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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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* L’INDAGINE OCSE /PISA 2003 NELLE SCIENZE:
COMPETENZA O IGNORANZA PEDAGOGICA?

Eleonora Aquilini
Vicepresidente nazionale DD-SCI

 

L’ “Introduzione alla valutazione”

L’indagine OCSE/PISA è ambiziosa e importante. Si vuole valutare indirettamente la scuola partendo dalle competenze raggiunte dai quindicenni nella lettura, la matematica, le scienze, il problem solving. Si precisa in più punti che si vuole mettere distanza   dal curricolo scolastico, ossia dalle conoscenze e abilità strettamente legate al contesto scolastico, per porre l’accento sulla loro trasferibilità in situazioni extrascolastiche. Leggiamo, infatti: “Non si valutano la padronanza di parti del curricolo quanto la capacità di utilizzare conoscenze e abilità, apprese anche e soprattutto a scuola, per affrontare e risolvere problemi e compiti analoghi a quelli che si possono incontrare nella vita reale. La valutazione va quindi oltre la scuola, che viene valutata in relazione ad un criterio esterno ad essa rappresentato dalla preparazione dei giovani per la vita.”(1)

Queste asserzioni hanno il pregio di dare una definizione  abbastanza chiara, non fumosa, di quella che successivamente viene chiamata competenza: si è competenti quando si è capaci di trasferire in altri ambiti le conoscenze e le abilità acquisite a scuola.  La scuola viene quindi valutata in relazione alle competenze degli alunni.

 Si definisce bene il concetto di competenza prendendo chiaramente distanza dal programma dei singoli paesi: “ Il progetto OCSE /PISA si basa su una concezione dinamica dell’apprendimento per tutta la vita, secondo la quale si acquisiscono continuamente nuove conoscenze e abilità che sono necessarie per adattarsi con successo ad un mondo in perenne mutamento. Il progetto OCSE/PISA focalizza l’attenzione su ciò di cui i quindicenni avranno bisogno per il futuro e mira a valutare che cosa essi siano in grado di fare con ciò che essi hanno appreso. I programmi dei singoli paesi dunque rappresentano la cornice dell’indagine senza tuttavia costituire un vincolo”(2).

Si capisce quello che si vuole dire: al di là dei singoli programmi bisogna  cercare di capire come sono spendibili nella vita le conoscenze acquisite a scuola.  Credo  però che nel momento in cui si vada a considerare il curricolo una cornice e quindi lo si metta sullo sfondo mettendo in primo piano altro ( la competenza) bisogna avere chiaro ciò che si dà per scontato e ciò  da cui si vuole prescindere.

Per curricolo si può intendere,  la sequenza degli argomenti svolti nelle varie discipline negli anni e

allora   si usa questa parola come sinonimo di programma  ( l’accezione in cui viene usata questa

 parola  in questo contesto è questa), oppure si può intendere il complicato processo dell’insegnamento - apprendimento centrato sull’apprendimento degli studenti e non sulle discipline. Sia in questa logica che in quella del  programma, non è semplice capire che cosa s’intende per competenza da valutare.

Pensando all’apprendimento come ad un processo pianificabile, si possono enumerare  un certo numero di conoscenze e  abilità che definiscono il programma e queste, in seguito alla elaborazione personale, diventano competenze. In un certo senso, nel processo d’apprendimento la competenza diventa l’atto finale di una sequenza di atti cognitivi ben  schematizzabili.

In questa ottica “lineare”, di solito il programma della disciplina è riferito all’organizzazione convenzionale e accademica dei libri di testo. Conoscenze e abilità sono dell’alunno ma sono piegate sulla disciplina perché l’alunno è piegato sulla disciplina e non viceversa. Allora l’idea di  competenza si deve svincolare dal contesto che è in primo luogo disciplinare, acquistare linfa dallo spirito critico di ognuno e diventare qualcosa di più, avere un valore aggiunto rispetto alla conoscenza disciplinare.

