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Lotta politica, nuova legislatura e compiti dell’educazione

di Luciano Corradini

Il 9 e il 10 aprile 2006 si sono svolte le elezioni per il Parlamento Italiano, per dare vita alla XV legislatura della Repubblica. Contro i pronostici dei sondaggisti, il Centro Sinistra non ha stravinto, ma è giunto al traguardo della maggioranza numerica alla Camera, dopo una notte di affannosi conteggi, battendo sul filo di lana il Centro Destra, il cui leader oscilla fra la contestazione della correttezza dei risultati e l’offerta di una grande coalizione.

Se la Cassazione confermerà i risultati delle urne, la coalizione guidata da Romano Prodi, sulla base di un risultato positivo di poco più di ventimila voti, in virtù della nuova discussa legge elettorale, avrà 348 deputati mentre la coalizione guidata da Silvio Berlusconi 281; al Senato invece, il Centro Sinistra avrà 158 senatori e il Centro destra 156.

E’ con questi schieramenti, usciti dai voti di quaranta milioni di cittadini,  che inizia la difficile legislatura, che si aprirà anche con l’elezione di un nuovo capo dello stato e con un referendum sul nuovo testo costituzionale.

Si sono letti giornali, ascoltati dibattiti radiotelevisivi e telematici, rassegne stampa, talora si sono ascoltati pubblici comizi o si è partecipato a riunioni promosse dai partiti, per discutere di programmi.

Tutti abbiamo più o meno sofferto per scelte programmatiche unilaterali o squilibrate, per affermazioni, comportamenti, provvedimenti legislativi che hanno compromesso talora gravemente il valore delle istituzioni, a livello di norme generali e della stessa Costituzione. Valori da difendere, bisogni da riconoscere, progetti da realizzare sono presenti in ciascuno dei due schieramenti, con diversa mescolanza. Il sistema bipolare non consente di scegliere terze vie: per di più, con l’attuale sistema elettorale neppure si possono scegliere le persone presenti in ciascuno dei due schieramenti. Di qui la necessità di votare per l’una o l’atra di queste coalizioni, pur conservando riserve e impegnandosi ad intervenire successivamente, per quanto possibile, a riequilibrare o a correggere scelte che si ritengano sbagliate.

Pubblicità, propaganda, proselitismo: i confini dell’etica e le ragioni dell’educazione

Non c’è da scandalizzarsi per le angustie e per la durezza della lotta politica, come non ci si scandalizza se, per fare una grigliata, si devono pescare e uccidere i pesci. Bisogna però vigilare perché non vi vada a pescare con le bombe, distruggendo anche le uova e i piccoli, e cioè l’ambiente in cui si riproducono le risorse per il futuro.

Sappiamo che la politica si fa col consenso e il consenso si produce sia con scelte gradite a chi deve concederlo, sia con la propaganda, che tende a gonfiare i propri meriti e le proprie proposte e a screditare meriti e proposte altrui.

Questa “parzialità”, espressione del sistema “partitico”, non implica necessariamente la caduta nella partigianeria, nell’intolleranza, nel settarismo, nel fanatismo. La menzogna, la prevaricazione, i favoritismi, talora  “pagano” elettoralmente, talora suscitano ripulse e, se queste sono troppo insistite, ripulse di ripulse, in un processo difficilmente controllabile; ma in ogni caso questi comportamenti compromettono quel “capitale” sociale, che è fatto di fiducia, di credibilità, di amicizia, di serietà: capitale di cui la nostra società è pericolosamente carente, non meno che di capitale intellettuale e di capitale economico.

Qui la vigilanza diventa anche, per chi s’impegni a “discernere”, salutare sdegno di fronte alle prevaricazioni e impegno per la difesa del territorio proprio dell’educazione dalle invasioni dei “bombaroli”. La pubblicità vuol persuadere a comprare, la propaganda a votare, il proselitismo ad aderire ad un credo o ad un gruppo. Tutto ciò è accettabile, entro certi limiti “etici”. L’educazione vuole molto di meno e molto di più, perché mira a condurre alla maturità dell’autonomia personale soggetti che siano informati, consapevoli, responsabili verso se stessi, gli altri e le istituzioni.

