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Paolini e l’arte
(Non tutto è perduto)

di Antonio Stanca

A Milano in via Fogazzaro, presso la Fondazione Prada, dal 29 ottobre è in corso una personale, “Ipotesi per una mostra”, di Giulio Paolini (Genova 1940), maestro d’arte concettuale tra i più noti anche all’estero. Sue opere, calchi in gesso, citazioni, frammenti di autori del passato, riflessioni sulle possibilità di riprodurre i loro lavori o parte di essi, sono  esposte nei principali musei del mondo. Questa di Milano è un’operazione alla quale Paolini aveva pensato già nel 1963 e non aveva mai realizzato. Ora è giunto il momento e l’autore, insieme al critico Germano Celant che lo ha seguito fin dagli inizi, sono a Milano per presenziare una mostra che reca il titolo di quella non avvenuta. Anche molte opere oggi esposte sarebbero dovute comparire  allora.

Limitativo, tuttavia, sembra, quando si dice di Paolini, rifarsi a date, periodi, tempi ben precisati ché le sue indagini sulla creazione in arte, sul linguaggio artistico, su parti di opere, sulla storia dell’arte, sono  iniziate da molto tempo e lo hanno condotto a superare la prima maniera, quando tendeva a risentire dell’esterno, a riferirsi all’immediato, al contemporaneo. Alcune delle opere della mostra risalgono a tale fase della sua attività mentre altre riflettono la posizione maturata dopo.  Procedendo nel suo sistema d’idee ed opere  Paolini è giunto a rifiutare ogni espressione d’arte che risulti collegata con la realtà del suo tempo, che voglia comunicare un messaggio ad essa legato, che sia cronaca delle circostanze più vicine.

Ai nostri giorni, invece, sembra essersi stabilita, per l’arte, una concezione che la vorrebbe libera da tutto quanto l’ha sempre caratterizzata, vorrebbe, cioè, scaricarla, quasi fossero pesi ormai insopportabili, di quanta idealità e trascendenza l’hanno, per secoli, segnata e ridurla ad una delle tante voci delle quali la modernità si compone.   Sia  per gli autori sia per il pubblico pare fissata la regola di dare e ricevere per arte una scrittura, in prosa o in versi, una pittura, una scultura, un teatro, una musica che traducano la vita, la realtà, la contingenza. Ed ancora si vorrebbe giustificare tale tendenza adducendo la funzione d’istruzione che simile arte avrebbe presso i lettori o spettatori o ascoltatori.

Un’arte non lontana dalla cronaca, un’arte che informa e per questo si pensa che istruisca senza valutare che così fanno i mass-media!

Questa non è arte, dice Paolini, perché l’arte non si concepisce o produce per gli altri, per il pubblico, non è lo specchio di un tempo specifico, non uno dei tanti mezzi di comunicazione, non istruisce se non senza volerlo. Essa esiste, vale innanzitutto per il suo autore, esprime quanto avviene in lui, nei suoi pensieri e sentimenti, non può essere riportata a motivi diversi dalla sua spiritualità, non si rivolge all’esterno ma all’anima poiché da essa viene, non finisce col suo tempo o autore come una comunicazione qualunque ma dura anche dopo di essi. E’ la concezione classica, tradizionale dell’arte che, grazie a Paolini, mostra di essere giunta intatta ai nostri giorni, di durare ancora.

Fortunato, pertanto, si considera il maestro genovese di fronte al successo che riesce ad avere con i suoi lavori dal momento che questi in un’atmosfera come la contemporanea risultano estranei, unici, quasi inspiegabili. Oggi, in arte, non si produce per dopo ma per il momento e la posizione di Paolini è diversa da tale contesto, contraria ad esso. Nonostante tutto essa viene accolta e apprezzata e il fenomeno fa pensare che, almeno in arte, non tutto è perduto.


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