 Sinceramente penso che, comunque lo s’intenda, il processo di trasferimento di modalità di  pensiero “analogo” in contesti diversi, per arrivare a,  per essere  competenti nei modi di esercitare il pensiero, sia alquanto misterioso. Mentre sembra di poter rintracciare legami di causa/ effetto tra conoscenze- abilità- sapere- saper fare,  quando si cercano i fili che legano queste capacità cognitive alla competenza, essi scappano dalle dita, si confondono e non si riesce a rintracciare la trama interpretativa. Il passaggio dalle conoscenze e dalle abilità alle competenze è complicato perché nel mezzo ci sta l’individuo, la sua capacità di stabilire connessioni in modi sempre diversi, anche se convenzionali e non  stravaganti.

Prendiamo ora in esame la seconda concezione di curricolo, quella centrata sull’alunno e non sulle discipline. In questa idea le discipline vengono riviste in funzione dell’età dell’alunno; la psicologia cognitiva, la didattica, gli aspetti relazionali vengono utilizzate per rendere l’insegnamento vivo, attento e rispettoso dell’alunno. Il sapere è cioè misurato sul bambino, sull’adolescente, sull’alunno nella sua età cognitiva ed emotiva.

In questa visione dell’educazione scolastica che viene sintetizzata come curricolare è più difficile declinare le conoscenze e le abilità, proprio perché al centro non c’è la disciplina ma l’individuo con la sua complessità. In un certo senso quando la disciplina viene ritagliata a misura dell’alunno,   si prende quella parte della disciplina che può essere compresa in quella età, si traduce in  percorsi didattici, si stabiliscono già in queste scelte  le   conoscenze e le abilità acquisibili. I percorsi didattici  saranno quindi  un’esemplificazione delle  conoscenze e delle abilità. Gli obiettivi da raggiungere sono direttamente competenze. Ad esempio la competenza logico-linguistica nell’insegnamento scientifico  nella scuola di base non è  qualcosa da raggiungere dopo il contenuto disciplinare ma è contemporanea ad esso.

 Mi sembra cioè che in questa  visione si salti un passaggio ( quello della traduzione della disciplina adulta a disciplina addomesticata per i bambini e adolescenti) e si arrivi prima al concetto di competenza. Prendiamo come esempio la capacità di contestualizzare storicamente le scoperte scientifiche,  se l’approccio seguito dall’insegnante è storico,  nel numero limitato di casi studiati a scuola, l’alunno sarà in grado di farlo.  Quando  le scienze  vengono  presentate non come “la sagra” delle verità assolute riportate dai libri di testo ma  utilizzando sempre  la storia per far capire come è nato un determinato concetto, allora la contestualizzazione storica diventerà un metodo di lavoro e la relativa competenza a lungo termine sarà l’acquisizione di tale metodo. Tutte le volte che gli alunni si troveranno a studiare  un problema scientifico nuovo si chiederanno com’è nato, non  rimarranno stupiti e imbambolati come se fossero di fronte all’enigma di un nuovo dogma.

Quindi  si distingue  una competenza a “corto raggio”, legata al contesto disciplinare,  da una competenza a lungo termine non facilmente valutabile nel tempo (assomiglia questa formulazione verbale a come si classifica la memoria:..). Si può dire  che nella concezione curricolare  del secondo tipo è più semplice valutare la “competenza a corto raggio” e   si pongono le basi per l’acquisizione di competenza a lungo termine.

 Quando nell’indagine OCSE/PISA si mette con tranquillità il curricolo sullo sfondo, si dice che non costituisce un vincolo e che fa da cornice, vuol dire che  si pensa al curricolo come sinonimo di programma e  questo è già un problema. Si prescinde da come si lavora a scuola, dal peso che si danno alle scelte che si fanno all’interno della disciplina, dai modi, dagli atteggiamenti che accompagnano il processo di insegnamento/ apprendimento. Non ci si preoccupa infatti di come nasca la competenza ma solo di come essa si manifesta, il processo che porta alla competenza diventa ancora  più strano e misterioso perché partendo dalla disciplina finisce nelle capacità interpretative dell’individuo, senza  cercare di seguire  la mente nelle trasformazioni che accompagnano l’apprendimento.

