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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

LA MIA SCUOLA NON HA BISOGNO DELLO PSICOLOGO (*)

Sulla base della pratica didattica considerazioni intorno a categorie come recupero, costruzione di conoscenze, pluralità di offerta formativa, funzione dello psicologo nella scuola.

 

“ Non c’è un unico tempo: ci sono molti nastri
che paralleli slittano
spesso in senso contrario e raramente
s’intersecano” (E. Montale)

 

di Angela Angrisani, Rita Villani*

 

1. La logica del recupero

2. La costruzione della conoscenza

3. Sul concetto di pluralità

4. A proposito della psicologia scolastica

5. Bibliografia

 

 

Accade in una scuola del Sud, in una zona considerata ad alto rischio, dove l’impressione è di operare su una linea di confine (sempre mobile) fra la legalità e le illegalità diffuse, tra spinte culturali innovatrici e “linee arretrate”.

Accade che la scuola, grazie all’organico funzionale e dunque utilizzando una risorsa interna, avvii un progetto triennale di psicologia scolastica con l’intento ampio di:

-           promuovere la piena formazione del soggetto in via di sviluppo;

-           migliorare l’offerta formativa in relazione al contesto di riferimento;

-           coinvolgere fattivamente gli operatori della scuola in un’ottica d’assunzione e condivisione delle responsabilità.

Accade che il progetto di psicologia scolastica, valutato positivamente dal Collegio dei docenti nel corso della verifica annuale, sia interrotto dopo solo un anno di lavoro e al suo posto siano attivati due mini progetti, uno di recupero, l’altro di coordinamento con il territorio. È necessario precisare che la scuola aveva già riservato un numero consistente di ore al recupero e che per i rapporti con il territorio sono da tempo predisposte delle figure istituzionali.

Viene perciò da chiedersi quale sia la logica che sottostà a tale pratica, quali potrebbero essere i pericoli di tali scelte e le conseguenze di strategie didattiche volte prevalentemente al recupero; in una parola, qual è il tipo di scuola che si tende a realizzare.

 

1. La logica del recupero

 

- Il significato linguistico della parola “ricupero” è: “Annullamento di uno svantaggio” e i corsi di recupero sono quelli attivati «per gli allievi in ritardo sul normale svolgimento degli studi».1 Ma qual è il concetto di normalità cui è possibile far riferimento? E perché lo svantaggio molto spesso, nonostante i recuperi (e le bocciature), non si colma?

- È bene precisare che in alcune situazioni, quali assenze, malattie o con alunni che non conoscono la lingua italiana, un’azione di recupero è necessaria affinché l’allievo possa acquisire quei nodi concettuali necessari al proseguimento degli studi. Tali azioni hanno la loro ragion d’essere perché agiscono su situazioni contingenti e temporanee.

Molto spesso però il recupero va avanti a oltranza e sempre con gli stessi alunni, mentre per gli altri sono organizzate attività aggiuntive e d’ampliamento.

Differenziare l’offerta formativa impedisce, alle alunne e agli alunni che presentano uno svantaggio, di “abitare” altri spazi, di agire in contesti nuovi, escludendoli, di fatto, da alcune possibilità con la conseguenza di “ratificare” le ineguali condizioni di partenza.

- La scuola, proponendo offerte diverse, attivate per gruppi di allievi che presentano determinate caratteristiche, legittima la differenza come parametro per gli interventi. La differenza diviene così “il preso di mira”, collocata com’è in contenitori preposti ad ammorbidire le questioni spinose e a marginalizzare gli allievi in base a una o più caratteristiche.

Si assiste al tentativo di ridurre la complessità umana in categorie e la comprensione del suo divenire è negata attraverso quell’operazione di “stigma” sociale in cui «il particolare diventa l’essenza di tutta la singolarità». 2

La differenza, invece, non chiede altro che di vivere in mezzo agli altri e di attivarsi per la sua piena accoglienza; è lo sforzo prioritario che ogni scuola democratica deve fare, evitando di operare secondo logiche d’esclusione e/o d’appartenenza.

