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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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NEL SEGNO DI FEDERICO II: CULTURA CORTESE E PENSIERO SCIENTIFICO NELLA MARCA GIOIOSA

Piero Morpurgo

 

 

Percorsi introduttivi alla mostra su Gli Ezzelini e l’Europa Signori della Marca nell’Impero di Federico II (Bassano del Grappa 16 settembre 2001 –6 gennaio 2002 http://www.ezzelini.it)

 

Lo spazio astrale

Nel clima nebbioso d’ Inghilterra apparve dalle nuvole l’ancora di una nave, la quale dopo aver girato intorno sette volte rimase agganciata sotto un mucchio di pietre.

Spaventata la gente si mise a gridare e  notò la corda muoversi come se qualcuno stesse tentando liberare l’ancora. Però, malgrado tutti gli sforzi, l’ancora non cedette, allora nell’aria densa si udì una voce simile al grido dei nostri marinai quando chiamano l’ancora impigliata. A questo punto i navigatori volanti mandarono uno di loro che scese lungo la fune. Tuttavia il marinaio ‘extraterrestre’, quando aveva già liberato l’ancora, fu afferrato dai presenti e malmenato. Il poveretto morì soffocato dalla nebbia e dalla nostra umida atmosfera. Allora sembra che i marinai celesti si misero a discutere della sorte del loro compagno disperso e dopo un’ora tagliarono la fune e vogarono via.

Così Gervasio di Tilbury riferì -nel 1214- (Otia Imperialia, Decisio I, cap. 13 http://home.t-online.de/home/03581413454/home1.htm), dell’ arrivo di una misteriosa “nave celeste” e del linciaggio di uno dei suoi occupanti da parte della folla. La “nave celeste” sarebbe giunta sulla Terra proprio navigando in quelle acque sovracelesti immaginate per attenuare l’intenso calore degli attriti delle sfere planetarie che ruotavano nel Cosmo, acque di cui però un funzionario imperiale come Goffredo da Viterbo già nel secolo XII negava l’esistenza [1] .

La disavventura del naufrago celeste testimonia con efficacia quanto ampio fosse il sistema di relazioni che, nel Medioevo, legava la Terra al Cielo e l’Uomo al Cosmo. Tutti questi rapporti condizionavano i destini della vita dell’uomo e degli stati; pertanto era necessario scrutare gli astri sia per studiarne matematicamente i movimenti sia per divinare il futuro. Gli ampi orizzonti della scienza medioevale sono ben rapprentati dalle leggende che assegnavano all’astrolabio sia la proprietà di fissare correttamente l’altezza di un pianeta a una determinata latitudine sia la capacità di inviare ordini ai demoni celesti [2] .

Dai prodigi celesti alle gioie terrestri

La vasta dimensione, mentale e fisica, dello spazio appare dal  racconto tramandato dagli Otia Imperialia  che trasmette l’intensità della curiosità scientifica di un Medioevo connotato da dimensioni cartografiche estremamente ampie e dalla convinzione dell’esistenza di esseri dalle forme più diverse come testimoniato dai Bestiari e dalle stessa rappresentazioni che figurano sul mappamondo di Ebstorf attribuito proprio a Gervasio di Tilbury.

Altrettanto risulta in analoghe elaborazioni geografiche e tra queste la carta del Salterio di Londra, (British Library, ms. Add. 28681), come il mappamondo di Hereford, la tavola Peutingeriana, l’Atlante di Andrea Bianco del 1436, (Venezia, BN Marciana ms. It. Z, 76 = 4783, f. 10) offrono le dimensioni di uno spazio del Veneto ove quando appaiono Verona, Padova, Venezia, Aquileia sono rappresentate come parte di un contesto unitario caratterizzato dalla immensità dell’Adige. Entro questi contorni cartografici si colloca la Marca amorosa.

http://home.t-online.de/home/henkaipan/mundus.htm

http://perso.wanadoo.fr/chateaubriand/gibert.htm

http://www.tin.it/veniva/venetie/sources/fsource.htm

Di questa Terra l’anonimo autore dell’Entrée d’Espagne quando si riferisce alla Marca trevigiana [3] la definisce appunto terra gioiosa. In questo poema franco-italiano del ‘300,  l’espressione joiose, in associazione con l’attributo cortois, qualificava il vasto territorio della pianura padana orientale, comprendente le principali città della terraferma veneta, come luogo privilegiato della vita cortese e cavalleresca “in cui tra le insidie e le guerre fiorivano le feste e i tornei” accompagnati dalla “poesia trobadorica” [4] .

E ‘Giocosa’ si chiamava la casa di Mantova dove nel 1423 Vittorino da Feltre insegnava ai figli di Gianfrancesco Gonzaga, ‘giocosa’ perchè in quel luogo si studiava e si giocava e perchè alle pareti vi erano dipinti giovani intenti al gioco [5] che trasmettevano quella stessa gioia che si rileva nell’osservare i ragazzi che si tirano le palle di neve negli affreschi della Torre dell’Aquila di Trento [6] .

Tirannia e cortesia nelle città della Marca

La tradizione del nome felice che designava la Marca Trevigiana si inserì anche nei testi di mago Merlino che profetizzerà:

la Marca amorosa diventerà dolorosa e Lombardia e Romagna e Toscana ne sentirà e saranno altresì dolorose, ivi appresso che la Marca il suo nome arà cambiato d’amorosa in dolorosa /.../ la Marca amorosa arà uno sì malvagio signore che sarà temuto dalla gente come una folgora.

