I DIRITTI DEGLI ALUNNI

 di Umberto Tenuta

 

l secolo XX è nato all’insegna dei diritti dei bambini.

Nell’anno 1900, Hellen Key scriveva un libro dal suggestivo titolo “Il secolo del bambino”[1].

Un proclama che veniva da lontano.

Senza scomodare l’evangelico Sinite parvulos venire ad me, già nel 18° secolo J.J. Rousseau si è fatto strenuo assertore dei diritti dei bambini[2].

Gli hanno fatto eco il Froebel, il Pestalozzi, la Montessori ecc.

Sul piano giuridico sono venute, nel secolo 20°, le varie dichiarazioni dei diritti del fanciullo e dei bambini, ultima quella del 1988.

Infine, nel 1998, lo Statuto degli studenti.

Ma tanti proclami, tante dichiarazioni, tanti documenti non somigliano forse alle grida manzoniane: non stanno forse a indicare la difficoltà di riconoscere il bambino e di rispettarne i diritti?

Si dirà che con il ’68, i diritti i giovani se li sono presi tutti e, in un certo senso, continuano a detenerli, anche perché le famiglie e la scuola glieli hanno lasciati, forse senza troppe resistenze.

Tuttavia, non sembra si sia trattato di un riconoscimento, ma di una facile acquiescenza, di una tacita e consensuale separazione, di un distacco senza traumi.

Da una parte, i giovani, con i loro diritti, da gestire da soli.

Dall’altra, gli adulti, genitori e docenti, rinunciatari, indifferenti, distaccati, lontani.

In effetti, qual è la situazione di fatto?

Di quali diritti i giovani si sono impossessati?

I diritti di cui i giovani si sono impossessati non sono diritti a qualcosa di cui possano godere, far uso, esercitare da subito, ma semmai diritti a qualcosa che ad essi dovrebbe essere dato: il diritto all’educazione.

Ai giovani è stato formalmente riconosciuto il diritto alla loro formazione umana, sociale, professionale.

Ai giovani è stato riconosciuto il diritto alla loro autorealizzazione, alla loro affermazione, alla loro educazione, che non è un dato, ma un processo.

Non un punto di partenza, ma una meta, un punto di arrivo, il risultato di un percorso formativo che essi non possono realizzare da soli.

I giovani hanno diritto a divenire uomini, ma per divenirlo debbono essere aiutati dagli adulti.

Ma gli adulti, in particolare i genitori ed i docenti, danno risposte adeguate a questo diritto dei giovani?

Ogni giovane ha diritto al proprio successo formativo (<<Ogni uomo è destinato ad essere un successo e il mondo è destinato ad accogliere questo successo>>)[3].

Ogni giovane ha diritto alla sua autorealizzazione, alla sua affermazione, alla sua formazione umana.

I giovani stanno lì, nelle nostre aule, per essere aiutati ad autorealizzarsi.

E noi docenti stiamo lì, siamo stati chiamati, siamo stati nominati, per aiutarli ad autorealizzarsi.

Non c’è altro motivo che giustifichi la nostra presenza nelle aule, se non quello di metterci al servizio dell’autorealizzazione dei giovani.

Tutto quello che si fa nella scuola e per la scuola, dalla costruzione degli edifici ai servizi di trasporto, agli arredi, alla programmazione delle attività, è funzionale all’autorealizzazione dei giovani, al loro successo formativo.

I giovani hanno diritto alla loro piena formazione umana, sociale, culturale, professionale e noi abbiamo il dovere di aiutarli a realizzare questo loro diritto.

Noi docenti siamo lì, per loro.

Non sono loro per noi.

Ma noi siamo per loro.

 E, allora, ogni giorno, il nostro impegno è quello di metterci al servizio della loro crescita, del loro sviluppo, della loro formazione, della loro educazione, della loro istruzione.

Se questo non facciamo, veniamo meno ai nostri doveri.

Ma soprattutto tradiamo i diritti dei giovani.

