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Arte e restauro

di Antonio Stanca

Tempo fa, nelle pagine del settimanale “ L’espresso”, il noto critico d’arte Achille Bonito Oliva trattava, in toni piuttosto polemici, del restauro relativo alle opere d’arte figurativa e lo riteneva inutile per quelle moderne e contemporanee, ne accusava l’uso eccessivo che oggi si verifica, mentre lo accettava per le antiche. Queste, secondo l’Oliva, meritano di essere restaurate perché in tal modo si rispetta l’idea animatrice dei loro autori, quella d’immortalarsi tramite l’opera, ma per le moderne il restauro è un grave errore dal momento che quell’aspirazione non è stata degli autori. L’arte moderna e soprattutto la contemporanea “… inseguendo l’equivalenza tra arte e vita avrebbe adottato materie degradabili lavorando più sotto l’incubo del presente che sotto il sol dell’avvenire… non avrebbe accettato la retorica della durata, il respiro lungo dell’immortalità che, invece, alimentava quella antica”.

Non serve, quindi, restaurare quanto già dall’autore è stato pensato come destinato a finire e,  per questo, composto con materiali “effimeri”, mentre serve farlo per i prodotti artistici dell’antichità visto che allora si tendeva a perpetuarsi tramite essi e ad usare, a tal fine, materiali che avrebbero resistito all’azione del tempo. E per gli antichi il restauro va fatto da parte di noi moderni anche se ci siamo accorti che quella loro aspirazione è stata un grave errore da attribuire al “…carattere logocentrico della civiltà occidentale… all’illusione tutta occidentale di combattere il tempo mediante l’immortalità”.

Per quelli, insomma, noi, restaurandoli, dovremmo accettare di continuare nell’errore loro e di tutto l’Occidente, per gli altri, non restaurandoli saremmo nel giusto. Il restauro dovrebbe finire di essere inteso come un intervento di carattere tecnico esercitato da operatori estranei al fenomeno artistico ed attuato ovunque e quando sia richiesto, si tratti di opera antica o moderna, di scrittura,  pittura, scultura, architettura, di carta, tela, marmo, pietra, metallo, plastica o altro. Dovrebbe divenire un aspetto del pensiero artistico da rispettare secondo i casi, dovrebbe dipendere dai tempi e dalle materie dell’arte vista la loro importanza non solo nella composizione ma anche nell’idea e significato dell’opera.

Che il tempo storico sia stato importante per la formazione e diffusione di certi umori ed istanze morali e culturali, alle quali è possibile ricondurre una concezione artistica, una poetica e l’attività tesa a realizzarla non è da considerare una rivelazione né rappresenta una rivelazione pensare l’arte quale “compenetrazione tra forma e materia” come ancora l’Oliva fa. Ma non ci si può accordare col critico quando per “ materia” mostra d’intendere i materiali usati per l’opera senza curarsi di chiarire quale sarebbe, in tal caso, la forma e soprattutto quando sostiene che simile compenetrazione, come il restauro, vale per gli antichi e non per i moderni avendo questi usato “materiali andanti”. L’arte sembra ridotta dall’ Oliva a materiale di composizione e l’artista a chi lo  usa per esprimere o meno la sua aspirazione ad immortalarsi.

Oltre che  gravemente semplicistica, una simile teoria, appare estremamente limitativa giacché si libera con poco ed in poco di un fenomeno di vasta portata quale l’artistico e della complessa problematica tra arte antica e moderna. Innanzitutto dal critico non si distingue tra ciò che è arte e ciò che non lo è, tra quanto è dell’artista e quanto degli altri, contemporanei o posteri. Non si tiene conto che l’artista si muove primamente per sé, per soddisfare tendenze, inclinazioni, aspirazioni divenute necessità, urgenze del suo spirito in qualsiasi posto, tempo e modo questo si verifichi, che l’arte è sentimento prima che idea, opera, storia. Un uomo non diventa artista per essere immortale ma perché vuole, pensa, agisce, sente, vive diversamente dagli altri. A lui interessa soprattutto esprimere tale diversità e lo farà pur a costo di gravi incomprensioni, sofferenze e sacrifici come sempre è stato. Il pensiero dell’ immortalità non rientra tra i suoi moventi poiché egli ha già difficoltà a comunicare nel presente ed il futuro non può che riuscirgli oscuro ed impossibile da prevedere. Pertanto quello dell’aspirazione  ad eternarsi non può essere considerato un motivo di distinzione tra artisti, non appartiene a loro, è un fenomeno esterno, legato all’accoglienza che gli altri, contemporanei e poi posteri, riserveranno. Saranno questi, col loro giudizio, a determinare il significato e il valore di un’opera ed a continuarli o meno indipendentemente dall’autore. Nei casi di positiva accettazione la conoscenza e diffusione di quell’opera diverranno sempre più ampie e si continueranno nella memoria, nel pensiero, nella cultura, dando luogo a ricorrenze e celebrazioni.

L’operazione di restauro potrebbe essere considerata in questo senso, quale, cioè, un atto di riconoscimento a ciò che è già immortale come l’antico o già noto come il moderno. Restaurare non ha mai significato immortalare dal momento che non ha mai riguardato lo spirito dell’opera ma soltanto la sua materia qualunque essa sia stata ed a qualsiasi tempo sia appartenuta. Si restaura quando c’è necessità di ricomporre i mezzi usati e non si restaurano soltanto opere antiche divenute immortali ma tutto ciò che, in campo artistico, lo richiede. Seguendo l’Oliva dovremmo pensare di spiegare gli artisti dal modo di creare o trattare la propria opera quando si sa che questa è un ennesimo riflesso della complessità del loro spirito. A tal riguardo la casistica è di una varietà infinita: si pensi ad autori che sono morti disperati per non aver completato l’opera concepita e ad altri che sono stati volutamente frammentari, a quelli che sono giunti a rarefare, per estrema elaborazione, la propria espressione ed a quelli che l’hanno ripudiata fino a preferire il silenzio o la pagina o la tela bianca o la distruzione dell’opera compiuta, a chi ha atteso devotamente alla creazione, l’ha custodita e curata la diffusione ed a chi ne ha quasi impedito la conoscenza per aver operato con disordine ed incostanza. Questi e tanti altri casi si sono verificati, sia presso gli antichi sia presso i moderni, perché così voleva una spiritualità complessa e movimentata come quella artistica e non l’aspirazione o meno all’immortalità. Non si può, quindi, parlare di necessità o inutilità di restaurare un’opera d’arte né considerarle come conseguenze di una cercata o rifiutata immortalità giacché questa e quelle hanno seguito e seguono altri percorsi.


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