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Una donna e la guerra

di Antonio Stanca

 

A cinquantunanni, nel 1917, la scrittrice inglese Elizabeth von Arnim scrisse il romanzo “Christine” e lo pubblicò con lo pseudonimo di Alice Cholmondeley poiché si sentì esposta all’accusa di voler diffondere un messaggio di condanna del popolo tedesco. L’opera ebbe in Inghilterra un successo immediato, ci furono otto edizioni in pochi mesi. In essa l’autrice, mossa dal dolore per la morte della giovanissima figlia Felicitas avvenuta nel 1916 in Germania dove si era recata per studiare musica, costruisce l’ampia storia di Christine. E’ un romanzo in parte autobiografico che ora la Bollati Boringhieri ha pubblicato col titolo “La storia di Christine” e la traduzione di Simona Garavelli.

Il lavoro s’inserisce nella vasta produzione narrativa della von Arnim che, nata a Sidney nel 1866 e cresciuta in Inghilterra, era vissuta per parecchi anni in Pomerania dopo il matrimonio col conte tedesco August von Arnim. Aveva avuto quattro figlie e un figlio ma poi, rimasta vedova, era tornata a Londra. Avrà altre relazioni, si sposerà di nuovo ma ogni volta sarà delusa, scontenta. Vivrà tra Londra, la Svizzera e la Francia e morirà nel 1941 negli Stati Uniti. Suoi parenti, amici, mariti, amanti erano state persone di rilievo in ambito sociale e culturale ma di nessun rapporto si era sentita soddisfatta, altro aveva sempre cercato. Ne sono prova la vita che ha trascorso, l’insofferenza, l’instabilità, l’irrequietezza che l’hanno caratterizzata. Il suo era uno spirito libero, aperto, un pensiero ampio, cosmopolita, detestava gli ambienti limitati, provinciali, era contraria ad ogni forma di autoritarismo, ad una società dove comandavano gli uomini e negate erano molte possibilità alle donne. Decisamente femminista è l’orientamento delle tante sue opere narrative iniziate nel 1899 con “Il giardino di Elizabeth”. Scriverà pure per il teatro (“Priscilla runs away”, 1910) e si può dire che alla scrittura la von Arnim, insaziabile lettrice, approdò per rifarsi di quanto la vita le toglieva, per compensare le perdite alle quali le donne sono esposte, per dire di ciò che una donna può, sa fare, di come agiscano in lei i valori dello spirito, la forza dell’anima.

Uno dei più riusciti esempi di tale tendenza della sua produzione è “La storia di Christine” dove la triste vicenda della figlia si trasforma nella storia di una vita, di un popolo, di una nazione, di un’epoca. Come la figlia Felicitas anche la giovane Christine del romanzo morirà in Germania dove era andata per un solo anno, 1914, a ricevere lezioni di violino. Christine ha soltanto la madre che ha lasciato in Inghilterra, a lei è molto legata ed a lei scrive in continuazione della sua vita a Berlino ed in altri posti vicini. Le sue lettere costituiscono l’opera e da esse traspaiono l’affetto, l’adorazione che la ragazza ha per la madre, il suo entusiasmo per la loro vita futura quando sarebbe diventata una famosa musicista e la sua perplessità circa lo strano rapporto che si è creato tra lei ed i nuovi ambienti, le nuove persone. Gentili sono i suoi pensieri, delicati i suoi sentimenti ma distante, quasi ostile è il trattamento che le viene riservato perché straniera. Esclusa continuerà a sentirsi nonostante le sue buone disposizioni ed i miglioramenti, i successi riportati nelle lezioni di musica. In una situazione simile avverranno l’incontro e l’innamoramento col giovane ufficiale tedesco Bernd. Uguali, di bene, di amore, si scopriranno i loro sentimenti e felice sarà Christine di amare e di essere amata.

Intanto è avvenuto “l’assassinio di Sarajevo” e la Germania, la sua gente, le sue case, le sue strade, le sue piazze, si sono infervorate, inneggiano alla guerra, procedono verso quella che sarà la prima guerra mondiale, perseguitano gli stranieri che si trovano sul loro territorio specie se di paesi che saranno nemici nell’imminente conflitto. Questo inquieta Christine, la spaventa e, aiutata da Bernd, fugge verso la Svizzera dove in quel momento si trova la madre. Ma ammalatasi muore sola in un ospedale di Stoccarda.

Di tutto aveva scritto alla madre che riceverà le ultime lettere quando le è già stata comunicata la notizia della morte della figlia. Anche l’estrema speranza di ricongiungersi alla madre è stata negata a Christine, il suo tanto bene è stato sommerso dal male: è il tragico confronto che emerge dal libro. Quello che all’inizio era stato l’imbarazzo di una ragazza che si vedeva sempre ostacolata erano diventati col tempo il suo sgomento, il suo terrore. Sola tra una moltitudine di persone avverse si era trovata e insieme alla storia della sua anima anche quella della Germania di un particolare periodo contengono le lettere dell’opera. Complessa, articolata  diviene la trama di questa, segue lo svolgersi degli eventi privati e pubblici, li combina,  li intreccia, li rende con la massima naturalezza e  giunge a quando i tedeschi considerano la guerra l’unica, la migliore soluzione poiché sono convinti di prevalere su qualunque avversario, di essere più forti di tutti, di aver diritto ad allargare il proprio dominio. Impossibile, irreale sembra a Christine ma niente, neanche l’amore per Bernd, l’aiuta in una situazione così drammatica. Ne rimarrà vittima, sarà un’altra delle donne della von Arnim sconfitte da un mondo solo maschile, da una vita che segue direzioni opposte a quelle dell’anima, sarà un’altra delle opere dove la semplicità, la finezza dell’autrice diventeranno le qualità della sua scrittura. Ancora una volta prezioso risulterà il suo linguaggio per quanto è chiaro, per come scorre.

“Parva sed apta” è scritto sulla sua tomba nel Buckinghamshire con riferimento al suo aspetto e alle sue qualità.


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