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L’offerta formativa delle istituzioni scolastiche tra qualità e quantità

di UMBERTO LANDI

 

Sul Corriere della sera del 10 settembre, Angelo Panebianco, semplificando alquanto i problemi che investono il sistema formativo-scolastico proponeva Tre cose serie per la scuola e rilevava che

Dell’unica cosa che conta - la qualità dell’istruzione - pochi si interessano’.

Non sto qui a discutere se della qualità si interessano pochi o molti nel mondo della scuola. Penso di poter dire - e potrebbe essere d’accordo lo stesso Panebianco - che forse se ne parla molto ma non si fa altrettanto.

E’ noto che dopo lo ‘storico’ incontro organizzato dalla Confindustria a Mantova ( ai tempi del ministro Falcucci, sul finire degli anni Ottanta) nella scuola scoppiò la febbre della ‘qualità totale’. E da allora un qualche interessamento - per questa istanza fondamentale - c’è stato, anche se, in qualche caso, si è trattato più di attrazione suggestiva per forme mutuate da una sorta di aziendalismo abbacinante che di ricerca e attivazione partecipata di processi migliorativi realisticamente orientati e portati avanti.

Comunque, le iniziative non sono mancate, da parte del Ministero e da parte di molti altri soggetti pubblici e privati. Il Progetto qualità - il Servizio nazionale per la qualità dell’istruzione, il Servizio nazionale di valutazione poi Istituto nazionale per la valutazione, fino alle intenzioni espresse dal Ministro Moratti, nelle sue dichiarazioni programmatiche - insieme con le tante iniziative isolate o ‘in rete’ - fanno capire che una attenzione al problema della ‘qualità’, a diversi livelli, c’è. Che cosa tale diffusa attenzione abbia prodotto fino ad oggi non è facile capire.

Intanto, anche sull’onda di sollecitazioni esterne e dei vari ISO 9000, 9002 ... non poche scuole si sono mosse - autonomamente o nell’ambito di Progetti qualità - per avere la ‘certificazione di qualità’ che sembra in alcuni casi decisamente più interessante di processi di autovalutazione -

(inevitabilmente non brevi e non facili) correttamente impostati e realizzati - per un miglioramento graduale, possibile e necessario.

In tutto questo emerge uno degli aspetti più delicati dell’attenzione alla qualità, spesso ridotta a mera promozione di immagine della istituzione scolastica, maldestramente trascinata in una grossolana logica di competitività se non di ‘mercato’, per non dire di altri problemi.

La qualità dell’istruzione (e, perché no?, dei processi formativi) è un interesse non solo degli utenti dei servizi scolastici ma anche dell’intera società e delle istituzioni che la governano perché i suoi effetti si ripercuotono su tanti altri aspetti e processi della vita e della convivenza sociale

Ma le tante scuole che si sono mosse per ottenere la ‘certificazione di qualità’ perché lo hanno fatto ? Insisto su questo perché ritengo che vadano distinte chiaramente le iniziative - e il conseguente impegno - per qualificare, effettivamente, le prestazioni e il prodotto delle istituzioni scolastiche dalla semplice aspirazione alla ‘certificazione di qualità’ che spesso non sembra adeguatamente connessa e correlata alla prima.

Voglio dire che una volta attivata la dinamica della ‘competizione’, della promozione dell’immagine e altri dispositivi competitivi riferiti al personale ( vedi valutazione dei capi di istituto con prospettiva di compensi accessori e tutta una serie di forme di incentivazioni per i docenti ecc.), la ricerca di un ‘pubblico riconoscimento’ da parte di Agenzie abilitate a rilasciare la ‘certificazione di qualità’ può facilmente innescare dinamiche perverse, come in qualche caso già si verifica.

Tralasciando per il momento un altro problema - che fu posto a suo tempo dal Ministro Lombardi (che espresse l’intenzione di una ‘qualità diffusa’ ossia estesa a tutto il sistema scolastico nazionale e non limitato alle solite ‘isole felici’ o ‘ a macchia di leopardo’) - uno degli aspetti più problematici sembra il rapporto, tutt’altro che chiaro in molte iniziative, tra qualità e quantità.

