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Salvatore Lucchese, Federalismo, socialismo e questione meridionale in Gaetano Salvemini
Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita, 2004, pp. 260

di Italo Nobile

Nel dibattito politico-istituzionale italiano i temi del federalismo, dell’autonomia e del regionalismo sembrano avere perso la loro corretta connotazione concettuale, l’intento di Salvatore Lucchese è quello di cogliere i significati precipui dei termini in questione attraverso il recupero e la disamina critica della riflessione politica di Gaetano Salvemini, la cui proposta federalista è fondata sui valori del socialismo e della democrazia partecipativa, in contrapposizione alle derive etno-regionaliste ed autoritarie che caratterizzarono la storia politica italiana a cavallo tra ‘800 e ‘900. 

Nel primo capitolo sul dibattito meridionalistico di fine ‘800 S. Lucchese evidenzia come si passi da una concezione oleografica del Sud dell' Italia ad una più chiara consapevolezza della povertà delle popolazioni meridionali e da un’impostazione idealistica e moralistica ad una maggiore attenzione al contesto sociale ed economico. Tale cambiamento viene favorito dagli studi dei meridionalisti di ispirazione socialista, tra i quali si sviluppa anche una componente positivistica che, affermando la radice biologica ed antropologica della differenza tra settentrione e meridione, da un lato deresponsabilizza gli individui, ma dall’altro mortifica l’intera comunità meridionale condannandola ad una lunga subalternità storica.

Nel secondo capitolo sull’analisi marxista della società meridionale, S. Lucchese traccia un quadro dello sviluppo della riflessione meridionalistica di Gaetano Salvemini, evidenziandone la matrice culturale di stampo marxista ed al tempo stesso l’attenzione alla situazione storicamente concreta e determinata delle classi sociali della società meridionale: Salvemini nega la radice biologica dei comportamenti storici e considera le razze come al massimo un elemento passivo che assume rilevanza solo al mutare delle condizioni economiche. Per Salvemini le cause dell’arretratezza del Mezzogiorno sono storico-politiche e si possono attribuire alle guerre successive alla venuta degli Angioini ed alle numerose conquiste straniere, eventi che portarono alla prevalenza della nobiltà feudale,  allo spopolamento delle campagne ed alla necessità per le classi sociali più umili di sopportare il duplice parassitismo degli invasori e della nobiltà latifondista, con il risultato di una profonda e radicata pauperizzazione. Come evidenzia Lucchese, Salvemini critica poi il meridionalismo liberale che, mitizzando la funzione dello stato e del buon governo, non si avvede che le riforme necessarie per il risanamento del Mezzogiorno avevano bisogno  di determinate forze sociali che se ne facessero carico. Presupposto essenziale per l’individuazione di tali forze era l’analisi materialistica della società, analisi che porta Salvemini ad individuare tre classi sociali portanti e cioè latifondisti, piccola borghesia e proletariato rurale. L’analisi di Salvemini collega il conflitto di classe all’interno del Meridione alla dinamica di classe relativa all’intero territorio italiano: infatti l’alleanza  tra borghesia industriale del Nord e latifondisti agrari del Sud si riverbera nell’alleanza all’interno della società meridionale tra latifondisti (che si assicurano posti di potere nelle istituzioni nazionali) e piccola borghesia impiegatizia che combatte per occupare i posti nelle istituzioni locali al quasi esclusivo fine di arricchirsi. Lo Stato, in questo sistema di alleanze, non può svolgere una funzione riformatrice (come sognano i meridionalisti liberali accecati dall’interclassismo) ma garantisce alle classi dominanti una redistribuzione fiscale a loro esclusivo vantaggio ed ai latifondisti meridionali la repressione di ogni istanza di ribellione delle classi subalterne. Lucchese fa notare come Salvemini a tale proposito individui la possibilità di un’alleanza tra proletariato industriale del Settentrione e proletariato rurale meridionale, alleanza necessaria in quanto il destino dell’uno era comunque legato a quello dell’altro, giacché il parassitismo meridionale comprometteva la possibilità delle riforme in tutto il paese.

Nel terzo capitolo su federalismo, socialismo e questione meridionale S.Lucchese spiega come l’analisi materialistica di  Salvemini trovi il suo complemento in una riforma istituzionale di tipo federalista e cerca di dimostrare come il federalismo sia conseguente alla sua analisi marxista e non quest’ultima un pretesto per il suo federalismo (solo in un secondo momento Salvemini infatti abbandona il marxismo). Il federalismo, infatti, rappresenta sia uno strumento contro la corruzione politica e il mancato sviluppo del Mezzogiorno, sia, in un ambito più complessivo, un processo che porta all’educazione in senso critico e democratico degli individui e che promuove dunque una più compiuta emancipazione politica delle classi subalterne.

Nel quarto capitolo sulla polemica di Salvemini con Nitti e Turati, S.Lucchese mostra come G. Salvemini, pur condividendo l’analisi di Nitti, ne rifiuti la parte propositiva in quanto in essa lo Stato accentratore gioca un ruolo dominante e in tale tipo di Stato Salvemini vede la fonte della forza del blocco reazionario: solo il suffragio universale e un modello federalista possono garantire invece la soluzione del problema meridionale. Salvemini polemizza anche con Turati per il quale il proletariato industriale del Nord avrebbe dovuto farsi carico del proletariato rurale del Sud. Salvemini a tal proposito obietta che attraverso il federalismo il proletariato rurale del meridione può essere protagonista delle sue vicende e contribuire al conflitto di classe di tutto il paese. La sconfitta politica di Salvemini contro la linea di Turati porterà il primo ad abbandonare gradatamente l’iniziale approccio marxista.

Nel quinto capitolo sul federalismo dell’”Unità”  S. Lucchese analizza la riflessione di Salvemini svolta dalle pagine del settimanale “L’Unità” da lui fondato nel 1911 e mostra come Salvemini nel 1919 cerchi ancora di conciliare il suo federalismo con istanze marxiste, cercando di creare un ponte tra la sua concezione del consiliarismo di Ordine Nuovo  (dove a suo dire il proletariato è giunto ad un tale grado di maturità da poter riorganizzare comuni e province) e un metodo (quello sovietistico) che egli identifica con quello federalistico.

Nel sesto capitolo l’autore esamina l’evoluzione del pensiero salveminiano nel quale, durante e dopo l’esilio causato dal fascismo, da un lato si critica il regionalismo dell’Assemblea  Costituente in quanto costruzione artificiosa calata dall’alto, dall’altro la radicalità della  proposta federalista viene attenuata : Salvemini non crede più alla possibilità di istituzioni poliziesche federali ed inoltre non pensa più che le masse rurali si possano emancipare da sole. Egli si avvicina a Turati nel pensare che esse debbano essere aiutate dalla borghesia industriale settentrionale e che la soluzione sia in un federalismo moderato che eviti sia il pericolo che il malcostume amministrativo locale sia aggravato dalla cessazione di ogni sorveglianza, sia che la sorveglianza del governo centrale sommi alla corruttela locale anche la corruttela centrale. L’ultimo capitolo del testo di S.Lucchese “Un giudizio complessivo” cerca di classificare il federalismo di Salvemini e conclude che si tratti di un federalismo centrifugo che procede da uno stato unitario verso forme più che altro istituzionali di autonomia ed autogoverno locale. Ciò contrariamente al federalismo americano, più attento alla divisione dei poteri che alla partecipazione democratica delle masse popolari.


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