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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Voci di maestre

Lo sconcerto, ma per colpa di chi...

Le maestre ed i maestri italiani non sembrano condividere le "ragioni" della
riforma della scuola primaria, che si sta delineando nei primi provvedimenti
attuativi. Essi si sentono traditi da proposte frettolose, unilateriali,
poco motivate, che sono state spesso enfatizzate dai canali mediatici
(fascicoli, spot, quaderni, fumetti, agende) che hanno completamente
"saltato" una fase di indispensabile coinvolgimento degli insegnanti e delle
scuole. Una scuola tradizionalmente considerata "fiore all'occhiello" del
sistema scolastico italiano, riformata negli ultimi anni con leggi e
provvedimenti assai impegnativi, in grado di ottenere risultati
soddisfacenti anche nelle prove internazionali (l'utima, sui livelli di
lettura in 4^ elementare ci colloca nelle posizioni di testa), non si
capacita di un "accanimento terapeutico" che tende a mettere in discussione
un'organizzazione ormai consolidata ed apprezzata dagli stessi genitori. La
riforma viene guardata con estraneità, con sfiducia, spesso con ostilità:
non è associata ad una possibile riflessione critica sui risultati ottenuti
(e non), sui margini di miglioramento (che certamente ci sono), sulla
rivistazione delle pratiche didattiche (spesso inadeguate). Anche i
possibili temi forti della riforma, come la centralità della persona che
apprende o il raggiungimento di esiti formativi e culturali più elevati per
tutti i ragazzi (queste dovrebbero essere le motivazioni vere di ogni
riforma!), passano in secondo piano travolti dalla polemica su nuovi oggetti
(come la figura del docente tutor o la riduzione dei tempi della scuola),
che non erano nemmeno citati dal legislatore all'interno della legge
53/2003. Dunque, chi ha portato il dibattito fuori strada ? E quante energie
intellettuali avrebbero potuto essere dedicate ad obiettivi in positivo ?

Gli equivoci del "tutor"...

E' emblematica, in proposito, la vicenda del tutor. Si parla spesso
dell'insegnante "tutor" come della vera novità della riforma, ma gli
articoli della legge 53 non ne fanno alcuna menzione. Inoltre, scorrendo il
decreto legislativo oggi in fase di discussione non si trova affatto il
termine "docente tutor", ma vengono citate unicamente le "funzioni" di
coordinamento, tutoraggio, orientamento, documentazione, rapporto con i
genitori, funzioni che dovrebbero essere più  efficacemente distribuite tra
tutti i docenti. Ad esempio, la funzione "tutoriale" è un elemento che può
qualificare il lavoro di tutti i docenti (e non solo di alcuni), perchè
esprime tutta la delicatezza di un rapporto educativo intenso, di
accompagnamento, di guida, di sostegno all'apprendimento degli allievi.
Questione ben diversa è la possibile "regia" educativa di un gruppo docente,
per assicurarne l'unitarietà, la tenuta, la connessione (a fronte dei
possibili rischi di una frammentazione degli interventi, che è così tipica
delle nostre scuole secondarie, piuttosto che delle primarie). Sarebbe
importante discutere tra docenti di questa funzione di coordinamento tra
professionisti e provare a delineare un ruolo condiviso ed utile di un
coordinatore (anche temporaneo) del team docente. Ma il rapporto con i
genitori, oppure la cura del portfolio delle competenze, così come
l'orientamento verso gli allievi sono funzioni talmente delicate che non
possono essere affidate solo ad un docente del gruppo ed "escluse" a priori
per gli altri: si aprirerebbe una ferita difficilmente sanabile tra i
docenti contitolari del progetto educativo della classe. Un'idea
contradittoria con tutte le parole sulla collegialità che sono state spese
in questi anni. Proviamo invece ad interrogarci seriamente sul significato
del "tutoring" verso gli allievi, guardando anche alle diverse soluzioni che
sono state adottate in Europa: ci sarebbe spazio per una vera ricerca-azione
nelle nostre classi... (un'ipotesi da verificare potrebbe essere
l'affidamento ad ogni insegnante di un gruppo di allievi verso i quali
svolgere funzioni di tutoring...).

Funzioni tutoriali ed autonomia didattica...

La questione delle "funzioni educative" che arricchiscono la tradizionale
funzione di insegnamento in classe sono dunque assai più complesse e
articolate di quanto non appaia nei documenti oggi in circolazione.
Scherzando, ma non troppo, si può dire che "non vale" l'interpretazione che
del tutor viene data dall'inserto colorato di "Donna Moderna", in cui si
prevede l'assegnazione a tale figura di tutte le discipline fondamentali in
prima elementare (ed oltre), riservando agli altri colleghi solo
l'insegnamento nei laboratori, che tra l'altro potrebbero essere
prevalentemente facoltativi e quindi a rischio di marginalità nella
percezione dei ragazzi e dei genitori (questo verificammo a suo tempo con le
"attività integrative").
Anche la precisa indicazione contenuta nello schema del decreto legislativo,
volta a salvaguardare la "contitolarità didattica dei docenti" [al plurale],
esclude l'idea che gli insegnanti elementari si distinguano tra
docenti-tutor e "addetti ai laboratori": se i docenti [al plurale] sono
responsabili della classe loro affidata, è opportuno che anche
l'organizzazione degli insegnamenti sia più equilibrata e integrata. Si
tratta, inoltre, di una materia che dovrebbe essere lasciata all'autonomia
della scuola, perchè le situazioni sono estremamente differenziate: un conto
sono classi numerose, oppure classi abbinabili in parallelo, oppure in
piccoli plessi, o classi a tempo pieno; inoltre, andrebbero accertate la
possibile continuità-discontinuità di presenze dei docenti nelle classi, le
loro competenze, i loro desideri: sono tutti fattori e criteri di qualità
nella scelta di un modello organizzativo. Questioni appunto da affrontare
con molta serietà e serenità in ogni scuola: difficile dire da Roma che
l'organizzazione migliore deve prevedere una presenza di almeno 18 ore (e
poi, tecnicamente, nel testo del decreto c'è anche una imprecisione, perchè
non si prevede che queste ore siano svolte con lo stesso gruppo di allievi,
come si affermava nella penultima versione del decreto, quindi...).