Se per esempio la pubblicità di una casa automobilistica presenta una ragazza in abito da sposa che lascia l’altare per godersi la sua nuova auto; se un influente politico considera pubblicamente “sciocchi” (versione purgata) coloro che votassero “per il loro disinteresse”, avendo detto in altra circostanza che pagare le tasse oltre una certa soglia, indipendentemente dal contesto (stato della finanza pubblica e delle categorie più in difficoltà), è “contro natura”, ebbene in questi casi non si fa solo il vantaggio della propria azienda o del proprio partito, ma si compromettono, nella coscienza comune, valori fondamentali come il matrimonio e il bene comune.

Il danno maggiore di una campagna elettorale giocata in gran parte in termini di lotta senza quartiere fra “berlusconismo e antiberlusconismo” sta nell’avere spaccato l’Italia non più in termini ideologici, che dopo la caduta del Muro di Berlino sono quasi scomparsi, ma in termini “antropologici”, ossia prepolitici, di adesione o meno ad un modello di vita, di società, di comportamento istituzionale che tendono ad escludersi, fino a giustificare propositi di emigrazione, nel caso che vinca uno schieramento o l’altro, come ricorda De Rita su Avvenire del 12 aprile.

Come nella dugentesca Firenze i Bianchi e i Neri, anche se oggi grazie a Dio, ora non più con la condanna a morte o al confino della parte soccombente.

Ricordo l’amara riflessione di un poeta d’altri tempi: “Chiedo al marine: perché uccidi il vietcong? Per la libertà, risponde il marine. Chiedo al vietcong: perché uccidi il marine? Per la libertà risponde il vietcong. Credevo che la libertà fosse vita.” Prima di lui Salomone aveva indicato lo stesso criterio per stabilire di chi veramente fosse, oltre le rivendicazioni, il figlio conteso fra le due madri.

Come nel ’68 noi insegnanti dell’UCIIM rifiutammo l’alternativa fra lo schierarsi con le istituzioni o col movimento e scegliemmo un modo di essere nelle istituzioni che rendesse possibile il dialogo fra valori presenti nell’uno o nell’altro “mondo”, così ora pensiamo che alla scuola tocchi il compito di difendersi dall’uso improprio della politica e di difendere la stessa dignità della politica, contribuendo a ricostruire sul piano educativo il tessuto umano, culturale, psicologico che è stato lacerato da questo uso improprio della lotta politica. Il quale uso nasce, in fondo, da paure, arroganza, pretesa di vincere ad ogni costo, anche rispolverando clericalismo e anticlericalismo,  e dalla convinzione che, per stare insieme, occorra essere piuttosto contro qualcuno, che per qualcosa: qualcosa che non si riduca ad un solo tema, ma ad una prospettiva generale di crescita civile.

Affronteremo nelle sedi opportune del nuovo Governo e del nuovo Parlamento i problemi della riforma della scuola e della formazione professionale. Per ora concludo con l’evocazione del problema fondamentale di fronte al quale si troverà il nuovo governo: problema del quale non si è parlato in termini di strategie realistiche, perché si sono considerati gli italiani come consumatori e come risparmiatori piuttosto che come cittadini responsabili e capaci di comprendere il valore delle medicine amare, posto che qualche medico sia in grado di prescriverle.

Alludo alla necessità di ridurre un debito che ha superato i un miliardo e cinquecento milioni di euro (tre milioni di miliardi delle vecchie lire) e che ci costa 65 miliardi di euro l’anno, ben più del sistema scolastico.

Si parlerà molto di questi problemi, la cui soluzione incide fortemente anche sulla politica scolastica.

La nave della legislatura che prende il largo è assai appesantita. Sia consentito augurare al vento in poppa al capitano Romano Prodi designato dalle urne: non solo perché l’augurio viene da un antico compagno di liceo e di collegio universitario, ma perché il bene dell’equipaggio dipende anzitutto dalla saggezza e dal coraggio di chi è chiamato a guidare la nave, oltre che dalla moderazione dell’equipaggio stesso.

Per ora rallegriamoci per la cattura di Bernardo Provenzano e per la Pasqua del Signore, che ci richiama ad una dimensione nella quale non tutto si gioca nell’oggi della politica, come sembrano invece pensare gli sciagurati kamikaze del Medio Oriente. 


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