 

La valutazione dei quindicenni nelle Scienze

 Tutte le considerazioni fatte  intorno alla difficoltà di definire il  concetto di competenza e riguardo a  come essa venga raggiunta, diventano ancora più  problematiche quando le  competenze a cui  ci si riferisce sono assurde e irrealistiche come quelle che dovrebbero essere conseguite dai quindicenni nelle  Scienze.  Le competenze di cui si parla sono spesso totalmente avulse dai contesti disciplinari e diventa impossibile capire come esse possano essere raggiunte.

Ecco che cosa si scrive nella sintesi:

  “Competenza scientifica: La capacità di utilizzare conoscenze scientifiche, di identificare domande alle quali si può dare una risposta attraverso un procedimento scientifico e di trarre conclusioni basate sui fatti per comprendere il mondo della natura e i cambiamenti ad esso apportati dall’attività umana e per aiutare a prendere decisioni al riguardo”(3).

Vengono di seguito specificati i tre aspetti secondo i quali viene valutata la competenza: conoscenza di concetti scientifici, processi scientifici, situazioni di carattere scientifico.

Niente da dire, se non per il fatto che solo per le scienze i quindicenni sono chiamati a utilizzare le conoscenze e le abilità per prendere decisioni.

 Questa è una competenza alta, altissima: vuol dire comprendere i dettagli dei fenomeni naturali, conoscere le teorie ed utilizzarle convenientemente, saperle rielaborare in tutti gli ambiti delle scienze. Vuol dire dominare le situazioni complesse e questo succede solo se se ne conoscono i dettagli. Questa capacità della mente, questa competenza è  irrealistica dopo i normali corsi di scienze che ha seguito un quindicenne ed è in parte difficile da raggiungere  anche dopo una laurea in ambito scientifico. 

Ma allora a che ci si riferisce, di quali decisioni si parla? Si capisce continuando a leggere  che :Per quanto riguarda le Scienze, possedere nozioni di carattere scientifico ad esempio il nome di piante o animali – è meno rilevante che comprendere grandi temi, quali ad esempio, il consumo energetico, la biodiversità, o la salute, considerando l’importanza di riflettere su argomenti attualmente oggetto di dibattito” (4).

E’ chiaro quindi dalle frasi emblematiche riportate che, per le Scienze,  i riferimenti possibili sono il nozionismo e l’informazione e che quindi le decisioni che gli alunni sono chiamati a prendere riguardano i temi scientifici che compaiono sui giornali: mangiare o non mangiare la mela modificata geneticamente,  porre o no limiti  all’uso delle cellule staminali, le fonti energetiche da utilizzare per  inquinare di meno e… cose del genere.

Dire che a quindici anni si possa rispondere in modo competente a domande di questo tipo, rivela  l’idea  di insegnamento scientifico che sta alla base  di  questa indagine internazionale: inconsistente e parolaio. Questo è l’insegnamento che  spinge i nostri alunni a mischiare nozioni  imparate mnemonicamente con frasi ritagliate dai giornali che, di solito, sono l’esemplificazione della divulgazione di basso livello.

  Per la matematica e la lettura si parla in tutt’altro modo di cosa deve saper fare un ragazzo. Ad esempio nel caso della matematica ci si riferisce alla “capacità degli studenti di analizzare, di ragionare e di comunicare idee in modo efficace nel momento in cui essi pongono, formulano e risolvono problemi matematici e ne spiegano la soluzione in una molteplicità di situazioni”(5) Queste sono competenze plausibili per i quindicenni.

