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Contraddizioni, sogni e progetti di un semestre per un decennio

C’è un evidente contrasto, per ciò che riguarda la scuola, tra la faticosa gestione del quotidiano, carico di incertezze e di malumori, e la rappresentazione del futuro europeo, così come la suggeriscono i processi dell’integrazione e dell’allargamento e, pur con tutti i suoi limiti, lo stesso testo della futura Costituzione europea, presentato il 20 giugno scorso a Salonicco.  L’Europa viene definita dalla Convenzione presieduta da Giscard d’Estaing, da Amato e da Dahaene “uno spazio privilegiato della speranza umana”. E’ una bella definizione.

Parlando in sede CNEL il 3 luglio scorso, il ministro Moratti ha evocato l’impegno assunto dal “vertice” europeo di Lisbona del 2000, che ha posto al centro delle politiche nazionali un grande progetto educativo e formativo, e ha introdotto in questo modo una stringata riflessione sulle prospettive entro le quali colloca il lavoro di questo semestre di presidenza italiana: “Se avremo successo, l'Europa diverrà alla fine di questo decennio la società fondata sulla conoscenza più competitiva e dinamica al mondo e sarà in grado di realizzare una crescita sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro e con minori rischi per tutti di esclusione e marginalizzazione sociale”. Ha espresso la convinzione che si stia “chiaramente affermando una visione al tempo stesso “sociale” ed “economica” del processo educativo e formativo, una visione unitaria, organica e integrata dell’istruzione e della formazione, come prospettiva strategica ormai accettata da tutti gli Stati membri dell’Unione”.

Consapevole delle antinomie che affliggono tutte le politiche scolastiche e formative, ha proposto per il semestre europeo “un cambiamento di rotta”, ossia “un approccio che sia quanto più possibile legato agli effettivi bisogni degli individui, in particolare alla loro domanda di apprendimento finalizzata ad una maggiore occupabilità e ad una maggiore partecipazione alla vita sociale”. Discorso suggestivo e responsabile, ma anche scivoloso, perché il passaggio dagli “effettivi bisogni degli individui” alla esplicita “domanda di apprendimento” lascia scoperta quell’area dell’educativo, del sociale, dell’istituzionale che fin qui si è cercato, sia pure in modo non molto efficace, di presidiare. Ed è qui la sorgente di gran parte dei timori e degli equivoci.

Il difficile sta in ogni caso nel passaggio dalle strategie alle tattiche e alle concrete scelte quotidiane, dalle visioni degli scenari al cantiere di lavoro, che non paiono sempre fra loro raccordati in maniera trasparente.

Intanto prendiamo atto che a settembre non è partito il piano di attuazione della riforma, con la temporizzazione inizialmente prevista. Il decreto che ne predisponeva l’avvio, nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria, non ha iniziato in tempo, in sede di Governo, il percorso accidentato dei pareri tecnici, politici, amministrativi necessari per diventare operativo. Non è la prima volta che si deve rivedere la tempistica delle riforme. E’ accaduto perfino, ai tempi del ministro D’Onofrio, che si lasciasse scadere senza successo il tempo fissato per la delega a legiferare sull’autonomia scolastica. I due anni della legge 53 non sono certo i 9 mesi concessi un decennio fa dalla legge 537. Tuttavia il sentiero per arrivare alla mèta è anche oggi stretto e scosceso, sul piano politico non meno che su quello tecnico.

Deve infatti muoversi nell’ambito del nuovo Titolo V della Costituzione, che prevede una nuova ripartizione di compiti fra stato e regioni, l’autonomia scolastica elevata a rango costituzionale e una difficile “concorrenza” legislativa fra istituzioni: a queste occorre aggiungere la necessità di garantire, per ogni decreto, una specifica deliberazione finanziaria.

Il 12 settembre, quando molti ritenevano che il Ministero fosse ridotto alla paralisi da difficoltà interne (si vedano il DM 61 del 22 luglio e la circolare 68, che cancella alcune parti della CM 62), il Consiglio dei ministri ha approvato il primo decreto legislativo  e il “piano pluriennale di investimenti”, in attuazione della legge 53, e ha espresso “compiacimento e plauso” alla Moratti. per due i provvedimenti presentati e, questa volta, approvati. Non mancheranno coloro che accoglieranno invece con sgomento e protesta questo annuncio. L’impresa è difficile e il provvedimento deve completare il suo iter fra Conferenza Stato Regioni e Parlamento, nella speranza che siano messi anche nella legge finanziaria gli 8.320 milioni ora annunciati, e dovrà affrontare l’impatto con una realtà amministrativa e sociale che non si presenta facile.

Pur con questa consapevolezza, l’UCIIM non può non esprimere soddisfazione perché si compie un notevole passo avanti per uscire da una paludosa incertezza. Anche se non abbiamo potuto discutere in sede ministeriale alcuni aspetti discutibili di questa riforma, riconosciamo che sul terreno delle norme si ragiona meglio che su quello delle ipotesi. Le motivazioni fornite nella sintesi finora resa nota dal Ministero sono di buon livello, l’impegno a tenere insieme istanze e valori fra cui sarebbe più facile procedere con scelte riduttive, ha dato i suoi frutti. L’interpretazione e l’attuazione delle norme sarà ora fatica collettiva. Il Ministero dovrà vegliare, incalzato dalle esperienze che saranno attivate da queste norme, che saranno verosimilmente operative dal prossimo 2004. E gli insegnanti dovranno, per parte loro, offrire e non solo chiedere garanzie.