Diritti affermati, dichiarati, conclamati, ma non ancora sufficientemente protetti, attuati, realizzati.

Le nuove norme, Statuto degli studenti, Legge di riforma dei cilci e soprattutto Regolamento dell’autonomia scolastica, avranno un significato solo se riusciranno a garantire il diritto dei giovani al successo formativo, alla piena formazione della loro personalità, alla loro autorealizzazione.

Ma che cosa significa aiutare i giovani ad autorealizzarsi?

Che cosa significa autorealizzazione?

Significa umanarsi, farsi uomo: acquisire gli atteggiamenti, le capacità e le conoscenze che sono proprie dell’uomo.

Non basta offrire ai giovani le briciole dei saperi, le nozioni, le conoscenze.

Non basta insegnare le discipline.

È necessario promuovere l’acquisizione dei saperi essenziali, ma non basta.

Occorre aiutare i giovani a formarsi, a sviluppare la loro intelligenza, la loro affettività, la loro emotività, la loro socialità, il loro senso estetico ecc.

È necessario aiutare i giovani ad acquisire le loro capacità cognitive, affettive, sociali, espressive, comunicative, linguistiche, scientifiche, matematiche ecc.

I giovani non nascono intelligenti, socievoli, parlanti, matematici, poeti, ma lo diventano attraverso le interazioni socioculturali che la famiglia ed il contesto socioculturale prima e la scuola poi offrono loro.

Dipende da queste interazioni il livello della loro umanizzazione, della loro autorealizzazione, della loro formazione.

Ma non bastano nemmeno le capacità.

Sono innanzitutto e soprattutto necessari gli atteggiamenti.

Gli atteggiamenti nei confronti della vita: la fiducia di base.

Dalla fiducia di base nascono l’iniziativa e l’autonomia, che costituiscono le istanze fondamentali della personalità.

Sono necessarie le capacità relazionali, ma sono necessari soprattutto gli atteggiamenti nei confronti degli altri.

Sono necessarie le capacità di imparare, ma sono necessarie soprattutto le curiosità, le motivazioni, la volontà di apprendere.[4]

È necessaria la capacità di leggere, ma è necessario soprattutto l’amore della lettura (<<la lettura va intesa e sollecitata anche come emozione immediata e bisogno-piacere inesauribile>>, si afferma nel Documento dei Saggi).

Sono necessarie le capacità di risolvere problemi, ma sono necessarie soprattutto le motivazioni che inducono a risolvere problemi (il <<piacere del matematizzare>>, si dice nel Documento dei Saggi).

L’uomo ha cominciato a conoscere il mondo attraverso la filosofia (amore del sapere).

Aiutare i giovani a crescere, ad autorealizzarsi, a formarsi significa appunto aiutarli ad amare il sapere: il sapere, il sapere fare, il saper convivere, il saper essere.

Ognuno dei nostri 25 alunni ha diritto ad essere filosofo.

Dipende anche da noi docenti se lo è, se lo diventa o se cessa di esserlo.

I diritti dei bambini non possono e non debbono essere carta straccia!


[1] Traduzione parziale in italiano: H. KEY, Il secolo dei fanciulli, Fratelli Bocca, Torino, 1902.

[2] J.J. ROUSSEAU, Emilio o dell’educazione, (a cura di G. Roggerone), Editrice La Scuola, Brescia.

[3] FAURE E. (a cura di), Rapporto sulle strategie dell'educazione, Armando-UNESCO, Roma, 1973, P. 249.

[4] In merito: Bruner J. S., Verso una teoria dell’istruzione, Armando, Roma, 1967. 
Sugli atteggiamenti in generale, cfr: CAMBI F. (a cura di), Nel conflitto delle emozioni – Prospettive pedagogiche, Armando Editore, Roma, 1999; TENUTA U., I contenuti essenziali per la formazione di base: homo patiens, habilis, sapiens, in RIVISTA DELL’ISTRUZIONE, MAGGIOLI, RIMINI, 1998, N. 5