- Un sapere e una scuola che crescono laddove la vita umana si sviluppa come esplorazione e come divenire collettivo di molteplici idee e corpi viventi, espressione delle culture delle donne e degli uomini, non operano secondo logiche di separazione, d’esclusione o d’appartenenza.

- La comunità scolastica non può istituire proprietà, né fondare “appartenenze”, essa deve porsi come luogo dove attivare la reciprocità e l’accoglienza, costruite sul dialogo e sull’interazione personale.

È attraverso il dialogo e la parola che talvolta sosteniamo la realizzazione di quelle singole “verità” esistenziali che non sempre coincidono con quelle “pubbliche” e, non sempre, si traducono in “adattamento”.

- Piro ci avverte del pericolo cui andiamo incontro. Nel suo ultimo lavoro, afferma che «le forme di esclusione sociale… si costituiscono come negazione di diritti delle persone e come stato di attiva guerra contro di esse… Solo il rispetto totale dei diritti dei discenti (alla più completa e ampia formazione) può condurre alla trasformazione personale necessaria per praticare la difesa dei diritti degli esclusi e dei sofferenti».3

- Talvolta l’azione d’insegnamento urta contro la difficoltà di modificare “destini”, di strappare all’emarginazione vite condannate al silenzio ma, forse, l’insegnamento è anche “cura” dell’impossibile, una cura che - come ha scritto Blanchot - consiste nel tentativo di fare dell’impossibilità un inizio.

Non dimentichiamo che la complessità dell’accadere è ricchezza di quello che siamo, di ciò che giunge dagli allievi, di ciò che restituiamo e delle trasformazioni che induciamo. Se quello che vi è di umano nell’uomo è il suo essere sociale, allora questo “essere” è confuso, contraddittorio, indeterminato, esposto all’errore, quanto lo è la comunità in cui vive e in cui le condizioni di conflitto e di “erranza” non sono la risultante malefica di un’ipotetica “natura umana”, ma la conseguenza necessaria di ogni autentico agire storico.

- Gli operatori della scuola sanno bene che gli alunni partecipano malvolentieri ai corsi di recupero proprio perché questi sanciscono la loro diseguaglianza. Sentirsi diversi dagli altri, fare cose diverse in un momento delicato dello sviluppo di una persona, mina profondamente la stima, la sicurezza, la fiducia in se stessi e nelle proprie capacità.

Lo psicologo che lavora per la scuola ha innanzitutto il compito di esplicitare, insieme ai docenti, le ideologie che sottendono il nostro operare e di innescare una riflessione intorno alle possibili conseguenze, perché è pressoché totale nella scuola il disimpegno verso la scoperta dei punti di forza di ciascuna singolarità.

-   Disgelare, potenziare, sviluppare e ampliare i “multiformi talenti” è l’impegno che professionalità serie e attente si pongono nel tentativo di non oscurare, anzi di liberare almeno una delle intelligenze delle singolarità in formazione.

-   Nell’insegnamento e nell’apprendimento c’è sicuramente il rischio dell’apertura, dello scambio anche doloroso; si vive una comune esperienza di “non-riconoscimento”, esperienza a tratti sofferta, da cui ci si può “immunizzare” trincerandosi dietro le categorie e le strategie del potere, della gerarchia e della burocrazia.4 Ma l’oppressione genera solo odio, angoscia e paura di non saper trovare le parole per stare vicini. Il malessere dell’altro, il disagio dell’allievo, il suo “non capire”, il persistente “non studiare”, gli atteggiamenti di sfida non devono essere iscritti nei registri delle rassicuranti identità ma devono costringerci a un’incessante metamorfosi del pensare e dell’agire perché - come afferma Bini - il problema dell’insuccesso scolastico è innanzi tutto un problema della scuola e poi un problema delle alunne e degli alunni.5

 

 

2. La costruzione della conoscenza

 

- Costruire un percorso di piena cittadinanza all’interno dell’Istituzione scolastica significa approfondire le tematiche inerenti ai processi di insegnamento/apprendimento, quelle «dei diritti del soggetto che apprende, dei suoi cicli evolutivi e quelle del sapere come costruzione relazionale continua in un determinato contesto».6

- Un lavoro collegiale, che coinvolga i docenti, le altre professionalità e, laddove è presente, lo psicologo, può trasformare la scuola in una comunità di ricerca che si interroghi sulla riorganizzazione e sul ripensamento delle discipline, sugli aspetti sociali, relazionali e psicologici del processo di apprendimento, e che operi scelte di percorsi formativi rivolte al futuro, senza tuttavia distogliere l’attenzione dalla domanda che i soggetti in formazione incessantemente pongono.

