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Per una letteratura degli umili
(Da Napoli una scrittrice)

di Antonio Stanca

Da  minimum fax è stato recentemente pubblicato “Mosca più balena” della giovane Valeria Parrella che vive a Napoli ed è alla sua prima prova narrativa. Si tratta di una serie di sei racconti ambientati nella Napoli dei nostri giorni e interpretati soprattutto da donne del popolo ed in situazioni e vicende proprie della vita nei sobborghi di una grande città: un matrimonio a sorpresa, un’affermazione cercata anche a prezzo del proprio decoro, un sogno sempre inseguito, la ricerca sistematica e inutile di un posto di lavoro, legalità e illegalità nella realizzazione di un progetto, precarie  condizioni  economiche e adesione alle più diverse evenienze, una maternità inaspettata. Per dire di un’umanità così varia e viva la scrittrice usa una lingua quanto mai aderente ai contenuti, agile, svelta, cioè, nel rendere pensieri, azioni, propositi, sentimenti, ricordi, nel fare  dei personaggi e delle loro circostanze dei quadri di vita vera, autentica, che attraggono e coinvolgono il lettore fin dall’inizio. Il ricorrente uso del dialetto, lo stile paratattico, i modi del parlato evidenziano maggiormente gli effetti d’immagine, colore, suono, muovono, animano ancor più quanto presentato.

A  prima vista vien  da chiedersi cosa  s’è  proposto d’ottenere la Parrella  col libro oltre che la documentazione di alcuni momenti o aspetti o eventi di una vita che si svolge ai confini di quella nota, “in periferia”, se ci sono state altre aspirazioni e se sono rimaste inespresse. Soprattutto quando si tratta di letteratura, di arte è difficile accettare un’opera che non voglia trascendere la realtà per assurgere ad una dimensione, un significato, una verità diversa, superiore. Non convince quando essa rimane nei limiti della cronaca, della registrazione di quanto è accaduto o accade.

Ma non è questo il caso della Parrella, non sono queste le sue intenzioni anche se non si può negare che sono le prime a comparire e risaltare. La scrittrice si rivela subito vera, reale, immediata nel contenuto e nella forma e, tuttavia, non rinuncia all’idea perché trattare di una certa realtà ha per lei valore ideale, serve a denunciare  dei modi di vivere che passerebbero inosservati, a dar voce ad un’umanità che rimarrebbe sommersa nonché a produrre una narrazione liberata dai tanti astrattismi, concettismi, dalle innumerevoli artificiosità che ultimamente hanno invaso e confuso il campo letterario riducendone la validità e l’efficacia. Ad una tendenza ormai diffusa nella letteratura dei nostri tempi la Parrella intende reagire, per un problema che sembra divenuto insolubile vuole indicare una soluzione, ad un lettore che si è smarrito vuole permettere di ritrovarsi tramite quelle situazioni, quelle figure da lei rappresentate come proprie della vita. Si spiegano, così, le tante donne di questi suoi racconti che, pur in circostanze diverse, si mostrano tutte e sempre pronte ad impegnarsi, agire, lottare, sperare, rinunciare, arrendersi, vivere in ogni modo ed a qualunque condizione. Le loro sono esperienze che si verificano lontano dagli ambienti diffusi, sono vite faticate, sofferte, esposte ad imprevisti, cambiamenti, pericoli ma questo non le scoraggia e da qui il fascino che le avvolge e le lega al lettore simili ad eroine di una nuova, moderna epopea, quella dei tanti emarginati, diseredati che il progresso tecnologico, la società dei consumi hanno creato ed ai quali hanno riservato un’esistenza fatta d’interminabili sotterfugi, d’infiniti espedienti, una vita intesa quale continua avventura e sempre disposta ad adeguarsi,  accettare quanto avviene pur se diverso da quanto si era sognato o sperato.

Di questa umanità di umili, di esclusi la Parrella  ha scritto nella sua opera che, per essere la prima, lascia intravedere sviluppi di buono ed alto livello e per essere così particolare fa pensare ad una maniera di dirsi scrittori oggi.


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