Fra le difficoltà non è ultima quella comunicativa. Una serie di spot televisivi rassicura i cittadini sul fatto che per la realizzazione della riforma della scuola sono stati sentiti tutti i protagonisti della vita scolastica. L’espressione è iperbolica, non solo per l’impossibilità fisica di sentire tutti, ma per la scelta politica che con ogni evidenza è stata fatta dal Ministro: quella di procedere rapidamente, anche in Parlamento, senza “perdere tempo” su troppi tavoli. Viene alla mente il paragone kantiano: la colomba pensa che volerebbe più speditamente se non ci fosse l’attrito dell’aria. In realtà senza questo attrito, che non solo la ostacola, ma la sorregge, la colomba non potrebbe neppure volare. Le maggioranze parlamentari reggono il volo solo fino ad un certo punto: fuori da quella “voliera”, l’aria è costituita dalla scuola reale e dagli umori sociali, decisivi, anche se non sempre ispirati a chiarezza e lungimiranza.

Non giova, a chi guida faticosamente nella nebbia, ignorare malumori e proteste e limitarsi a evocare la vallata luminosa verso la quale ci starebbe conducendo; ma non giova neppure ai passeggeri pensare che dietro l’angolo ci sia un abisso in cui chi guida inevitabilmente ci condurrà.

Non è utile, in altri termini, che il Ministro consideri le scelte concrete e i modi di decidere attuali come i migliori possibili, perché basati su una maggioranza politica, legittimati dalla legge, magari anche da oneste intenzioni e da una visione nobile dell’Europa del futuro; come non è utile che certe forze politiche e sociali insistano sulla incostituzionalità della legge 53, sulla “controriforma Moratti” e invitino le scuole a “resistere” al processo riformatore, criminalizzandolo come puramente “funzionalistico”e “mercantilistico”. Critiche di questo genere furono fatte anche al progetto di Berlinguer.  Mentre la qualità delle relazioni fra gli esponenti dei due “poli” si va facendo ogni giorno peggiore, con la delegittimazione etica e politica reciproca, e mentre pesa come un macigno la difficoltà di finanziare la riforma, magari con indecenti condoni edilizi, il Governo stanzia 90 milioni di euro in tre anni come credito d’imposta per le famiglie che mandano i figli nelle scuole parificate.

Non è un buon momento per richiamare al realismo e alla coerenza, con la sostanza del dettato costituzionale e con la legge 62, coloro che da 50 anni si sono bloccati dietro il “senza oneri”, al di là delle intenzioni degli stessi costituenti. Anche perché è stata da poco varata la legge 186, che prevede modalità concorsuali per l’immissione in ruolo degli insegnanti di religione, mentre i concorsi per le altre discipline sono rimasti finora bloccati. E’ triste che provvedimenti in sé modesti, che sono stati pensati invano per decenni come segnali di giustizia sostanziale e di illuminata politica scolastica, avvengano in un quadro politico e in un clima relazionale pessimi, in cui vengono considerati o come conquiste di parte, o come delitti contro la Costituzione. L’identificazione del privato e del cattolico col privilegio e con l’ideologia, e magari col governo, confonde le idee, anziché facilitare la comprensione di una realtà complessa.

Di fatto ora ai cattolici si prospetta un’occasione per dimostrare insieme l’amore per la libertà, per la solidarietà, per la scuola statale e per la scuola paritaria, entrambe autonome e parte del sistema formativo integrato: e insieme si presenta l’occasione per confermare, in attuazione delle nuove norme, ciò che si è voluto e cercato di fare al meglio negli scorsi anni: un insegnamento della religione cattolica inteso come cultura, come servizio alla persona e alla comunità, e non come un favore fatto al Vaticano o come prevaricazione ideologica.

Sciupare energie per contrastare, a leggi varate, disegni pur in sé discutibili, ma tuttavia legittimi e non palesemente insensati, significa allontanare anziché avvicinare quella società “normale” che tutti diciamo di volere. Sento di nuovo parlare di referendum. Ognuno degli ultimi, “celebrati” e regolarmente falliti, è costato poco meno di mille miliardi delle vecchie lire, che si sarebbero potute impiegare molto meglio per gli obiettivi che stanno a cuore ai cittadini. Decisamente non sono solo i ministri di turno a portare le responsabilità di scelte sbagliate e di forzature improduttive.

Il ruolo dell’associazionismo professionale dei docenti, che dovrebbe essere valorizzato in questa difficile stagione, ha tutte le carte in regola per cercare un dialogo non pregiudizialmente schierato, sia con le istituzioni, sia col mondo della scuola. La deontologia professionale alla quale stiamo lavorando non è masochismo, ma capacità di tenere l’ago della bussola professionale orientato verso i valori che sono in gioco, nelle concretezza dei processi di trasformazione, nonostante le nebbie e le bufere, che nascondono  temporaneamente la stella polare del bene comune.

Luciano Corradini
(presidente nazionale UCIIM)


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