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Attualità di Pavese

di Antonio Stanca

Sorprende che oggi lo scrittore e poeta Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, Cuneo, 1908- Torino, 1950) sia uno degli autori più ristampati e tradotti e la sorpresa diventa maggiore e  la spiegazione del fenomeno più difficile se si pensa che esso si verifica in un contesto quale il contemporaneo percorso in ogni sua componente da interessi concreti, evidenti, immediati, e che Pavese è stato  un autore così schivo d’esteriorità e così tormentato interiormente da giungere al dramma finale.

Quello del coraggio del suicidio è un motivo del fascino che Pavese ha sempre esercitato e poi ci sarebbe l’altro del valore indiscutibile dell’arte pur in tempi difficili quali i nostri come ha detto Eugenio Montale a Stoccolma, nel 1975, al momento del Nobel: “ … ormai … esistono due poesie [arti], una delle quali è di consumo immediato [arte-spettacolo, arte di massa] e muore appena è espressa mentre [per] l’altra [frutto di solitudine e di accumulazione]… non c’è morte possibile…”. Limitate, tuttavia, sembrano queste motivazioni poiché legate una a certi lettori, l’altra a certi ambienti mentre il suddetto avvenimento è di più vasta portata e va attribuito ad altre cause. Una potrebbe consistere nella particolare figura di Pavese, nella sua condizione spirituale perennemente indecisa tra partecipazione ed evasione, accettazione e rifiuto. In questo stato d’animo possono riconoscersi oggi molte persone, quelle che già intravedono la crisi di quanto i tempi e gli ambienti moderni avevano approntato per tutti. Sino ad anni fa si era vissuti soprattutto di certezze, ci si era convinti che gli sviluppi della scienza e della tecnica sarebbero stati capaci di garantire miglioramenti tali e talmente estesi da eliminare ogni vecchio problema, individuale o sociale, fisico  o psichico, d’azione o di pensiero. E’ stata questa una rivoluzione che ancora continua e che ha permesso ad intere masse della popolazione mondiale di liberarsi da eterne condizioni di esclusione ed ignoranza. La comunicazione si è vista servita da sistemi e mezzi tecnici sempre più perfezionati, rapidi e accessibili, nel suo compito di diffondere la conoscenza non solo del presente ma anche del passato nonché di un futuro lasciato intendere sempre come migliore, più vantaggioso, più sicuro. Questo non è avvenuto e si può dire che quel futuro annunciato come “l’età dell’oro” per la moderna umanità si è rivelato, invece, carico di problemi di ogni sorta: non verso il recupero, l’integrazione e parificazione si sta ora procedendo ma verso la separazione ed una più grave esclusione di molte fasce sociali o popolazioni, non verso la distensione dei rapporti privati e pubblici ma verso una sempre maggiore tensione come se il moderno fosse stato un processo di liberalizzazione degli istinti più remoti e pericolosi dell’uomo. Pertanto chi aveva creduto e sperato è oggi confuso, disorientato: non sa se continuare a credere nel progresso, nei suoi pur evidenti e innegabili vantaggi oppure rifiutarli a causa del grave prezzo da essi richiesto, se aderire ai tempi o rifuggirne senza peraltro capire come o dove. Tale condizione d’incertezza si va estendendo sempre più senza distinzione di classe sociale, situazione economica, età, cittadinanza, lingua, storia, cultura.

Anche se isolatamente e per altri motivi Pavese visse un identico stato d’animo, lo soffrì, lo combatté fino a rimanervi vittima. Ne è documento ampio e puntuale il suo diario “Il mestiere di vivere” oltre che la sua opera, in versi e in prosa, collegata quanto mai con la sua vita. Pertanto conoscere, leggere oggi Pavese significa ritrovare se stessi, scoprire una maniera più profonda di vivere i propri sentimenti, cercare insieme a lui delle possibilità per risolvere un problema comune, partecipare di vicende, personaggi che sono la rappresentazione dei propri pensieri in quanto sospesi tra realtà e idea, assenso e dissenso, impegno e abbandono. In questa particolare condizione dello spirito, in “… quest’uomo che gira/tutto il giorno le strade…” alla ricerca di un riferimento sicuro, di una definizione del proprio stato, è possibile, per tante persone dei nostri tempi, riconoscersi giacché,s’è detto, anch’esse sono divenute incerte circa la via da seguire.

In un autore della crisi c’è un’umanità che identifica la propria crisi, nei suoi sogni di mondi lontani essa vede i propri vagheggiamenti di ambienti diversi da quelli creati dalla scienza, nel suo lirismo il proprio bisogno d’intimità, nelle sue esitazioni le proprie perplessità.


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