Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

“INSEGNARE AL PRINCIPE DI DANIMARCA” È UN LIBRO DA LEGGERE E RILEGGERE.

L’autrice Carla Melazzini è viva fra noi: donna che comunica la bellezza tormentata del mestiere di insegnare in carne ed ossa a una schiera di ragazzi e ragazze che nel turbine di una vita adulta fin dalla nascita cercano una chance presso insegnanti, educatori, “mamme” sociali, che credono in loro nonostante le apparenze distrutte di un’interiorità complessa e devastata da un mondo di figure parentali che non la pensano, non se ne curano perché non se ne possono curare, prese come sono da un ambiente degradato, abbandonato a se stesso; figure senza punti di riferimento, senza rete. Interiorità devastate da un territorio che non le vede, non le sente, oppure sente soltanto chi ha potere e non ritiene necessario e fondamentale volgere lo sguardo agli “ultimi della classe”.

Carla è donna di totale impegno, dolcissima nell’analisi durissima della realtà in cui ha operato. Ogni sua riflessione potrebbe dar vita a un trattato profondo di vitale pedagogia della sincerità. Carla non ha dato ricette, non ha programmato a priori le sue scelte, le ha semplicemente vissute insieme con “i principi di Danimarca”. Il libro è una testimonianza preziosa per insegnanti che lavorano ovunque, anche nei quartieri alti di qualche città ben più fortunata di Napoli, perché richiama ognuno/a di noi all’ascolto delle vibrazioni delle emozioni, al dirigere lo sguardo al linguaggio dei corpi più che al detto, al tacere per “sentire”, riflettere, rielaborare insieme con alunne e alunni: grande metodologia disattesa il più delle volte, ogni volta che l’ansia del dire noi, fare noi, giudicare noi…prende il sopravvento sulla comunicazione che dovrebbe essere sempre bidirezionale.

La penna di Carla è sferzante senza volerlo essere, però lo diventa appena consideriamo quanto a volte la scuola e spesso le politiche scolastiche non tengano in conto le anime che tentano un recupero, che si ribellano nei modi più eclatanti alle atrocità subite e alla indistinta ma sicura percezione di non avere un futuro. La scuola sovente giudica, fa uso di scalette, di voti, incentiva l’individualismo del merito …li usa come armi improprie che feriscono invece di aiutare la risalita…scale che diventano barriere, muri che i più fragili rinunciano a superare…

Il mestiere di Carla è quello di chi prova a dare una chance, un po’ di autostima nello scoprire potenzialità gasate nelle aule della spocchia e del sapere per il sapere.

Carla parla a se stessa registrando i suoi giorni e i personaggi veri di CHANCE, eppure, senza mai farlo direttamente, urla la sua rabbia verso chi non ha occhi per vedere; Carla rivela il suo amore incondizionato verso gli ultimi. Un amore che conosce bene la consapevolezza brutale della non riuscita, conosce a fondo le sue “creature”, si addolora per l’impotenza dinanzi alle loro regressioni, alle fughe, agli abbandoni…eppure non molla mai, accoglie, lenisce le ferite, lucidamente ama anche quando non è ricambiato.

Il libro va letto e riletto, va diffuso. Le parole che vi sono incise sono macigni, dovrebbero diventare leve per cambiare non il mondo, ma almeno parti di esso, almeno qualche angolo di esso. Non si può, non si deve rimanere sordi e insensibili, pena la “scomparsa” di tanti giovani che esistono senza essere.

19 settembre 2011

Claudia Fanti

 


La pagina
- Educazione&Scuola©