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Parise da "Lontano"
(Una realtà senza confini)

di Antonio Stanca

Negli anni 1982-83, poco prima della prematura scomparsa (1986), il giornalista-scrittore Goffredo Parise, nato a Vicenza nel 1929, pubblicò sul "Corriere della Sera" delle brevi prose nella rubrica dal titolo "Lontano". Ora la casa editrice Avagliano le ha raccolte in un volumetto curato da Silvio Perrella e intitolato come allora "Lontano". Sono ricordi d’infanzia, adolescenza, resoconti di viaggi in Italia e all’estero, racconti di esperienze vissute, tutti esposti in uno stile libero da convenzioni come in genere succedeva nell’"anarchico" Parise, in una prosa che si muove svelta tra situazioni, persone, ambienti vicini e lontani, piccoli e grandi, presenti e passati, che aderisce alla realtà e nel contempo se ne distacca, fugge da essa, la priva dei contorni e procura all’esposizione un tono vago, disattento, distratto. Così ha creduto Parise di esprimere, dicendo della vita, la sua concezione di essa quale fenomeno infinitamente, interminabilmente precario, incerto e la convinzione circa l’impossibilità di risolvere il problema, di pervenire a delle certezze. Amico di Comisso, Gadda, Moravia, Pasolini e soprattutto di Montale, Parise cercava come lui il "varco" che permettesse di accedere alla vita voluta o almeno di capire il significato di questa ma come lui aveva finito col rinunciare all’impresa, con l’arrendersi.

Di qualunque argomento si tratti nelle prose di "Lontano", incontri con personaggi famosi quali Marylin Monroe, Fidel Castro, esperienze tra adolescenti, viaggi a New York, Hong Kong, Londra, Parigi, Mosca, Giacarta, Macao, Padova, Venezia, visite a noti locali o edifici pubblici, percorsi tra foreste, montagne, fiumi, laghi, villaggi di popolazioni indigene, di quanto visto, sentito, detto e fatto dal Parise insieme a guide, compagni di viaggio o di circostanza, la sua scrittura riporta i particolari e se ne allontana creando continue situazioni di evanescenza, di sogno, delle quali riesce difficile precisare i confini.

In Parise, poco più che cinquantenne, era ricomparsa prepotente, convinta, la sua prima maniera, quella dei romanzi d’esordio, "Il ragazzo morto e le comete"(1951) e "La grande vacanza"(1953), dove dominante era stato il perseguimento, nel contenuto e nella forma, di effetti indefiniti, sospesi tra realtà e fantasia, verità e magia. Questa fase era stata seguita da opere d’impegno decisamente realistico ("Prete bello"1954, "Il fidanzamento"1955), da altre volte a criticare aspramente l’alienante condizione di vita comportata dalla moderna società industriale ("Il padrone"1965, "Crematorio di Vienna"1969) ed ancora dai racconti, tra reali e immaginari, delle due raccolte dei "Sillabari"(1972, 1982). Dopo tale percorso, nel quale va inclusa l’attività giornalistica dell’autore svolta per "La Stampa", il "Corriere della Sera" e "Il Resto del Carlino" e composta dai famosi reportages dei suoi viaggi in Oriente, Africa, Cile, Perù, Giappone, Vietnam, Parise ritorna, con "Lontano", alla posizione iniziale, ridiventa indistinto, surreale e stavolta non in opere di narrativa ma di rievocazione, in un diario. Ritorna tra quelle strade del mondo che tanto aveva amato, cercato e conosciuto ma per mostrarsi disorientato, smarrito, privato delle verità, delle realtà, che sembrava aver acquisito tramite l’opera. E’ la conferma definitiva di un bisogno ancora inappagato, di una vita sentita come impossibile da collegare con un senso, da riferire ad un destino, di un’esistenza rimasta indecifrabile almeno per l’uomo.


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