E sotto la sua signoria non potrà lo padre parlare allo figliuolo né l’uno fratello all’altro per paura della morte: ma egli arà una usanza buona che egli non vorrà in suo’ terre né ladri né traditori ... della sua superbia parlerà tutta Italia e ognuno lo temerà ... ”. [7] Non a caso, in questo contesto, risalta un manoscritto del Roman de Merlin (Parigi, B.N., fr. 15211) ‘visitato’ a Padova dal Petrarca.

Immagini efficaci di affreschi, di cronisti, di testi scientifici e letterari così come di una vasta trattatistica giuridica, che confermano l’idea di queste contrade gioiose espressione che è entrata persino nella toponomastica veneta.

Tutta la Marca appare pervasa da un ideale armonico della vita delle città e degli uomini che si enuclea negli statuti di Treviso del 1313 [8] dove in una premessa si sostiene che la concordia et unitas animorum dei cittadini è una disposizione che dovrà corrispondere ai criteri musicali dell’ armonia canora.

E’ Treviso quella città dove ogni anno si svolgevano le battaglie del Castel d’Amore [9] che -nel 1214- degenerò in una piccola guerra di Troia. Generalmente si trattava di un appuntamento ludico che vedeva affrontarsi gentiluomini e dame. Per quell’incontro si costruì un finto castello nel quale si fecero prender posto le fanciulle, la struttura era dotata di difese ‘cortesi’: ornamenti d’ogni genere, drappi e baldacchini. Dal loro canto gli assedianti si servirono di proiettili altrettanto ‘gentili’: datteri, frittelle, fiale di balsamo e ogni genere di fiori [10] . Ma in quell’anno la rivalità tra padovani e veneziani degenerò e il gioco licenzioso portò a un vero e proprio confronto armato [11] .

Non  sempre i giochi erano gradevoli. Alcuni di questi divertimenti assunsero il carattere di una vera e propria danza macabra come quando Alberico da Romano –nel 1250- fece impiccare 25 persone e per far divertire i presenti costrinse trenta donne (le mogli, le madri, le sorelle e le figlie dei condannati) a passeggiare seminude tra le gambe degli impiccati [12] .

Le fonti letterarie, al di là delle aspre note di frà Salimbene, sottolineano che la Marca è terra di gran diletti come cantava Niccolò de’ Rossi nel sec. XIV [13] e così Fazio degli Uberti nel Dittamondo:

Noi trovammo Trevigi, nel cammino, / che di chiare fontane tutta ride/ e del piacer d'amor, che quivi è fino [14] , ma è terra in cui, per Petrarca, “la bella contrada di Trevigi /  Ha le piaghe ancor fresche d'Azzolino” [15] , si tratta del ... “ gran Lupo rapace, / crudel Tiranno, Azzolin di Romano, /  il quale ancora a tutta gente spiace...” [16] .

Il tiranno era un personaggio che tuttavia indulgeva ai piaceri della vita cortese tanto che nel Novellino si legge che: Messere Azzolino di Romano avea un suo favolatore, al / quale facea favolare la notte quando erano le notti grandi / di verno”.

Una sera però il cantastorie era stanco e cercò di evitare il compito raccontando di  un gregge che si trovava a un guado e quando, preso dal sonno, poi si interruppe “e non dicea più. Messere Azzolino / disse: / “Andè oltra”. /  E 'l  favolatore disse: / “Messere, lasciate passare le pecore, poi conteremo il fatto” [17] .

L’imitazione dei cicli epici

Per comprendere a cultura delle corti del ‘200 occorre apprezzare quella mentalità fatta di immagini poetiche e architettoniche con cui ci si dilettò ad imitare e a riprodurre eventi della Storia reinterpretati spesso con la mediazione dei cicli epici http://www.lib.rochester.edu/camelot/mainmenu.htm .

La Chanson de Roland come le imprese dei cavalieri della Tavola Rotonda furono e sono libri affascinanti che furono letti e rappresentati anche nella Marca:le tracce di questa pittura laica sopravvivono nei cicli pittorici della chiesa di Sesto al Reghena  (Pordenone),http://progetti.webscuola.tin.it/multilab/udin04/visite/sesto/abbazia.html#CHIESA  negli affreschi di Treviso (Museo Civico) così come in molti castelli dell’Italia settentrionale.

Spiccano tra queste raffigurazioni artistiche e letterarie: Castel Rodengo (Merano) con il ciclo di Ivano e Castel Roncolo (Bolzano) quest’ultimo costruito anche in forza di un instrumentum del notaio imperiale di Federico II; nelle sale del castello appaiono sia i cicli epici con le rappresentazioni di Carlo Magno e Artù e Tristano sia la descrizione dei giochi con la palla e dei tornei come le scene con musicanti) e falconieri [18] http://www.comune.bolzano.it/roncolo/ie/storia.htm .

Altrettanto efficaci sono i cicli figurativi con le storie dei cavalieri della Tavola Rotonda nel castello di Frugarolo (Alessandria) ove c’è un re Artù che istruisce all’arte della falconeria http://www.deagostini.it/dea/arte/artu.html [19] .

