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Le “lezioni” di Giovanni Paolo II

di Luciano Corradini
presidente nazionale dell’UCIIM

Ho avuto la grazia  d’incontrarmi varie volte con Giovanni Paolo II e di scambiare con lui qualche parola. Ricordo il suo sguardo vivo, sorridente, di compiacimento e d’incoraggiamento, quando l’ho incontrato negli anni 80, col ministro Franca Falcucci, con Aldo Agazzi e Cesarina Checcacci.

Da sottosegretario ho avuto la possibilità di accennare con lui alle vicende del Progetto Giovani del Ministero. Come presidente dell’UCIIM, oltre alle udienze concesse all’associazione, l’ho incontrato con don Carlo Nanni: gli abbiamo parlato del nostro recente XXI congresso e l’abbiamo ringraziato per il messaggio mandatoci in tale occasione. A Castelgandolfo l’ho visto tanto sofferente, che gli ho augurato la benedizione del Signore, ringraziandolo per il suo straordinario servizio.

L’ultima volta, l’estate scorsa, il Papa è giunto nella sala dell’udienza in Vaticano, al canto del “Tu es Petrus”: ha cominciato a leggere, ma per difficoltà respiratorie ha dovuto interrompere più volte il suo discorso, affidandone la lettura a un giovane prete. L’uomo che in tutti i tempi ha parlato al più alto numero di persone di tutte le etnie, in più luoghi, in più lingue, con più mezzi tecnici e con voce vibrante, con maggiore entusiasmo del suo pubblico, si limitava a sospirare e a mugolare, dal trono di Pietro. Ho pensato anche per lui all’espressione con cui Isaia descrive in anticipo la passione del Signore: “un uomo di fronte al quale ci si copre la faccia” (Isaia, 53,3). Il culmine dell’imbarazzo e della vergogna è stato però vicino all’inizio della sua glorificazione. “Dopo il suo intimo tormento, continua Isaia, vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza…Perciò Io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino…” ( Ivi, 11)

E’ il momento in cui, caduta la saracinesca dell’eternità sul tempo concesso a Giovanni Paolo II e concluso il suo pontificato coi sigilli allo studio papale, la società che resta riconosce insieme la grandezza umana e la santità del vecchio Karol. Gli aggettivi Magno e Santo si riuniscono una volta ancora in un papa, dopo Leone e Gregorio, nella storia della Chiesa e dell’umanità. Nessuna confusione fra i due ambiti, ma un riconoscimento che non si dà insanabile contrasto fra le due appartenenze, e fra la storia dell’umanità e  quella della salvezza,.

Tutto ciò avviene certo in virtù dei meriti di una grande millenaria organizzazione come la Chiesa, ancora fedele, nonostante tutto, al Vangelo, e in virtù di una società laica che, nonostante le polemiche anche aspre dei mesi scorsi, è capace di riconoscere l’universalità almeno di alcuni aspetti del messaggio evangelico; ma ciò dipende soprattutto dalle personali virtù di Karol: un uomo che è riuscito in modo esemplare a vivere la fedeltà al cielo e alla terra, alla Sua Chiesa e all’intera famiglia umana; a difendere l’ortodossia e ad aprirsi al dialogo, fino a chiedere più volte perdono per il male commesso dagli uomini della Chiesa. Il suo funerale induce la Chiesa e il mondo ad interrogarsi a partire dai sentieri interrotti, nella prospettiva del dialogo ecumenico e della pace mondiale.

Il dito e la voce alzati dal Papa in più circostanze, contro la mafia e contro la guerra, non hanno ottenuto ascolto, nel breve periodo. Eppure noi avvertiamo che la fede e la ragione non sono state veramente sconfitte, e che Dio sta dalla parte della vita e della pace.

Il trionfo che, nell’ora della sua agonia e della sua morte, gli ha tributato il mondo intero, con un grado di stima e di comprensione della sua grandezza umana, simbolica e cristiana, superiori a qualunque aspettativa, è frutto certo dell’attivismo, della profezia, della creatività, del coraggio dei suoi anni giovanili e della sua vigorosa maturità; ma è anche frutto della sua dolente vecchiaia,  accettata insieme con intima lacerazione, con fede rocciosa, e con l’obbedienza di chi si lascia condurre dove non vorrebbe. Una bella lezione per i “suoi” giovani, che l’anno seguito nei raduni delle GMG, e per tutti coloro che provano orrore della sofferenza e della Croce.

Sui suoi mali ha talora sobriamente ironizzato, non si è mai lamentato, non ha parlato di sé, ma dei problemi degli altri e di Dio, che è misteriosamente misericordioso, nonostante i terremoti e i maremoti che hanno funestato i recenti Natale e Pasqua, e nonostante il Suo silenzio di fronte alle sofferenze del Figlio Suo e degli altri suoi figli, a partire dai suoi rappresentanti in terra, da Pietro a Karol.

In realtà Dio ha parlato, pur attraverso la voce prima deformata e poi strozzata del Suo vicario: ne sono prova l’emozione e le lacrime di popoli che, di fronte a quella morte, hanno vissuto un misto di smarrimento e consolazione. “Morire per gli altri, a favore degli altri, è vivere due volte”, ha scritto Gaspare Barbiellini Amidei sul Corriere della Sera. “Un uomo inabile ha trasmesso  attraverso i mezzi di comunicazione un messaggio: la vita non ha momenti privi di senso, se è tesa a dare senso alla vita degli altri”.

L’enciclica più importante e più compresa della sua vita è stata la sua lunga agonia, accettata con amore vittorioso, oltre le logiche dell’eutanasia e quelle dell’accanimento terapeutico. Vista sul suo volto, la morte e la sofferenza fanno a tutti meno paura, e la vita si riempie di senso. E il ricupero che in questa nuova “settimana santa” i mass media fanno delle “lezioni” tenute dal Papa con la sua parola, con i suoi gesti e con il suo esempio, nei ventisei anni del suo Magistero, ci fa comprendere che la vita dell’educazione non si gioca tutta nei tempi brevi dell’immediatezza, ma si estende anche oltre la vita terrena di chi, avendo insegnato “a molti la giustizia, brillerà, secondo il profeta Daniele, come stella nel firmamento” E’ una lezione esemplare, per i docenti cattolici, che s’ispirano a Gesù maestro, le cui “dispense” da duemila anni tengono vittoriosamente il mercato.


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