi sollevarsi. Mentre sembra che nel mondo non si parli d’altro che di nazismo, fascismo, grandi imprese, la Loy mostra come tra tanto clamore c’è pure altra gente che vive altra vita, quella quotidiana, domestica e  come questa, pur lontana e diversa, finisca col venire coinvolta. La guerra che seguirà quei proclamati trionfi non risparmierà nessuno soprattutto quando  i soldati tedeschi “traditi” metteranno a ferro e fuoco l’intera penisola, distruggeranno la vita ovunque essa si trovi. Feroci saranno e cruda, spietata sarà la scrittura che li renderà, sarà, come ogni volta, quella che la circostanza richiede ma sarà pure, come ogni volta, capace di cercare quanto ancora e sempre è possibile se non per il momento per la vita che seguirà e durerà nonostante esso, dopo di esso.  “Nero è l’albero dei ricordi, azzurra l’aria” vuol dire che malgrado le avversità si può sempre sperare, che insieme alla morte c’è pure la vita, che dopo il buio della notte viene la luce del giorno, che è dell’uomo vivere e non morire, credere e non disperare.

Una serie di problemi si abbatterà sulla famiglia romana presentata all’inizio: fallirà l’azienda condotta dal padre, il figlio Ludovico avrà molte difficoltà prima di raggiungere una posizione sicura, moriranno il padre e la figlia Lucia per la sua sventatezza, la madre non rinuncerà mai ai suoi vezzi, ai suoi amanti pur in tempi di gravi, disperate condizioni economiche, morirà lasciando, insieme a Ludovico, l’altra figlia Giulia, quella che ripercorre, nel libro, la storia della famiglia e, attraverso essa, l’altra delle persone venute a contatto, dei luoghi, degli eventi con i quali queste erano legate e dai quali provenivano. Un ricordo che cresce in continuazione è questo romanzo della Loy, una scrittura che dal privato, dal particolare si estende al pubblico, al generale senza, tuttavia, rinunciare a nessuna delle due parti e mostrandosi capace di muoversi con facilità tra esse. Tale mobilità avviene pure per i tempi della narrazione: sono quelli della memoria di Giulia e, come avviene quando si ricorda, non seguono un ordine logico ma si spostano in continuazione, trascorrono dal presente al passato più prossimo o più remoto o viceversa creando un movimento mai interrotto, mettendo in azione un numero incalcolabile di persone, situazioni, luoghi, ambienti, di pensieri, azioni, sentimenti.

E’ un universo mai fermo e mai finito questo romanzo, è un’umanità immensa di persone, volti, discorsi, amori, passioni, morti. C’è, in esso, tanta storia, tanta vita e riguardo ad un tempo che generalmente si ritiene conosciuto. Si ha, peraltro, ad ogni momento della lettura l’impressione di scoprire, di sapere di più di quanto si credeva e che questo avvenga in maniera naturale grazie, cioè, ad una scrittura semplice, scorrevole costituisce un altro motivo del fascino esercitato dalla Loy, un’altra prova che ci sono ancora veri, grandi scrittori.


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