Cicli questi ripresi anche dalla tradizione manoscritta arturiana così ben appare dal manoscritto di Yale 229 riccamente miniato:

 http://inky.library.yale.edu/ARTHUR/IMAGES/Z4410021.JPG [20] .

 

In tutte queste rappresentazioni risultano ricorrenti le immagini naturalistiche, la presenza di scene cortesi; frequentissime le immagini di falconieri che fanno in modo che si possa rappresentare un contesto unitario della vita cortese che ben si lega all’affresco bassanese di Palazzo Finco ove si notano:  un giullare con la viella, un giovane misterioso, un Federico II che offre sorridente una rosa a una dama, verosimilmente la regina Isabella, che guanto da caccia sorregge un falco.

In poche immagini vi è la sintesi del pensiero politico e scientifico del secolo XIII. Infatti la cultura medioevale si caratterizzò proprio per il vicendevole intrecciò di discipline: i poeti dovevan sapere di scienza così come i giuristi non potevano esimersi dal conoscere la poesia. E’ un mondo del pensiero estremamente interdipendente e lontano da ogni settorializzazione ove poesia, scienza e politica si mescolano fra loro.

Poesia e filosofia esaltano le virtù dell’uomo sapiente

Questo intersecarsi di interesse risulta bene da un manoscritto che generalmente viene studiato come se i due testi rilegati assieme fossero stati uniti per caso; un chiaro esempio della unitarietà della cultura medievale è rappresentato  dal ms. oxoniense della Bodleian Library, Digby 23 che presenta due opere distinte: il commento di Calcidio al Timeo e la Chanson de Roland.

http://image.ox.ac.uk/show?collection=bodleian&manuscript=msdigby23a

http://image.ox.ac.uk/show?collection=bodleian&manuscript=msdigby23b

Testi per noi diversi accomunati già nel sec. XIII da un unico intento dal legatore ed evidentemente dal lettore perchè, come recita una chiosa, in quodam libro in Timeo exortabatur homines ad virtutem (c. 3rA). Si intende evidentemente accostare uella stessa armonia che pervadeva corpi celesti ed elementi caratterizzava anche le gesta di Orlando giacché gli astri influiscono sulle virtù dei cavalieri e gioiscono o patiscono quando il paladino vince o soffre. E difatti nella Chanson con  ‘il Sole fu bello’ si segnala la disposizione di Dio a tutelare i cavalieri, si indica dove sta il diritto e dove la ragione; ma quando Orlando muore ‘A mezzogiorno vi sono grandi tenebre: / non v’è chiarore, se il cielo non si fende’ e tutto è accompagnato dai rumori degli uragani e dei terremoti che indicano la fine del mondo.

L’intreccio tra cultura scientifica e letteraria è testimoniato da numerosi manoscritti che circolarono in area patavina e questo dato è rafforzato dalla presenza di poeti della Marca come Uc de saint Circ che avevano studiato a Montpellier, città universitaria nota per gli studi di medicina, mentre Sordello da Goito migrò verso la Provenza dopo il suo soggiorno nella Marca [21] .

E che la cultura cortese fosse fondata su di un mescolarsi di discipline è ben testimoniato proprio da Galvano, cavaliere di re Artù. Infatti dell’eroe si racconta che “sapeva meglio di chiunque altro guarire le piaghe”. E quando si accorse di un cavaliere ferito “Vede in una siepe un’erba molto efficace contro i dolori da ferita, va e la coglie”. Poi si avvicina alla damigella disperata e solo dopo aver constato che “il polso è buono, che la bocca e la gota non sono troppo fredde” dice:

Questo cavaliere, damigella, è vivo, siatene certa: ha buon polso e buon respiro e le sue piaghe non l’uccideranno. Ho portato un’erba da cui avrà beneficio, credo, che diminuirà i suoi dolori appena l’avrà sentita. Non v’è erba migliore per medicare le ferite.

I libri dicono ch’essa ha tanta forza che se la si legasse alla corteccia di un albero molto vecchio, ma non ancora del tutto disseccato, le radici riprenderebbero vita e l’albero diverrebbe sì sano che sarebbe tutto coperto di foglie e fiori [22] .

http://www.uottawa.ca/academic/arts/lfa/activites/textes/perceval/cgrpres.htm

 

La ‘ricostruzione’ della Natura

Dunque Galvano non è solo coraggioso, ma ha anche letto quei libri che appartengono alla tradizione degli erbari medievali e alla circolazione latina del trattato di Dioscoride cioè di quel medico militare che scrisse in greco il celebre De Materia Medica ove sono descritte e raffigurate circa 600 piante medicinali. In quei disegni miniati si ravvisa l’intento di avere uno strumento utilizzabile e quindi ben ordinato e questo si riscontra anche nel tentativo di raffigurare in modo realistico le piante catalogate così come risulta anche dal codice di Vienna del De materia medica che influì sull’erbario medico del sec. VII (Napoli, BN, ms. gr. 1) e quindi nelle stilizzazioni della copia del Dioscoride del sec. XIII-XIV (Padova, Biblioteca del Seminario, ms. 194).

