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I bambini tra diritti e autonomia
Convegno organizzato dal Comune di Poggibonsi (SI) in collaborazione con le scuole comunali dell’Infanzia
18 Novembre 2006

 

IL DIRITTO ALL’INFANZIA

Ringrazio per l’opportunità che ci è stata offerta oggi di riflettere insieme sui bambini e per i bambini. Da insegnante, anche sul nostro lavoro. Non ci sono molte occasioni, per cui bisogna essere grati quando vengono offerte.

Gli interventi precedenti hanno messo in luce elementi importanti sui quali riflettere tornando a casa. In particolare è stato posto l’accento sul ruolo dei genitori, delle famiglie. Io vorrei soffermarmi ora sul ruolo della scuola.

A che cosa hanno diritto i bambini a scuola?

Innanzi tutto hanno diritto ad una scuola; a trovare un ambiente che li accolga e che li guidi verso “avvertibili traguardi di sviluppo in ordine alla identità, alla autonomia e alla competenza” (Orientamenti ’91).

Ed è in questo contesto che mi piace sottolineare l’importanza della legge regionale 32. Nell’art. 2, comma 2, si dice che l’insieme degli interventi della Regione Toscana nel campo della formazione “è volto alla progressiva costruzione di un sistema integrato regionale per il diritto all’apprendimento”. Non basta cioè garantire a tutti la possibilità di andare a scuola: la regione Toscana proclama il diritto all’apprendimento e nel farlo pone le condizioni della sua esigibilità. Questo vuol dire che ogni bambino, ogni famiglia ha il diritto di esigere che la scuola insegni, che contribuisca in maniera sostanziale allo sviluppo e alla formazione delle persone. Vuol dire che ciascuno può esigere per sé o per i propri figli non una scuola dove ciascuno può prendere ciò che è in grado di prendere in maniera “personalizzata”, ma una scuola competente e attenta alle esigenze di ciascuno che non canalizza precocemente in percorsi dagli esiti pesantemente differenziati, ma che garantisce a tutti pari esiti formativi.

Come è possibile garantire l’esercizio di questo diritto nella Scuola dell’Infanzia?

Attraverso l’esame attento e competente delle reali esigenze dei bambini con i quali lavoriamo ogni giorno. L’esercizio del diritto infatti non può corrispondere ad un capriccio momentaneo, ad un interesse passeggero, ad una curiosità indotta dall’esterno ( per esempio attraverso i messaggi pubblicitari). Garantire i diritti significa contribuire alla crescita armonica dei bambini, a dare espressione e realizzazione alle loro potenzialità, significa aiutare le persone a vivere meglio, fornire gli strumenti che le mettano in condizione di imparare ad imparare in tutto l’arco della vita.

I diritti nascono da una necessità reale, danno espressione alle più autentiche esigenze dei bambini, esigenze spesso disconosciute dalla cultura nella quale viviamo. L’ambiente in cui i bambini sono immersi oggi è ricchissimo di stimoli e informazioni: costringe quasi a conoscere, pensare, immaginare, ma su livelli che comportano uno sforzo cognitivo, una concentrazione e riflessione ridotti al minimo. In questo contesto la scuola deve svolgere una funzione di antidoto nei confronti di atteggiamenti superficiali e dispersivi .

Per garantire i diritti, dunque, bisogna conoscere e riconoscere le esigenze. A scuola questo si fa attraverso l’osservazione. L’ osservazione dei bambini nei diversi momenti legati alle esperienze ci mostra in tutta la loro evidenza le caratteristiche del modo di apprendere dei bambini con i quali ci troviamo a lavorare ogni giorno. Quali sono queste caratteristiche?