Gli insegnanti sono spesso impegnati in incontri con colleghi e con altri operatori della scuola: di solito la sensazione diffusa è quella che queste riunioni non servano a molto, ma da un punto di vista psicologico - sostiene Kaes - sono utilissime perché esse rappresentano quei luoghi istituzionali in cui è possibile regolare le tensioni energetiche e dove si determina la funzione di “co-appoggio” quando nei gruppi vi è la presenza di ascoltatori, di ricettori o dello psicologo. 7

- Va sottolineato che «l’apprendimento/insegnamento è la forma più alta di relazione sintelica che sia possibile sperimentare»8 e che la costruzione della conoscenza è un processo dinamico in cui confluiscono le dimensioni cognitiva, affettiva e socio-relazionale. «La base del pensiero pedagogico moderno consiste nella costruzione… di un’immagine astratta e oggettiva della cognizione, che corrisponde all’organizzazione artefatta delle conoscenze scientifiche. Ciò determina la separazione del cognitivo, divenuto unica materia d’insegnamento, da altre sfere prima rientranti nell’ambito della conoscenza…: è il caso della corporeità…, dell’affettività, assimilata al mero momento emozionale e dell’immaginazione dai moderni innalzata a fonte fondamentale dell’errore…». 9

- “Aver cura” degli aspetti cognitivi e di quelli affettivi è compito degli operatori della scuola. Accogliere l’altro, ricostruire la sua domanda, saper attendere, elaborare insieme le problematiche è il primo passo affinché s’instauri un dialogo che consente di essere attivamente coinvolti nel processo di conoscenza.

Il coinvolgimento dell’allievo e dell’insegnante nel processo di apprendimento/insegnamento non può essere pensato se non a partire da uno sfondo che è quello dell’intera comunità scolastica prima e sociale poi. Ciò che può essere utile ai soggetti in formazione è sentirsi parte di un progetto condiviso, di un sentire comune. 10

- L’apprendimento si costruisce insieme, docente e discente sono coinvolti in quella che Deleuze definisce “doppia cattura”.11 Entrambi apprendono dall’altro in un movimento che trasforma la stupidità catatonica dello spettatore/consumatore in partecipazione cosciente ai processi che si vogliono attivare.

Non c’è insegnamento senza un contemporaneo processo d’apprendimento. In tale processo il docente e l’allievo sono coinvolti in tutto il loro essere, nel profondo delle loro persone, delle credenze e convinzioni; essi partecipano a una comune evoluzione se pur “divergente” fatta di zone d’ombra, di resistenze reciproche, di spazi dove ci s’incontra, dove vengono a confronto e si respingono evidenti disparità, vie che non si somigliano, relazioni dove l’altro ci “incanta” attraverso le sue scoperte, le sue ricerche e i suoi desideri.

- Lasciarsi attraversare dalla conoscenza in un singolare scambio creativo tra la dimensione patica e quella noetica modifica le singolarità coinvolte nel processo di apprendimento/insegnamento permettendo così la costruzione della conoscenza.

- L’insegnamento è una relazione che s’intesse nella differenza, che si nutre della distanza e che richiede organizzazione e metodologia, ma è soprattutto un attraversare il labirinto della conoscenza raccogliendo il filo dei segnali che l’altro c’invia, alimentando, giorno per giorno, la speranza di cui sia il docente sia l’allievo hanno bisogno.