E proprio gli antichi modelli iconografici degli erbari avrebbero influito su quella tipologia delle immagini tesa a rappresentare ea que sunt sicut sunt  e che traspare sia dal De arte venandi cum avibus (ms. Roma, BAV, Pal. lat. 1701) sia dalla cosiddetta Bibbia di Manfredi (ms. Roma, BAV, Vat. lat. 36 e in particolare ms.Torino, BN, E IV 14) opere che circolarono ampiamente nell’ambito svevo e ghibellino. Conforta questa tesi la testimonianza offerta dalle miniature degli ‘erbari gemelli’ (mss. di Vienna cod. 93 e di Firenze, Laurenz. 73.16) frutto dell’editoria scientifica promossa da Federico II e Manfredi.

In tutto ciò se Galvano parla con il linguaggio dei medici, Aimerico –nel prendere in giro Sordello da Goito- ripercorre gli echi arturiani: così Sordello poeta della Marca è un ruffiano, un matto, uno che riesce a prendere un boccale in testa in un modo non s’era mai visto nemmeno ai tempi di re Artù [23] .

La critica giocosa e irriverente si accompagnò nella Marca a un atteggiamento di pensiero che non riposava più sulla mera fiducia nei confronti delle ‘autorità’ del passato. Infatti il medico Bruno da Longoburgo, attivo a Salerno e poi  a Padova, dichiarò con nettezza, nella sua Chirurgia Magna (terminata nel 1252), che avrebbe seguito il pensiero dei ‘classici’ solo dopo che quei risultati fossero stati confermati dalla ragione e dalla esperienza (testimonio rationis et exercitio ultimo) [24] .

Studiare, interpretare e rappresentare i segni della Natura appare l’obiettivo di una scienza pluridisciplinare che tentò anche di riprodurre i meccanismi di una machina mundi perchè così si segnalava l’efficacia dell’ imperatore, del dominus Mundi.

Al tempo di Federico II e di Ezzelino da Romano ciascun momento della vita privata e pubblica era organizzato ispirandosi ai principi per cui tanto l’organismo del corpo umano quanto il meccanismo, la machina, della vita sociale rispondevano alle armonie celesti e tutto ciò doveva essere apprezzabile dai cittadini (non a caso gli affreschi astrologici del Palazzo della Ragione di Padova [25] testimoniano una realtà ove la giustizia civile era amministrata in un quadro sovrastato dal diritto celeste).

La rilevanza assegnata dal render pubblica la sintonia con la Natura di chi guida l’Impero fu manifestata  dalla messa in opera di veri e propri eventi propagandistici. Un esempio significativo di queste scenografie è quanto accadde -secondo la testimonianza di due cronisti- durante le nozze, combinate dalle trattative di Pier della Vigna (ca. 1190-1249) che per questo fine si recò in Inghilterra [26] , tra la sorella del sovrano inglese Enrico III e Federico II.

Gli accordi prematrimoniali furono intessuti tra il novembre 1234 e il febbraio 1235; le trattative iniziarono con una lettera di Federico II ove si premette quanto queste unioni siano necessarie per ottemperare all’armonia della Natura [27] . E quando poi si celebrarono le nozze, nel febbraio del 1235, Isabella d’Inghilterra venne accolta a Colonia dove le strade erano cosparse di fiori e su quel terreno, per excogitatum ingenium, le si fecero incontro delle navi che sembrava che veleggiassero, ma che in realtà eran mosse da cavalli nascosti da onde di seta che coprivano anche i clerici suaviter modulantes [28] .

 

Astrologia e astronomia nella vita pubblica e privata

L’episodio permette di apprezzare una caratteristica della vita cortese che appare sempre attenta ai moti dei pianeti. Infatti i cronisti sottolinearono come l’ Imperatore nella prima notte che passò con la nuova moglie noluit eam carnaliter cognoscere donec competens hora ab astrologis ei nunciaretur. Venne quindi il momento propizio e, consumata carnali commixtione summo mane, l’Imperatore allora si disse certo che il concepito fosse un maschio, il che non fu.

In seguito Federico II, confortato da tutti questi buoni auspici astrali e carnali, si recò a Magonza dove sfruttò l’ottima natura del momento per sviluppare la sua azione legislativa [29] poi espressa nella Constitutio Pacisdove dispose che sub felici nostrorum temporum statu  vigeat pacis et iusticiae moderamen.

L’astrologia e l’astronomia erano scienze indispensabili al sovrano e ne orientavano le scelte. Cosìastrologi come Guido Bonatti e Salione da Toledo furono attivi nella Marca. Proprio in un trattatodi Salione si insegna a stabilire secondo criteri astrologici come si possa a rispondere a domande quali: se si avranno figli o meno, in che periodo della propria vita si potrà essere affetti da malattie, se ci si sposerà o meno, come scegliere un itinerario, come si comporterà un re, un amico, un nemico. La tipologia delle domande appare molto simile ad analoghi quesiti riportati nel Liber Introductorius (Oxford, Bodleian Library, ms. Bodley 266) di Michele Scoto astrologo imperiale.

Sempre Salione propone anche come identificare astrologicamente il momento migliore per procreare secondo determinate scelte cosmiche e questo ci riporta alla mente la tecnica utililizzata anche da Federico II dopo il matrimonio con Isabella d’Inghilterra.