Innanzi tutto l’estrema difficoltà a soffermarsi sulle cose. I bambini sono abituati (a volte forzati) a passare da una cosa all’altra in maniera sempre più veloce e frenetica. Così non sono più capaci di organizzarsi il tempo e vengono presi dall’ansia del “Cosa facciamo dopo?”. Questo li porta ad affrontare i compiti che li attendono con grande superficialità, sempre proiettati verso la prossima novità che li aspetta. Collegato a questo aspetto c’è quello della facilità nel fare le cose. Siccome bisogna andare di fretta tutto deve essere facile, sbrigativo. Non si può perdere tempo ad imparare. Non c’è tempo per allacciarsi le scarpe e così si fabbricano scarpe senza lacci. Ma in questa rincorsa alla facilitazione della vita i bambini hanno solo da perdere. Perché, come ci insegnano i grandi psicologi del novecento (da Piaget in poi), i bambini di questa età imparano solo facendo (Pensiero operativo). È legandosi i lacci delle scarpe o abbottonandosi la giacca che ciascuno di noi ha interiorizzato giorno dopo giorno, in maniera del tutto inconsapevole, ma non per questo meno efficace, i concetti di dentro/fuori, sopra/sotto. È così che abbiamo imparato a confrontare quantità e qualità, a contare, a costruire quelle competenze che poi la scuola ha affinato e convogliato nei linguaggi specifici legati alle diverse discipline. Ma è un’esigenza dei bambini quella di andare di fretta? Sono loro che vogliono tutto facile? Io non credo. E la scuola non deve assecondare questi atteggiamenti, non deve giustificarli. Non deve arrendersi. Deve invece svolgere la sua funzione di antidoto, garantendo l’esercizio dei seguenti diritti:

Il Diritto alla pazienza: quella degli adulti che devono sempre considerare chi hanno davanti (bambini prima che alunni), ma anche quella che devono imparare i bambini.

Il Diritto alla fiducia. I risultati della scuola dell’Infanzia nella maggior parte dei casi non si vedono. Bisogna avere fiducia nei bambini, nella loro capacità di maturazione. Bisogna avere fiducia nel nostro lavoro (serietà, competenza). Non sono i risultati immediati, non sono i prodotti, che ci danno la cifra, la misura di ciò che realmente abbiamo fatto (servono per una rassicurazione immediata). E’ per questo che le scuole, ma anche i territori, devono investire sulla continuità, su processi che si approfondiscono progressivamente all’interno di percorsi coerenti.

Il diritto ad avere accanto adulti responsabili (che si assumono le responsabilità). Che non dicono di sì  a tutto per pigrizia. Che si assumono l’onere e la fatica di spiegare il perché dei no, ma anche quello ancora più gravoso, dell’esempio.

Il diritto all’apprendimento: ad una scuola che insegna, che lascia tracce di sé in ciascun individuo. Che valorizza le caratteristiche individuali e rafforza l’autostima attraverso una scelta (talvolta radicale) di contenuti, di percorsi significativi adatti all’età dei bambini cui sono rivolti. Una scelta che va nella direzione della selezione di pochi percorsi, lenti, distesi, ricorsivi. In questo senso, io credo sia importante rivalutare il ruolo cognitivo del “fare”: un fare concreto, legato a materiali, strumenti, gesti veri, non simulati, non virtuali. Proprio in un momento come questo in cui tutto sembra finto e anche gli adulti fanno fatica a distinguere la verità dalla fiction, il reale dal reality, credo sia importante riportare i bambini alla concretezza delle cose, al fare con perizia, con pazienza, con costanza. Nella scuola dell’infanzia non si semina per diventare agricoltori, non si dipinge per diventare pittori. Si fanno queste esperienze perché, attraverso di esse, i bambini comprendano la necessità di quelle virtù (pazienza, perizia, costanza, ma anche attenzione, collaborazione, disponibilità…) che hanno consentito nei secoli all’uomo di produrre oggetti attraverso i quali esprimere la propria creatività e riescano ad utilizzarle al meglio combinandole con gli strumenti che la tecnologia è in grado di offrirci oggi.

Nel 1976 il Prof. Trisciuzzi pubblicava un libro intitolato La Scoperta dell’infanzia.

Oggi si assiste al fenomeno opposto: alla scomparsa dell’infanzia. Bambini sempre più trattati da adulti, vestiti come adulti, che parlano come gli adulti. Ci dicono che il mondo è cambiato e che i bambini sono diversi, più stimolati, più attivi, più pronti. E in effetti la nostra è una società più ricca, più tecnologica, più stimolante e sarebbe stupido rimpiangere tempi (neanche troppo lontani) in cui il livello qualitativo della vita era sicuramente più basso. Ma noi dobbiamo usare tutte le potenzialità, le tecnologie, le ricchezze del nostro mondo per ampliare i diritti dei bambini, per consentire loro di vivere in maniera più piena la loro età, non per negare le sue prerogative, non per disconoscere le sue caratteristiche in nome di anticipazioni senza senso, di accelerazioni che non portano da nessuna parte e che sono solo i bambini a pagare.

Perché il primo diritto dei bambini è il diritto all’infanzia.

Paola Conti
Insegnante di Scuola dell’Infanzia. Ulignano, Istituto Comprensivo di San Gimignano.
Segreteria CIDI Firenze.

 


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