Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Donne d’Egitto

di Antonio Stanca

 

Nawal al Sa’dawi è nata nel 1931 a Kafr Tahla, piccolo villaggio sulle rive del Nilo a Nord del Cairo. Si è laureata in medicina nel 1955 presso l’Università  del Cairo e qui si è specializzata in Psichiatria. Ha iniziato il suo lavoro di medico nel villaggio natale ed ha avuto modo di osservare le gravi condizioni di sottomissione, di oppressione delle donne  egiziane, il loro stato di disuguaglianza rispetto agli uomini. Da qui la Sa’dawi si era sentita mossa ad agire politicamente, a denunciare quanto riscontrato. Una “socialista femminista” sarà detta per la sua presenza in ambito sociale e politico e questo le farà perdere l’incarico al Ministero della Sanità, l’incarico successivo di redattrice di un giornale sanitario e l’altro di segretaria generale dell’Associazione Medica Egiziana. Si dedicherà, quindi, ad una lunga ricerca sulle nevrosi delle donne egiziane e la condurrà a termine presso la Facoltà di Medicina dell’Università del Cairo. Sarà consigliera delle Nazioni Unite per poco tempo poiché si dimetterà delusa dell’organismo. A causa della sua presa di posizione a favore dei diritti delle donne di religione islamica, dell’uguaglianza tra uomini e donne, contro una società basata sul capitalismo, la Sa’dawi nel 1981 fu messa in carcere insieme ad altri contestatori e dei suoi libri fu vietata la pubblicazione in patria. Uscita dal carcere e minacciata di morte dai fondamentalisti islamici poiché le sue azioni, le sue opere contravvenivano alle regole della loro religione, fuggì in America dove insegnò presso alcune Università. Nel 1896 tornò in Egitto e riprese col suo impegno pubblico, culturale e letterario. Oltre che di azioni di contestazione la Sa’dawi è stata autrice di racconti, favole, romanzi e saggi. Alla fine degli anni ’50 risale l’inizio della sua attività letteraria e questa, insieme a quella saggistica e sociale, le sarà ispirata dal suo lavoro di medico e psichiatra, dalla conoscenza che esso le procurerà dell’arretratezza delle donne egiziane e arabe tutte.  Come scrittrice, come saggista e come attivista la Sa’dawi  si è impegnata a rilevare quanto le donne arabe siano ancora destinate a sopportare nel corpo e nello spirito, come esse siano le vere vittime delle leggi dell’Islam che le  assoggettano all’uomo. Una continua, accesa difesa dei diritti umani, civili della donna islamica può essere definita l’intera opera dell’ottantenne Nawal al Sa’dawi ed in particolare sull’Egitto la sua azione si è concentrata poiché qui ha visto maggiormente tradito quello spirito innovatore apparso agli inizi del ‘900. Molte delle riforme, delle leggi circa la condizione femminile allora approvate non hanno avuto attuazione e intanto col tempo si è verificato un ritorno ai rigori del fondamentalismo islamico. Da questi avrebbe voluto liberare la donna araba la Sa’dawi con la sua posizione politica, sociale, con i suoi saggi, contro questi ha voluto scrivere nelle sue narrazioni. Narrerà di donne realmente esistite, sconfitte dalla loro religione, dei loro casi disperati, ne farà motivo di racconto, di favola, di romanzo perché così crederà di farli giungere a tutti, di farli valere per tutti.

Un esempio di tale operazione è stato il lungo racconto Firdaus (storia di una donna egiziana), pubblicato nella versione originale nel 1985 ed ora ristampato, nella serie Astrea Pocket, dalla casa editrice Giunti di Milano. La traduzione dall’inglese è di Silvia Federici. La Sa’dawi nel 1974, quando s’interessava di casi di donne egiziane ammalate di nevrosi, aveva conosciuto in un carcere del Cairo una donna di nome Firdaus e le era sembrata diversa dalle altre. Aveva pensato di trarne  un racconto e l’avrebbe fatto in seguito. Ad attirare l’attenzione della scrittrice era stato il modo col quale Firdaus, condannata a morte, attendeva di essere giustiziata, il suo atteggiamento sicuro, altero di fronte ad una pena così grave. Durante la sua vita, da quando era bambina, era stata esposta agli abusi, alle violenze da parte di una società, di una religione dove erano gli uomini, il padre, il marito, il compagno, il protettore, a comandare, approfittare, far soffrire. Molte volte era fuggita dai pericoli nei quali si era trovata, molte volte era rimasta sola per strada, affamata,esposta al freddo, sfinita, e credendo di risolvere il problema del momento era caduta in un’altra assurda situazione. Infine era giunta nelle mani di un protettore che, a sua volta, intendeva approfittare di lei in ogni senso, voleva farne una prigioniera. Lo aveva ucciso, era finita in carcere ed era stata condannata a morte. Ma non aveva paura di morire per quello che aveva fatto perché credeva, era convinta di aver compiuto un gesto che poteva servire per il bene di tutte le donne come lei, poteva riscattarle dalla loro condizione. Voleva offrire un esempio di forza, di coraggio contro quanto le opprimeva, mostrare che è possibile ribellarsi, lottare contro un ingiusto sistema di vita. Per questo sorprende la scrittrice che si reca a visitarla e per questo la Sa’dawi pensa di raccontare il suo caso. Lo farà perché come altre volte con le sue storie vere vuole estendere il significato di  messaggi tanto importanti, procurare loro un’ampiezza maggiore, dimostrare quanto può una persona sola e indifesa, quanto la sua anima. A quell’anima la Sa’dawi si sente vicina perché anche lei ha sofferto, anche lei ha lottato. In Firdaus scopre una compagna di pensiero e di azione e col racconto si elevano entrambe sulle proprie vicende e diventano i simboli di un’umanità ancora capace di vivere dell’idea, di credere.


La pagina
- Educazione&Scuola©