Il testo, al di là dell’improbabile validità astrale, appare un valido strumento per tentare di intendere quali fossero le preoccupazioni dell’uomo medievale. Infatti Salione nel rispondere a diversi quesiti: a chi chiede di sapere se un figlio sia legittimo o prodotto da un adulterio, a chi vorrebbe conoscere se il nascituro sarà sapiente o un bruto, come si interpretino i segni del volto nonché gli occhi ytalicorum vel gallicorum, ci fa intendere quali fossero le possibile ansie di chi si recava a chiedere di interpretare i destini celesti. Del resto nel manoscritto si susseguono le domande sulle possibilità di vita di un neonato (se riuscirà a nutrirsi, se crescerà, se morirà subito dopo il parto). si assegna l’influsso dei diversi pianeti sull’indole di ciascun neonato (ad es. Mercurio contribuirà a farne un uomo di legge, di buone qualità oratorie, appassionato alle antiquas res gestas, e quindi dimostrerà un intelletto veloce e avrà molti libri). L’astrologo inoltre insegna a riconoscere i signa: stulticie, ystrionum, fidelitati, scelerum, latronum, fornicationum virorum et mulierum, sodomitarum, impudicicie, castitatis… etc

L’astrologo di Ezzelino è estremamente attento all’analisi dei temperamenti umani e di come questi possano essere regolati dai pianeti (ad es. quando domina Marte la persona sarà di colore rosso con occhi bianchi di grande statura e naso di notevoli dimensioni, con un buon ingegno, ma con un cuore che lo induce a pensare e a parlar male). In questo contesto si legge come l’influsso del Sole e della Luna in Marte porteranno il nascituro ad avere grandi possedimenti, dignità et habebit auxiliatores et sequaces et scribas et portabuntur vexilla ante ipsum et perficitur mandatum eius a populo.

[30] .

Emerge da queste note l’importanza di una scienza astrologica che per Michele Scoto permetteva ai suoi artefici di conoscere multa secreta Dei  e di ottenere posti di prestigio presso magnates et barones perchè riesce a sollevare dalle ansie gli uomini di potere [31] .

Ecco perchè presso Ezzelino da Romano operava anche Gherardo da Sabbioneta e della sua attività abbiamo testimonianza in un codice della Biblioteca Apostolica Vaticana [32] . Dal manoscritto emerge che l’astrologo nel suo responso, intitolato significativamente De exercitu et bello, escluse come non propizio alla battaglia –sulla scorta dell’auctoritas di Aristotele - il giorno 22 agosto.Il quesito dovrebbe corrispondere all’azione militare che portò poi Ezzelino a mezzogiorno del 25 agosto del 1259 a lasciare Brescia per tentare di occupare Milano la più ricca ed irriducibile nemica dell' Impero; un analogo quesito fu riferito da Rolandino da Padova per una data successiva al 23 agosto. [33] . Con questo vaticinio Gherardo avrebbe dunque annunciato la possibiltà di una sconfitta essendo il quadro astrologico  sfavorevole “pro exercitu ficiendo neque pro bello”; infatti Marte si sarebbe trovato in angolo ascendente rispetto allo Scorpione e dunque secondo l’autorità di scienziati come “Hali philosophus” (Ali ibn Ridwan che commentò l’opera di Tolomeo) e degli astronomi Zahel ibn Bishr e di  Alkindi in posizione non favorevole alle imprese belliche [34] .

 

La morte dei tiranni

La stessa morte di Ezzelino (1194-1259) assumerà nel cronista Rolandino da Padovail senso di una vittoria della Natura sul tiranno che aveva stravolto le regole del diritto delle genti. Alla sconfitta di Cassano d’ Adda il popolo si radunò con clamore, come talvolta sono soliti fare gli stormi di uccelli garruli e minacciosi.

In quelle drammatiche circostanze la popolazione assisteva ai vani tentativi dei sapienti; vani perché la medicina in qualche caso può allontanare la morte, pur essendo impotente nell’evitarla.

Nonostante tanto affanno arrivò la morte con quel morso finale che altitudinem spernit, potenciam vilipendit, divitis preterit, superbiam calcat pedibus, nobilitatem deridet.

Il cronista, nell’offrire l’impietoso racconto, sottolineò come l’intervento della morte sia portatore di eguaglianza giacchè corpora quoque cuncta sive deformia sive speciosa deformat, suumque dominium infallibile triumphaliter monstrat in cunctis gentis super terram [35] .

E ancor più dettagliata, e compiaciuta, fu la descrizione de morte pessima Friderici nella Vita Innocentii IV: infatti l’ imperatore laborans gravibus dissenteriis, frendens dentibus, spumans, et se discerpens, ac rugiens immensis clamoribus, excommunicatus et depositus miserabiliter expiravit ...mors enim peccatorum pessima et finis eorum interitur terminatur [36] .

Era un destino terribile riservato a chi, non contento di aver costruito latrine e bordelli in luogo delle chiese, aveva coltivato la passione della sodomia.

La morte di Federico II  rappresentava così la fine di colui che, come aveva notato il cronista Saba Malaspina, aveva creduto con la sua arte matematica di eguagliare la natura di Dio.