 Per le scienze si capisce  che non c’è la consapevolezza didattica che c’è per la matematica e la lingua e s’intuisce già qui che, anche a livello internazionale, c’è la solita confusione fra informazione  e  formazione che regna nella scuola italiana.

Questo fa pensare che in realtà per le scienze manchi proprio il senso del possibile, il senso di quello che è possibile insegnare con lo scopo di far acquisire dei significati.

Questa è la tragedia dell’insensatezza dell’insegnamento scientifico.

I riferimenti costanti sono l’ambiente, la salute, un po’ di tutto ciò che ha colpito  l’immaginario scientifico degli estensori delle prove che si sono ispirati ai temi d’attualità scientifica che si trovano sui giornali.

I test si riferiscono infatti ai  temi della salute, a capacità di ragionare scientificamente non si sa bene come raggiunte, alla biologia da giornale. Di fronte a questa variegata vaghezza  ci si aspetterebbe una “leggerezza” nella valutazione dei test e invece no, qui l’imprecisione diventa precisa e nelle risposte si sta attenti a tutti i dettagli, non ci si ferma alla superficialità dell’informazione. Ad esempio nella domanda sulle vaccinazione contro il vaiolo (6); gli alunni per avere punteggio pieno alla risposta devono non solo aver capito che si sta parlando della suddetta vaccinazione e della sua efficacia ma anche che per  considerare attendibile tale risultato bisogna avere una popolazione campione di confronto. Ma lo imparano talvolta gli studenti di medicina e di statistica. Può darsi che lo insegni anche qualche insegnante di Scienze, ma si possono spiegare così dettagliatamente tutti gli argomenti?  Come si può parlare, ad esempio, del problema energetico senza avere consapevolezza dell’energia?

A quindici anni forse si dovrebbe cercare di capire che cos’è l’energia.

Questo tema così complicato può essere affrontato con un processo di insegnamento/apprendimento lungo e faticoso e questo dovrebbe impegnare i quindicenni non  il problema  delle fonti energetiche che è da affrontare invece successivamente. Evidentemente si pensa  di poter parlare del problema energetico, senza preoccuparsi del concetto di energia che gli alunni non hanno. L’idea è che prevalgano  le sollecitazione che proviene dall’attualità, non considerazioni didattiche.

 Data l’inconsistenza didattico scientifica delle prove di valutazione per le Scienze dell’OCSE/ PISA sarebbe sensato non farsi coinvolgere più di tanto da questa indagine né a livello personale, né a livello di scuola d’appartenenza. Infatti queste prove sono scarsamente significative per genere e qualità e portano con sé una filosofia totalmente da rifiutare dell’insegnamento scientifico.  Il problema è il  peso che possono avere,  quando la scuola pensi il proprio insegnamento in funzione di esse, in quanto rischiano di arrestare un processo di rinnovamento nella scuola dell’insegnamento scientifico che in alcune scuole è in atto nonostante  mille difficoltà.  Si rischia di ritornare all’insegnamento nozionistico (o di rimanervi) per addestrare alunni e risolvere queste prove insignificanti  che hanno vesti   pedagogiche e motivazioni “internazionali”.

 In generale dovrebbe essere valutata la scuola per l’attenzione ai processi  di apprendimento, per  la qualità dei percorsi centrati sull’alunno e non sulla disciplina,  per la perizia con cui viene costruito un curricolo, per i metodi e gli atteggiamenti che tengono conto della diversità degli individui, Mirando ai significati accessibili e non alle vuote parole.

 

BIBLIOGRAFIA

1)      PISA  2003 Valutazione dei quindicenni a cura dell’OCSE, Roma, Armando Armando,2004, p.9.

2)      Ibidem, p.11.

3)      Ibidem p.18.

4)      Ibidem , p.15.

5)      Ibidem p.19.

6)      Ibidem , p. 143.

* Articolo pubblicato su Insegnare N° 4  / 2005


P.I.S.A. 2003 OCSE


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