Non poche delle scuole che dicono - o sono formalmente impegnate in ‘progetti qualità’- sembrano perseguire piuttosto un ampliamento dell’offerta formativa. E a tal fine non solo si adoperano per organizzare e offrire agli utenti forme varie di integrazione del curricolo-base ( ‘cosa buona e giusta’) ma rincorrono tutti i progetti - nazionali, europei, regionali - e tutte le iniziative - di Enti locali, associazioni, privato sociale - più o meno sponsorizzate - che possano dilatare il tempo scolastico attraverso una miriade delle attività. E’ il fenomeno dilagante delle ‘scuole dai cento progetti’ difficilmente riconducibili in ‘progetto unitario e condiviso’ e ricomponibili in una identità istituzionale chiara e definita.

Sia chiaro, non vorrei qui dare l’impressione di preferire un modello di scuola ‘chiusa’, insensibile alla molteplicità dei bisogni e delle attese e incapace di interagire col ‘territorio’ e le sue espressioni da cui si originano molteplici sollecitazioni ad ampliare la gamma delle opportunità formative. Vorrei solo dire che la scuola-servizio (che assume i bisogni degli utenti come vincoli prioritari e ineludibili e il ‘successo formativo’ come diritto di tutti e di ciascun alunno) resta ancora oggi un modello accettabile da tutti coloro che si rendono conto delle nuove sfide che le istituzioni scolastiche sono chiamate a raccogliere e le interpretano e le selezionano in modo corretto, offrendo agli utenti una articolata gamma di opportunità formative flessibili, congruenti ed efficaci ma all’interno di una identità istituzionale e funzionale ben definita e delimitata.

Se si accetta - e si condivide - questo modo di concepire la scuola, anche per la più semplice e più felice istituzione scolastica, dovrebbe essere fermo il diritto-dovere - per docenti e dirigenti - di tener conto di alcune priorità e di dire qualche volta - e senza timore di autolimitazione - No ! - a qualche sollecitazione, quale che ne sia la provenienza. Perchè una scuola che ritiene di potere o di dovere fare tutto difficilmente può offrire risposte efficaci - e di qualità - ai bisogni prioritari e quasi certamente non può svolgere bene le funzioni formative e sociali che l’ordinamento le assegna e gli utenti si attendono. E non consente nemmeno di dare vita - a livello territoriale - ad una ‘rete di servizi scolastici’ necessariamente tra loro complementari in un’ottica di sistema.

Ma la tendenza ad ampliare più che a qualificare, ad aggiungere più che ad ‘affinare’, sembra oggi decisamente prevalente.

 

Una qualità à la page ?

Ne deriva anche un altro ‘rischio’ per le scuole - anche per quelle che in buona fede e con zelo istituzionale e organizzativo - sono impegnate a realizzarla: quello di inseguire una qualità à la page ossia totalmente modulata sulle attese e/o le richieste di una parte o ispirata a mode correnti e contingenti. Questa tendenza ha un certo riscontro speculare in alcune forme di valutazione - di cui si avvertono segni anche in qualche monitoraggio nazionale - che confondono il gradimento e/o la ‘soddisfazione immediata del cliente’ ( rilevata spesso su aspetti superficiali, impressioni o suggestioni effimere) con la valutazione da parte degli utenti, senz’altro legittima ed opportuna, purché non induca o consolidi la tendenza a trovare facile conferma a quello che si fa nella scuola, soprattutto nell’ambito di ‘progetti’ o comunque di attività aggiuntive facendo passare in secondo piano gli aspetti essenziali e caratterizzanti del curricolo, quello su cui da alcuni anni insiste, ad esempio Piero Romei quando richiama l’attenzione sulle ‘discipline’.

Tutto questo accade - e anche altro - perché al momento, mancando un servizio nazionale di valutazione e una credibile cultura dell’autovalutazione e della rendicontazione - lo spazio per forme più o meno palesi di autoreferenzialità è quasi illimitato e la prospettiva di una ragionevole autoregolazione - come misura qualificante dell’autonomia - sembra ancora difficile e lontana.

Non ci sono speranze per la ‘qualità‘ nelle scuole?

Non penso e non ho inteso dire questo. Penso che l’‘aspirazione’ e le sollecitazioni a ‘fare qualità’ nelle scuole siano tutte legittime ed opportune e non si può né ignorarle né demonizzarle. Anzi vanno rispettate e valorizzate. Ma, per farlo, si può e si deve - da parte di chi - a diversi livelli - ha la responsabilità del sistema formativo, governarle ossia sostenerle e orientarle verso obiettivi credibili di qualificazione diffusa dei servizi scolastici, in termini di effettiva efficienza ed efficacia.


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