La sofferenza della fine  era indirizzata a cancellare materialmente le gioie di chi aveva goduto di beni materiali. Fu così anche per Cangrande della Scala ‘il più gran tiranno dopo Azzolino da Romano’ che per Jacopo della Lana visse e morì così  percorrendo un itinerario già tracciato dal mago di Federico II, infatti:

fu adempiuta la profezia di maestro Michele /Scotto, che disse che 'l Cane di Verona sarebbe signore /di Padova e di tutta la Marca di Trivigi. Ma  come piacque a Dio, e le più volte pare ch'avegna / per lo piacere di Dio e per mostrare la sua potenzia, /  e perché niuno si fidi in niuna felicitade umana, che / dopo la grande allegrezza di messer Cane, adempiuti / gli suoi intendimenti, venne il grande dolore, che /giunto lui in Trevigi, e mangiato in tanta festa, incontanente /cadde malato, e il dì de la Maddalena, dì / XXII di luglio, morì in Trevigi, e fune portato morto /a soppellire a Verona, e di lui non rimase né figlio né / figlia legittimo, altro che due bastardi.... [37] .

La morte del tiranno fu, nel pensiero medievale, contornata da segni profetici; in tal senso si orienta la chiusura dell’opera di Rolandino: qui si attribuirà ad Ezzelino da Romano un sogno ove con un’immagine efficace appare quanto fosse inscindibile il vincolo tra armonia della Natura e ordine dei Governi.

Infatti in quella visione il colle di Romano cum castro et hedificio cominciò ad elevarsi verso il cielo per poi tramutarsi in neve e dissolversi nel nulla [38] ; si annunciava così -con la rottura delle valenze primordiali che connettevano in mixtiones i quattro elementi e quindi con il dissolversi dei composti- la fine del Governo di una famiglia che era stata accusata più volte di aver infranto l’ ordo Naturae [39] .

Tuttavia Ezzelino si ribellò anche alla sconfitta e nonostante la clemenza dei vincitori che portarono al suo capezzale i medici più sapienti non permise ai dottori di farsi visitare e infine propriis manibus sua vulnera laceravit [40] .

Lo attendeva l’Inferno (If. XII) di Dante, ma lo stesso Immanuel Romano poeta ebraico alla corte dei Cangrande collocava all’ Inferno coloro che usarono la Sapienza per la loro fama  e promossero il loro nome sulla terra ... perciò a mezzogiorno brancolano nella notte; uomini diversi dai saggi delle nazioni del mondo che scelsero tra tutte le fedi le opinioni che erano giuste e misero al servizio di tutti la loro Sapienza  e che sono in Paradiso [41] .

Un Medioevo multidisciplinare

Il mondo sovraceleste, la scienza, la poesia, la politica appaiono formare un nucleo compatto della cultura medievale volta a cogliere armonie celesti e terrestri.

Ecco perché in una prospettiva che voglia comprendere quanto le mentalità dei sovrani medievali fosse condizionata dalla ‘filosofia della Natura’ si dovrà presentare  un ordine della società della Marca Trevigiana fondato su un delicato equilibrio di genti diverse, apparentemente opposte tra loro come gli ‘elementi’, tuttavia tutte unite dal sovrano. E’ questo il quadro offerto da Immanuel Romano [42] che, esaltando la vita di corte di Cangrande della Scala, presentava l’intreccio di popoli e di discipline che caratterizzarono tutta la Marca; così la lettura del Bisbidis può servire da efficace commento dell’affresco del palazzo abbaziale di San Zeno a Verona [43] ; infatti il poeta cantava:

...

Baroni et marchesi          Di tutti i paesi,

Gentili et cortesi,          Qui veddi arrivare.

Quivi Astrologia            Con Philosophia,

Et di Theologia            Udrai disputare.

Quivi Tedeschi              Latini et Franceschi

Fiamengi e Ingheleschi   Insieme parlare;

E fanno un trombombe          Che par che rimbombe

A guisa di trombe                 Che pian vol sonare

Chitarre et liuti             Viole et fiauti

Voci, alti et acuti,                   Qui s’odon cantare.

...

Qui boni cantori                   Con intonatori,

Et qui trovatori               Udrai concordare.

...

Quivi babbuini,             Romei, peregrini,

Giudei, Sarracini          Vedrai capitare.

...

Istruzzi et buovi              Selvaggi ritrovi

Et animai novi                   Quant’ huom pò contare.

Qui sono leoni,          Et gatti mammoni;

Et grossi montoni               Vedut’ ho cozzare.

...

Qui son altri stati            Sì ben divisati,

Che tra li beati            Sen può ragionare.

 

Sono versi straordinari che rendono evidente quanto siano ingiusti e ingiustificati quegli interventi di storici  improvvisati (ma anche affermati il che è più grave) che, in questi giorni drammatici, parlano spesso di ‘integralismo medievale’.

 

                                                                           Piero Morpurgo

                                                                           pmorpurgo@libero.it



[1] Si rinvia qui a P. Morpurgo, L’armonia della natura e l’ordine dei governi – Studi sulla cosmologia e sulla politica dei secoli XIII-XIV, Micrologus 4, Turnhout – Firenze 2000; ulteriori riferimenti bibliografici in http://www.morpurgo.wide.it.

[2] Su questi temi si veda il sito Scientific Instruments of Medieval and Renaissance Europe che raccoglie diverse collezioni museali: http://www.mhs.ox.ac.uk/epact/ .

