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Yasushi: nei segreti della vita
(Una tradizione che si rinnova)

di Antonio Stanca

C’è tanto di tradizione letteraria giapponese antica e moderna, il motivo del destino, la forza dell’amore, la presenza della morte, l’ambientazione famigliare, ma c’è pure tanto di un autore come Inoue Yasushi (Asahikawa, 1907-Tokyo, 1991), della sua scrittura chiara, scorrevole, della sua capacità di penetrare nelle zone più remote dell’anima e soprattutto della sua concezione della vita quale mistero da svelare, dilemma da chiarire. Tutto questo nel breve romanzo dal titolo “Il fucile da caccia”, che Yasushi scrisse nel 1949 e Adelphi ha recentemente ristampato. Oltre che autore di romanzi e racconti (“La montagna Hira”, 1950; “Vita di un falsario”, 1951; “Ricordi di mia madre”, 1975; “Honkakubo ibun”, 1981) Yasushi è stato poeta, saggista e studioso di vita, storia e cultura dell’antico Giappone e della Cina. “Il fucile da caccia” è la sua prima opera narrativa e qui egli, quarantaduenne, raggiunge una delle maggiori espressioni della sua produzione in prosa e della moderna letteratura giapponese.

E’ un romanzo epistolare: nel Giappone del dopoguerra in ambienti agiati tre donne scrivono ognuna una lettera ad un uomo e questi invia le tre lettere allo scrittore Yasushi, del quale ha saputo quando si è riconosciuto in una sua poesia. E’ anche poeta lo scrittore ed una volta, molto tempo prima, la vista di un cacciatore, che procedeva solo, calmo, solenne, in un bosco col fucile ed il cane, gli aveva ispirato un componimento in versi pubblicato poi nella rivista “L’amico del cacciatore” col titolo “Il fucile da caccia” da cui quello del romanzo. Quel cacciatore era, quindi, l’uomo delle lettere, Misugi Josuke, che, dopo aver ringraziato l’autore per essere stato da lui trasformato nel personaggio di una poesia, gli trasmette ora le tre lettere affinché sappia della sua vita. Dopo averle lette gli chiede di distruggerle ma lo scrittore-poeta pensa di trascriverle.

Molto originale la costruzione del libro: un’idea viene presentata come una vicenda naturale che, esposta all’inizio, attira immediatamente il lettore e lo coinvolge fino alla fine.

La prima lettera è stata inviata a Misugi dalla nipote Shoko, che dal diario segreto della bellissima madre, Saiko, ha saputo della relazione tra questa e Misugi durata tredici anni fin quando, cioè, la donna si è data la morte col veleno per liberarsi dagli infiniti sensi di colpa accumulati per tutto quel tempo. Shoko dirà allo zio che non avrebbe mai potuto immaginare una cosa simile, che mai aveva pensato che amore potesse significare anche dolore, dramma, morte, che ci fossero situazioni diverse, realtà opposte a quelle che si vedono. Dice, infine, di non voler avere più rapporti con lui né con la zia e di essere pronta a trasferirsi lontano.

La seconda lettera è di Midori, giovane moglie di Misugi, che mentre dichiara al marito di volersi separare, di attendere il suo consenso per il divorzio, mentre gli chiede la parte del patrimonio che ritiene le spetti, si sofferma pure ad informarlo di quanto ha sofferto quando ha scoperto la sua relazione con la cugina Saiko, di quanto le è costato il confronto con una donna così bella. Pur avendo pensato di vendicarsi cercando altri uomini non lo aveva mai fatto. Si è sentita, tuttavia, attirata da alcune figure maschili. Nei riguardi del marito i suoi sentimenti sono ancora di amore ma anche di odio, di stima ma anche di disprezzo e, pertanto, ritiene sia meglio porre fine al loro rapporto ed iniziare una nuova vita.

La terza ed ultima lettera è dell’amante Saiko, che, dopo averlo avvertito che al momento della lettura ella sarà morta, gli dice di essere stata felice del loro amore, di essersi sentita compensata dei tradimenti e dell’abbandono da parte del marito ma lo informa pure di essere stata, col tempo, assalita da tanti rimorsi, da così gravi sensi di colpa per quel che avveniva tra loro da non aver più saputo resistere e da giungere al suicidio. Con lui aveva goduto ma anche e soprattutto sofferto: questa è la verità che intende rivelargli, questa la vera Saiko, quella non comparsa all’esterno, rimasta a tutti sconosciuta.

Quanta vita dietro l’immagine casuale di quel cacciatore che aveva mosso Yasushi nella sua poesia! Quante persone e vicende dietro la sua solitudine! Quali affanni nascondeva il suo procedere lento, sicuro! Quale fascino per chi legge tante scoperte!

E’ questo il messaggio dello scrittore, l’impegno perseguito nelle sue opere: scoprire cosa si nasconde dietro le apparenze. Quel che si vede delle persone, uomini o donne, non le completa e spetta allo scrittore il compito di farlo, di esaurirle nel loro significato, spiegarle nelle loro azioni, chiarirle per quanto è possibile. Una funzione didattica viene anche assegnata da Yasushi alla letteratura, un impegno concreto che egli riesce a non far trasparire grazie alla spontaneità e freschezza del lessico, alla semplicità e levità della forma. Si ha l’impressione di leggere una favola dove anche temi tristi, situazioni gravi, perdono il loro aspetto tragico e rientrano tra le altre cose della vita, riescono naturali, necessarie. E’ il modo col quale Yasushi rinnova la tradizione letteraria giapponese nella quale va inserito: i grandi temi di essa sono pure i suoi ma si stenta a riconoscerli ché non sono più esterni all’uomo, non gravano su di lui, non l’opprimono dal momento che sono divenuti la sua vita anche se quella segreta, invisibile e sono resi nei modi ad essa più idonei, con una scrittura, cioè, simile ad una confessione, con una voce che non si distingue dal silenzio.


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