- Riformare i contenuti, rinnovare le strategie didattiche, costruire un coerente curricolo, sono azioni indispensabili per un rinnovamento culturale e per una «riforma del pensiero». L’apprendimento si nutre di tutto ciò ma non dimentichiamo che colui che apprende è l’allievo, anzi “quell’allievo”, e lo fa attraverso “quell’insegnante”: determinante, dunque, è la qualità della loro relazione. «Nel dialogo socratico la vera questione che è in gioco non è ciò di cui si parla ma colui che parla».12 Il docente ha il difficile compito di testimoniare, con la sua conoscenza e la sua presenza, la ragione d’essere dell’impresa educativa. Docente e allievo, pur nell’asimmetricità della loro relazione, si nutrono l’un l’altro di quell’amore per la conoscenza che gli antichi chiamavano sofía.

 

3. Sul concetto di pluralità

 

- Nella pratica quotidiana la scuola oggi si caratterizza per l’offerta di una serie di attività diverse, quali laboratori, interventi, progetti e iniziative elaborati dagli operatori scolastici o “acquistati” da soggetti esterni e da agenzie formative presenti nel territorio (con notevoli costi da parte dell’Istituzione stessa, se non con costi aggiuntivi da parte delle famiglie).

- Incentivare il pluralismo nella scuola implica un’offerta formativa finalizzata ad allargare gli orizzonti culturali nel pieno rispetto dei diritti di tutti. Emerge, però, dal confronto con altri docenti, la preoccupazione di operare in un ambiente in cui le varie proposte appaiono scisse tra loro. Ossia, si consolida la prassi che vede da un lato lo studio delle discipline, che richiede sforzo e impegno, distinto da tutta la serie di attività progettuali che consente il ben-essere all’interno della scuola. La dimensione extra-curricolare è percepita come attività integrativa del lavoro proposto in classe sui diversi saperi e non partecipe realmente dell’ampio processo di formazione e sviluppo della persona.

- Ne risulta che le attività, slegate tra loro, rendono l’osmosi necessaria con il territorio compravendita di prodotti e pacchetti già confezionati che portano nella scuola l’idea di consumismo in nome di una migliore offerta formativa. Si assiste così a una mercificazione della cultura e il prodotto reperito sul mercato è “somministrato” senza la necessaria cura per il processo che s’intende attivare.

La valutazione e la verifica delle attività sono poi solitamente fatte in base a una coerenza che è interna al progetto stesso e quasi mai ci si confronta sulla coerenza dell’intero impianto dell’offerta formativa.

- I rischi di tale prassi sono di perseguire le diverse azioni didattiche a scapito della qualità e della coerenza del processo di insegnamento/apprendimento e di rincorrere la novità del momento, per essere al passo con i tempi e ricevere consensi e iscrizioni.

- La scuola, dunque, riproduce al suo interno, in tutte le sue articolazioni operative, nei modi e nei contenuti, le caratteristiche della complessità sociale. L’“autonomia” è una “conquista” prima di tutto individuale, poi qualcosa che si può incoraggiare dall’esterno con norme.13

È possibile costruirla mediante l’ “oltrepassamento” dei propri confini mentali e istituzionali, in un processo di “sospensione” del proprio ruolo e con il coinvolgimento di tutte le componenti della comunità scolastica nel difficile compito di ospitare il “divenire” altrui.

- «Ciò che serve è la volontà al contempo politica, culturale e didattica, di realizzare una scuola plurale al servizio di identità personali in elaborazione, non già di offrire una pluralità di servizi diversi alle persone prese e fossilizzate per quelle che sono, in funzione delle loro caratteristiche socioculturali e biologiche, in una visione del tutto conservativa e riproduttiva delle differenze pregresse». 14

 

 4. A proposito della psicologia scolastica

 

- La proposta di legge sull’istituzione dello psicologo scolastico riflette una domanda che è al contempo sociale, culturale e educativa, perché la scuola sta vivendo grosse trasformazioni che investono tutte le componenti della comunità scolastica e del territorio.