[3] Canzone di gesta composta tra il 1330 e il 1340 da autore padovano anonimo, in cui si racconta la campagna di Spagna di Carlomagno e dei dodici paladini. Entrée d’Espagne, A. Thomas, ed., Paris 1913, 2 voll. (SATF, 60), vv. : «Je qe sui mis a dir  del neveu  Carleman | mon nom vos non dirai, mai sui Patavian, |d e la citez qe fist Antenor le Troian, | en la joiose Marche del cortois Trivixan». Sulla delimitazione del territorio designato come Marca Trevigiana in questi versi v. F. Torraca, L’Entreé d’Espagne in Studi di storia letteraria, Firenze 1923, pp. 164 e sgg; qui si riprende l’ampio intervento di M. Calzolari, Le contrade gioiose. La tradizione del ciclo bretone in Italia e in Friuli, in F. Cavalli, et al. edd, Atti del convegno Gli Echi della terra. Presenze celtiche in Friuli, Gorizia, in stampa; qui si rinvia ai suoi approfondimenti bibliografici cfr. http://www.celtifriuli.it .

[4] M. Boni, Poesia e vita cortese nella Marca, in Studi ezzeliniani, Roma, Istituto storico per il medioevo, 1963, pp. 163-188.

[5] A. Rizzi, Ludus/ludere. Giocare in Italia alla fine del medio evo, Roma-Treviso, Viella, 1995, p. 158.

[6] G. Sebesta, Il lavoro dell’uomo nel ciclo dei mesi di Torre Aquila, Trento, Servizio Beni Culturali, 1996, sub voce Gennaio.

[7] I. Sanesi, La Storia di Merlino di Paolino Pieri, Bergamo 1898, pp. xcv,  36 e 74-75; cfr- P. Morpurgo, La cultura scientifica nella Marca di Ezzelino, in C. Bertelli - G. Marcadella, Gli Ezzelini Signori della Marca nel cuore dell’Impero di Federico II, Milano, Skira, 2001, pp. 157-167, ivi p. 157.

[8] B. Betto, ed.,  Gli statuti del Comune di Treviso, Roma 1984-1986, vol. I, pp. 19-20. Su questi temi cfr. P. Morpurgo, La filosofia federiciana negli Statuti cittadini dell’Italia settentrionale, in C.D. Fonseca - R. Crotti, edd., Federico II e la civiltà comunale del Nord, Pavia – Roma, De Luca, 2001, pp. 485-506.

[9] Il soggetto è stato ampiamente rappresentato nel Medioevo si veda ad esempio la collezione di avori al Museo del Bargello di Firenze in http://www.sbas.firenze.it/bargello/index.html  con data base.

[10] G. Folena, Tradizione e cultura trobadorica nelle corti e nelle città venete, in Storia della cultura veneta, I, pp. 453-562, ivi 515; cfr. Rolandino da Padova, Cronica, I, cap.xiii, in Bonardi, ed., pp. 24-25, in MGH, SS, XVIIII, pp. 45-46; G. Peron, Rolandino da Padova e la tradizione letteraria del castello d’amore, in L. Bortolato, ed., Il castello d’amore. Treviso e la civiltà cortese, Treviso 1986.

[11] G. Folena, Tradizione e cultura trobadorica nelle corti e nelle città venete, in Storia della cultura veneta a cura di G. Folena, Vicenza, Neri Pozza, , I, pp. 453-562.

[12] G.  Ortalli, Gioco e giustizia nell’Italia di Comune, Treviso-Roma, Viella, 1993, p. 199.

[13] Nicolò de' Rossi, Canzoniere Sivigliano, a cura di Mahmoud Salem Elsheikh, Milano-Napoli, Ricciardi 1973, p. 234.

[14] Fazio degli Uberti, Il Dittamondo e le Rime, a cura di Giuseppe Corsi, vol. I, Bari, Laterza, 1952, p. 189.

[15] Rime disperse di Francesco Petrarca o a lui attribuite, a cura di Angelo Solerti, Firenze, Sansoni, 1909, p. 194.

[16] Delle poesie di Antonio Pucci, voll. I-IV, a cura di Ildefonso di San Luigi, in Delizie degli eruditi toscani, tt. III-VI, Firenze, Cambiagi, 1772-1775, p.117.

[17] Guido Favati, Genova, Bozzi, 1970, 198. Cfr. per una ricerca testi: OVI, Opera del Vocabolario Italiano, in http://www.lib.uchicago.edu/efts/ARTFL/projects/OVI/#search .

[18] A. Bechtold, ed., Castel Roncolo. Il maniero illustrato, Bolzano, Athesia, 2000, pp. 100, 132-150, 83-85.

[19] E. Castelnuovo, ed., Le stanze di Artù. Gli affreschi di Frugarolo e l’immaginario cavalleresco nell’autunno del Medioevo, Milano, Electa, 1999, p. 142.

[20] Ulteriori immagini si trovano nel sito http://www.princeton.edu/~lancelot/ della Princeton University che intende organizzare un archivio multimediale su Lancillotto e temi correllati chee rinvia a diversi codici : MS A = Chantilly, Musée Condé 472;MS C = ("Guiot"), Paris, Bibliothèque Nationale de France, fonds français 794; MS E = Escorial, Real Monasterio de San Lorenzo M.iii.21 (Under Construction);MS F = Paris, Bibliothèque Nationale de France, f. fr. 1450 ;MS G = Princeton, Firestone Library, Garrett 125;MS I = Paris, Bibliothèque de l'Institut de France 6138 (formerly 4676) (Under Construction) ;MS T = Paris, Bibliothèque Nationale de France, f. fr. 12560 ;MS V = Vatican, Biblioteca Vaticana, Regina 1725;U = Text of the Foulet-Uitti edition .

