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Márai, insieme e solo

di Antonio Stanca

Recentemente sono state scoperte e tradotte in italiano, francese, inglese, tedesco, le opere, poesie, romanzi, diari, dell’ungherese Sándor Márai, nato a Kassa da famiglia agiata nel 1900, quando la città apparteneva ancora all’Impero Asburgico, e morto suicida a San Diego, California, nel 1989. Dal 1948 in Ungheria i suoi scritti erano stati vietati poiché contrario si era mostrato Márai al sistema comunista di governo ed era espatriato prima in Svizzera, poi in Italia ed infine in America. Già in precedenza l’autore si era spostato a Francoforte, Berlino, Parigi, dove aveva lavorato per giornali e riviste e pubblicato la prima raccolta di versi “Il libro dei ricordi”. Nel 1928 era rientrato in Ungheria e qui era rimasto fino agli anni Quaranta producendo la maggior parte delle sue opere, soprattutto romanzi. In essi non abbandonerà mai la lingua madre neanche quando li scriverà lontano dal suo paese. Nel 1923 si era sposato con l’ebrea Lola. Morto il bambino avuto dal matrimonio, avevano adottato un orfano di guerra che pure sarebbe morto una volta trasferitisi in America. Infine morirà la moglie lasciando Márai in uno stato di angosciosa solitudine dal quale non si riprenderà più.

Una figura generalmente solitaria era stata quella di Márai, un intellettuale che aveva sofferto dell’avvento dei tempi nuovi e della crisi dei valori morali, ideali che avevano comportato a causa della sempre più incalzante avanzata di quelli materiali, reali. L’Occidente ed in particolare l’Europa erano stati investiti da questo fenomeno agli inizi del secolo scorso e di esso erano risultate segnate le opere dei maggiori narratori mitteleuropei del momento quali Thomas Mann, Robert Musil, Thomas Bernhard e più vicino Milan Kundera. La scoperta di Márai pone il suo nome accanto a quello di tali grandi scrittori e lo eleva alla loro posizione per i temi ed i modi delle opere prodotte.

Adesso Adelphi ha pubblicato “L’isola”, con traduzione di Laura Sgarioto, e la pubblicazione viene dopo molte altre del Márai realizzate pure da Adelphi in questi anni. Essa s’inserisce in un programma d’incontri, di scambi tra Italia ed Ungheria iniziato nel 2002, anno della cultura ungherese in Italia, e continuato fino ai nostri giorni con traduzioni e pubblicazioni. “L’isola” è una delle prime narrazioni dello scrittore ungherese, risale al 1934, precede di poco “Confessioni di un borghese” e di alcuni anni “L’eredità di Eszter” e “Le braci”, considerati i maggiori romanzi del Márai. Ma già in quest’opera d’inizio possono essere notati quegli elementi del contenuto e quegli aspetti della forma che saranno dello scrittore maturo. Ne “L’isola” Márai è il quasi cinquantenne professore Askenasi che vive a Parigi, insegna Letteratura greca e Lingue anatoliche, è sposato ed ha una bambina, è l’uomo insoddisfatto, l’intellettuale che sente il richiamo dell’”idea”, che vuole seguire il suo spirito, agire per esso ed ancora non sa come è possibile, ancora non ha capito se la dimensione ideale può essere conciliata con quella reale oppure se deve essere perseguita da sola rifiutando l’altra. Finora è vissuto diviso, sospeso tra le due sponde, tra l’anima e il corpo né il lavoro, gli studenti, la famiglia, la figlia sono riusciti a liberarlo dal problema che lo assilla, ad orientarlo in maniera definitiva. Crederà di aver trovato una soluzione abbandonando tutto per seguire una bella e giovane donna che lo aveva attratto ma dovrà riconoscere che non stava in lei la risposta alla sua domanda. Continuerà a cercarla evadendo dai propri posti e concedendosi un periodo di “sano riposo” mediante una breve crociera nel mare Adriatico. Neanche questa, tuttavia, neanche un grave errore commesso durante il viaggio, neanche l’approdo all’”isola” cercata, chiariranno i suoi tanti, infiniti dubbi. Avrà imparato, però, che non all’esterno ma in lui deve cercare poiché in lui è l’”idea” che lo fa “diverso” dagli altri, è lui che deve stabilire se vivere di essa o della realtà visto che di entrambe è impossibile. E’ una situazione che si presenterà in ognuna delle opere seguenti del Márai, in ognuno dei loro protagonisti ed in essa può essere riconosciuta la condizione vissuta dall’autore, la lacerazione sofferta da un uomo che è anche artista, da una vita che è anche opera.

In verità se nella storia il “diverso” aveva sempre sofferto il problema del confronto con la realtà mai questo era emerso con tanta evidenza come ai primi del Novecento europeo quando i valori concreti, immediati, le richieste della materia erano divenute così importanti ed estese da ridurre, annullare quelle dello spirito. La tecnica, le sue infinite applicazioni, lo sviluppo, il progresso si erano sostituiti a qualsiasi altro interesse, avevano instaurato una gara per la supremazia, il possesso e così si sarebbe giunti ai due gravi conflitti mondiali. In tale contesto l’intellettuale, l’artista, il “diverso” non avrà nessuno, niente a cui rivolgersi. Finita era la civiltà borghese, il vecchio mondo, dove di spirito si era ancora vissuti, e cominciato era il nuovo mondo che poca o nessuna attenzione dedicava ad esso e a chi ne era depositario. Un inetto, un “uomo senza qualità” era ormai questi poiché dedito all’attività di pensiero in un tempo generalmente rivolto all’azione, fedele all’”idea” quando la realtà era divenuta la ragione principale dell’esistenza. Su questa linea Márai s’incontrerà con gli altri grandi narratori d’inizio Novecento ma rimarrà isolato, riuscirà meno noto e avrà una sorte più tragica. Questo, tuttavia, non avrebbe impedito che col tempo si scoprisse quanto aveva egli partecipato, pur a distanza, di una comune, diffusa atmosfera culturale ed artistica e quanto particolare era stata la sua posizione, come aveva saputo ridurre, nelle opere, gli esterni per far posto quasi unicamente all’indagine psicologica, ai movimenti pur minimi dell’animo umano, con quale facilità aveva raggiunto toni lirici, si era mosso tra realtà e immaginazione, aveva ottenuto periodi oltremodo ampi e carichi, era riuscito agile, scorrevole nell’espressione nonostante gli impegni nel contenuto. E’ il suo modo, il suo stile e insieme a quelli degli altri autori del momento hanno arricchito la tradizione del romanzo europeo che veniva da lontano ed aveva trovato allora i suoi ultimi, grandi esempi prima di guastarsi e giungere così ai nostri giorni.


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