Lo psicologo è chiamato a dare un contributo al coordinamento e all’organizzazione delle iniziative, delle risorse e delle competenze al fine di potenziare e ampliare l’azione della scuola con riferimento ai bisogni emersi e in vista del raggiungimento della qualità del servizio nell’ottica di un sistema interattivo che connetta efficacemente la scuola alla rete degli altri soggetti istituzionali.

- La psicologia si pone al servizio della scuola in una prospettiva che privilegia lo sviluppo del sistema scolastico e non la “cura” del singolo individuo. Essa è rivolta a bambini e adolescenti che non necessariamente sono diagnosticati come sofferenti e che vivono in un contesto «sano e libero come, appunto, è quello della scuola».15

- Lo psicologo scolastico non si configura come l’esperto esterno che fornisce consulenza; egli non si sostituisce alla struttura con un mandato di delega, ma lavora con le figure professionali già operanti nella scuola, condividendo ed esplorando insieme le problematiche, i disagi e le difficoltà, ben sapendo che per “produrre” apprendimento è necessario che le emozioni e i vissuti «s’incontrino con la realtà degli obiettivi che organizzano l’apprendimento stesso».16

- Lo psicologo scolastico è attivatore di processi, esperienze, confronti; colui che propone progetti innovativi, che prospetta attività in campo formativo, didattico e organizzativo.

Non ci si aspetta da lui la risposta ai problemi, ma uno stimolo a pensare, a comprendere, a slargare gli orizzonti del consueto per vivificarlo, donandogli un senso nuovo, un orizzonte più ampio, fluidificando il “già detto” per una formazione prospetticamente rivolta al futuro.

- La figura dello psicologo scolastico come attivatore di processi e di sviluppo è tale solo se è stabile nel tempo, la sua opera non si situa nell’ottica dell’intervento sui fenomeni psicologici ma in quella del procedere insieme, all’allievo e al docente, coordinando le azioni e le prospettive di miglioramento.

Il patrimonio di esperienze e di “buone pratiche” che configurano l’identità di una scuola, e da cui non si può prescindere, va consolidato. Si tratta in altre parole di “capitalizzare le esperienze” per non essere costretti a ripartire sempre da zero, altrimenti si rischia, senza la consapevolezza della propria storia, di smarrirsi in un presente, incapaci di pensare il futuro.

- Per far ciò non si può prescindere dall’utilizzo delle risorse interne alla scuola. Il docente che all’interno della scuola riveste una funzione diversa dall’insegnamento, quale, per esempio, lo psicologo scolastico, ha il compito di creare interconnessioni fra le persone, le attività e il contesto sociale di riferimento; di “curare” i processi di formazione; di offrire la propria professionalità come stimolo al cambiamento. Gli operatori scolastici sono risorse culturali per la scuola e il territorio e il pieno utilizzo della loro professionalità è «indicativo delle scelte che la scuola compie».17

 

 

5. Bibliografia

 

M. Ambel, Autonomia, scelte curricolari e diritti di cittadinanza, in “31° Convegno Nazionale”del Cidi, Salerno 25 - 26 ottobre 2002.

G. Bini, Qualche elementare osservazione sulla crisi dei giovani studenti (e degli studi), in “Insegnare”, Ciid n.1 2003.

M. Blanchot, L’ispirazione, in “Lo spazio letterario”, Einaudi, Torino 1995.

T. Capacchione, Le zone mute dell’esistenza, in “Rivista delle Antropologie Trasformazionali”, Pironti, Napoli, n. 1, gennaio – aprile, 1996, pp. 47-54.

R. Carli, Culture giovanili. Proposte per un intervento psicologico nella scuola, Franco Angeli, Milano 2001.

R. Carli, Appunti di viaggio di uno psicologo a scuola, in “Psicologia Scolastica”, vol.1, n. 1, Carlo Amore, Roma 2001.

G. Deleuze, C. Parnet, Conversazioni, Ombre Corte, Verona 1998.

R. Esposito, Immunitas, Einaudi, Torino 2001.

C. Fiorentini, Per un sapere disciplinare formativo, in “Insegnare”, Ciid, n.1-2003.

Gruppo Zero, Esercitazioni connessionali, ed. 10/17, Salerno 1990.