[21] Su questi contatti francoveneti cfr. P. Marangon, Alle origini dell’aristotelismo padovano (sec. XII-XIII), Padova, Antenore, 1977.

[22] Chrétien de Troyes, Perceval, trad. it. di G. Algrati e M.L. Magini, Milano, Mondadori, 1993, p. 94; cfr. http://www.mystical-www.co.uk/arthuriana2z/p.htm .

[23] Folena, Cultura trobadorica, cit.,  p. 500.

[24] Marangon, Alle origini, cit., p. 55 e n.

[25] P.L. Fantelli – F. Pellegrini, edd., Il Palazzo della Ragione in Padova, Padova, Editoriale Programma, 1990.

[26] J.L.A. Huillard-Bréholles, Vie et Correspondance de Pierre de la Vigne, Paris 1865, Reinheim 1966, pp. 20-23.

[27] Le trattative e le relative lettere sono in MGH, LL, II, pp. 307-311.

[28] Matteo di Parigi, Ex Cronicis Maioribus, in MGH, SS, XXVIII, pp. 128-131; Ruggero di Wendover, Chronica, H.O. Coxe, ed., London 1831-1844, IV, pp. 333-339

[29] E. Kantorowicz, Federico II imperatore, Berlin 1931, trad. it. Milano, Garzanti, 1976, pp. 408-411 e 439-440; T. C. Van Cleve, The Emperor Frederick II of Hohenstaufen, Oxford, Oup, 1972, pp.380-383, cfr. MGH, LL, Const., II, n. 196, p. 241.

[30] P. Morpurgo, scheda del ms. di Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. lat. 6, 108, cc. 42v-44r; 52r; 54r; 55r; 69 r ; 74r-76r; 92r   in Bertelli-Marcadella, edd., Gli Ezzelini, cit.; cfr. L. Thorndike, A third translation  by Salio, in “Speculum”, 32 (1957), pp. 116-117.

[31] P. Morpurgo, Note in margine a un poemetto astrologico presente nei codici del Liber Particularis di Michele Scoto, in “Pluteus” 2(1984), pp. 5-13, ivi p. 9.

[32] M. Calzolari, scheda del ms. Roma BAV, Vat. Lat. 4083, c. 16 r., in Bertelli-Marcadella, edd., Gli Ezzelini, cit.

[33] Cfr. M. Pastore Stocchi, Ezzelino e l’astrologia, in G. Cracco, ed., Nuovi Studi Ezzeliniani, Roma 1992.

[34] Cfr. F. Carmody, Arabic Astronomical and Astrological Sciences in Latin Translation, Berkeley 1956.

[35] Rolandino da Padova, Chronicon. Lib. xii, in MGH, SS, XIX, 142, in A. Bonardi, ed., in R.I.S.2 VIII/1, Città di Castello 1905-1908, p. 165; su gli aspetti della ritualità legata alla scomparsa dei sovrani si consulti N. Pollini, La Mort du Prince - Rituels funéraires de la Maison de Savoie (1343-1451), Lausanne 1994; D.L. D’Avray, Death and the Prince. Memorial Preaching before 1350, Oxford 1994.

[36] A. Melloni, Innocenzo IV. La concezione e l’esperienza della cristianità come “regimen unius personae”, Bologna 1990, pp. 278-279.

[37] Giovanni Villani, Nuova Cronica, a cura di Giuseppe Porta, 3 voll. (I. Libri I-VIII; II. Libri IX-XI; III. Libri XII-XIII), Parma, Fondazione Pietro Bembo / Ugo Guanda Editore, 1990-1999, II, 694.

[38] G. Cracco, Da Comune di famiglie a città satellite (1183-1311),  in G. Cracco, ed., Storia di Vicenza, Vicenza, Neri Pozza, 1988, p. 94; Rolandino da Padova, Chronicon, in MGH, SS, XIX; in R.I.S.2,VIII/1, pp. 172-173.

[39] Saba Malaspina, Liber Gestorum, in G. Del Re, Cronisti e scrittori sincroni napoletani, 2, Napoli 1845-1868, rist. Bologna, Forni, 1976, II, p.224.

[40] A. Murray, Suicide in the Middle Ages. The Violent against Themselves, Oxford, Oup, p. 54.

[41] Immanuello Romano, L’Inferno e il Paradiso, G. Battistoni, ed., Giuntina, Firenze 2000, pp. 28 e 84.

[42] Manuello Giudeo, Bisbidis, in C. Cipolla - F. Pellegrini, edd., Poesie minori riguardanti gli Scaligeri, “Bullettino dell’ Istituto Storico Italiano”, 24 (1902), pp. 51-55.

[43]   F. Zuliani, Gli affreschi del palazzo abbaziale di San Zeno a Verona, in M.S. Calò Mariani, ed., Federico II. Immagine e potere, Venezia, Marsilio, 1995, pp. 113-115.


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