Di bozza in bozza...

Certo, abbiamo i documenti "ufficiosi" (le bozze di Indicazioni nazionali
ora allegate allo schema di decreto) elaborati dall'equipe del prof.
Bertagna, in cui compare un paragrafo "vincoli e risorse" dedicato a questi
problemi ove si sostiene l'idea di un docente tutor affiancato da docenti di
laboratori. Ma verrebbe da chiedersi come sia stata maturata questa ipotesi
(certo è assai diffusa nelle scuole "paritarie", ma non in tutte), come non
sia stata mai sottoposta ad un vaglio critico con esperti e scuole (nelle
audizioni dell'autunno 2001 con il gruppo ristretto di lavoro guidato dal
prof. Bertagna era stata esclusa l'ipotesi di superare il concetto di team
docente, affermando che si sarebbe trattato, tutt'al più, di liberalizzare i
diversi modelli organizzativi).
Altre idee del Gruppo Ristretto (cfr. MIUR, Annali Istruzione, 3-4, 2001)
prevedevano il potenziamento degli istituti comprensivi (con un biennio di
raccordo tra quinta elementare e prima media), l'integrità della scuola
dell'infanzia (con esclusione dell'anticipo), una diversa configurazione del
tempo scuola con una fascia di oscillazione tra orario obbligatorio e
facoltativo. Vien da chiedersi come mai molte delle idee iniziali siano via
via andate perdute, come molte abbiano cambiato segno, e -soprattutto- come
tutto questo sia avvenuto senza un chiaro dibattito con la scuola e gli
insegnanti (con scelte assunte in ristrettissime "cabine" politiche).

Slogan contro slogan: non basta...

E' legittimo rimettere in discussione molte delle pratiche didattiche che
hanno caratterizzato la vita della scuola elementare degli ultimi decenni
(in particolare, il team docente ed il tempo pieno). Non sono certo dei
"totem" intoccabili: la realtà è spesso diversa da come la trasfiguriamo: fu
proprio uno dei padri fondatori del "tempo pieno" (il pedagogista Bruno
Ciari) a chiedersi alla fine degli anni sessanta "tempo pieno, pieno di che
?". E' utile interrogarsi sull'attualità e la presenza così diffusa di
classi a tempo pieno (oltre il 22 % a livello nazionale). In molte città
(Milano, Bologna, Torino, ma non solo) il tempo pieno fa ormai parte del
paesaggio antropologico della scuola: i genitori se lo aspettano, gli
insegnanti se lo sono cucito "addosso", spesso con sacrifici e passione.
Questa storia va conosciuta e rispettata. Ma, oggi, oltre alla risposta alla
"domanda sociale", che non va sottovalutata, quali sono i valori pedagogici
del tempo pieno ? quali le idee di apprendimento, di conoscenza, di
relazione che in esso sono effettivamente praticate ? quali i vissuti dei
bambini, la loro idea di tempo, il rapporto tra i diversi momenti della
giornata, la connessione con gli altri contesti educativi e di vita ? Sono
domande aperte, a cui non si può rispondere solo con qualche slogan o con
una difesa "a riccio" o "d'ufficio", ma sapendo argomentare, rinnovare i
riferimenti culturali, motivare le scelte, aggiornare i repertori operativi,
con un dialogo aperto e forte con i genitori (rinegoziando con loro le
"ragioni" del modello o gli opportuni adattamenti).

Di fronte alla legge: lealtà, legalità e cittadinanza

La riforma della scuola è stata approvata dal Parlamento (ed il presidente
Ciampi non l'ha respinta): spetta dunque agli operatori scolastici (che sono
"leali" dipendenti pubblici) dare corretta attuazione ad una legge dello
Stato (quando essa sia corredata di tutti i legittimi atti applicativi).
Ma spetta anche ai "leali" dipendenti dello Stato verificare e richiedere le
condizioni minime che consentono una buona attuazione delle leggi (i tempi,
le risorse, le strutture, l'informazione, la condivisione); spetta, inoltre,
a "leali" dipendenti dello Stato segnalare i problemi, le incongruenze, i
limiti, i cambiamenti necessari per migliorare le leggi (la stessa legge
53/2003 concede un anno "supplementare" alla delega -dopo i primi due- per
riscrivere e modificare i decreti che si siamo mostrati insufficienti). Un
atteggiamento criticamente vigile è -dunque- d'obbligo.
Spetta -infine- ai "leali" cittadini aspirare anche ad idee di scuola
diverse da quelle che si stanno prospettando, operando con i legittimi
strumenti della democrazia per veder realizzata una scuola coerente con i
propri valori pedagogici.

 


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