A. Iacono, S. Viti, Le domande sono ciliegie, Manifestolibri, Roma 2000.

P. Levy, L’intelligenza collettiva, Feltrinelli, Milano 1998.

A. Mele, S. Piro, I mille talenti, Franco Angeli, Milano 1995.

E. Montale, Tempo e tempi, in “Satura II”, Opera in versi, Einaudi, Torino 1980, p. 342.

E. Morin, La testa ben fatta, Cortina, Milano 2000.

R. Kaes, Realtà psichica e sofferenza nelle istituzioni, in AA.VV., L’istituzione e le istituzioni, Borla, Roma 1991.

C. Palmieri, La cura educativa, Franco Angeli, Milano 2000.

S. Piro, Critica della vita personale, La Città Del Sole, Napoli 1995.

S. Piro, Introduzione alle antropologie trasformazionali, La Città Del Sole, Napoli 1997.

S. Piro, Diadromica, Idelson – Gnocchi, Napoli 2002.

S. Piro, Esclusione, sofferenza, guerra, La Città Del Sole, Napoli 2002.

P. Romei, Autonomia e progettualità, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1995.

P. Sardi, Il futuro della professione psicologica in ambito scolastico, in “Psicologia Scolastica”, vol 1, n.1, Carlo Amore, Roma 2001.

D. Starnone, Un programma per la scuola, in “Micromega”, n.1/2003, febbraio – marzo, p.104.

M. Tempesta, I destini dell’educazione nell’orizzonte della seconda modernità, in “Psicologia Scolastica”, vol.1, n.1, Carlo Amore, Roma 2001.

A. Valentino, Il piano dell’offerta formativa, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 2000.

(*) http://www.cidi.it


 

* Cidi di Caserta.

1 G. Devoto, G.C. Oli, Dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze 2000, p.1706.

2 S. Piro, Critica della vita personale, La Città Del Sole, Napoli 1995, p. 32.

3 S. Piro, Esclusione, sofferenza, guerra, La Città Del Sole, Napoli, p. 37.

4 R. Esposito, Immunitas, Einaudi, Torino 2002.

5 G. Bini, Qualche elementare osservazione sulla crisi dei giovani studenti (e degli studi), in “Insegnare”, Ciid, n.1-2003, p. 43.

6 M. Ambel, Autonomia, scelte curriculari e diritti di cittadinanza, in “31° Convegno nazionale” del Cidi, Salerno 25 – 26 ottobre 2002, p. 24.

7 R. Kaes, Realtà psichica e sofferenza nelle istituzioni, in AA.VV., L’istituzione e le istituzioni, Ed. Borla, Roma 1991, p.13.

8 A. Mele, S. Piro, I mille talenti, Franco Angeli, Milano, p.28. Sintelia/sintelico: dalle parole greche σύν e τέλος, la sintelia è un legame potente fra tutti coloro che hanno uno scopo comune. Il termine “sintelico” è stato coniato da J. M. Baldwin nel 1909.

9  Gruppo Zero, “Esercitazioni Connessionali”, ed. 10/17, Salerno 1990, p. 43.

10 C. Palmieri, La cura educativa, Angeli, Milano 2000.

11 G. Deleuze, C. Parnet, Conversazioni, Ombre Corte, Verona 1998, p.13.

12 M. Tempesta, I destini dell’educazione nell’orizzonte della seconda modernità in “Psicologia Scolastica”, op. cit.,   p.159.

13 P. Romei, Autonomia e progettualità, La Nuova Italia, Scandicci 1995.

14 M. Ambel, op. cit., p. 26.

15 P. Sardi, Il futuro della professione psicologica in ambito scolastico, in “Psicologia Scolastica” vol.1, n.1, Carlo      Amore, Roma 2001, p. 48.

16 R. Carli, Appunti di un viaggio di uno psicologo a scuola, in “Psicologia Scolastica”, op.cit., p. 27.

 

17 C. Fiorentini, Per un sapere disciplinare formativo, in “Insegnare”, op. cit., p. 28.

 


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