MAGGIORAZIONE RETRIBUTIVA

COME MIGLIORARE LA PROCEDURA?

di Umberto Tenuta

 

Seguo con vivo interesse il vivace dibattito che si sta svolgendo intorno alla Procedura per la maggiorazione retributiva (Concorsone).

Evidentemente, la pietra nello stagno ha avuto l’effetto che era troppo facile prevedere: le acque si sono smosse.

Forse in forma convulsa, ma comunque si sono smosse.

La stagnazione regnava da troppo tempo!

Ora, a mio parere, occorre cogliere il significato positivo dell’evento, che ha posto all’attenzione di tutti, non solo degli uomini di scuola, il problema della professionalità docente.

Un problema che evidentemente nessuno misconosce.

Le divergenze riguardano semmai le modalità per affrontarlo.

E, pertanto, torna quanto mai opportuna una riflessione.

Occorre andare al cuore del problema, e il cuore del problema è il successo formativo degli alunni che frequentano le scuole.

La scuola dell’autonomia nasce con il fondamentale obiettivo di assicurare a tutti gli alunni il successo formativo, inteso some <<pieno sviluppo della persona umana>> (art. 3, Cost.), cioè come piena formazione della persona umana, nel rispetto delle identità personali, sociali, culturali e professionali dei singoli alunni.

Su questo punto non dovrebbero esserci divergenze, nel momento in cui sembrano superate le concezioni più o meno innatistiche che nel passato sostenevano che gli individui nascono già più o meno dotati, per cui il compito dell’educazione è solo quello di prendere atto delle potenzialità dei singoli. Se l’alunno non è dotato, nessuno può modificare la situazione: non resta che respingere l’alunno, fuori della scuola, fuori della società.

D’altra parte, però, sembrano parimenti superate anche le concezioni proprie del sociologismo pedagogico e della psicologia comportamentistica, secondo le quali l’educazione è onnipotente, plasma l’individuo, indipendentemente dalle sue dotazioni genetiche.

Oggi sembra prevalere, anche secondo le ricerche delle neuroscienze, una concezione interazionistica, secondo la quale, al momento della nascita, l’individuo si presenta con delle possibilità più che con delle dotazioni, possibilità di ordine imprevedibile, aperte, che possono portare ad esiti formativi diversi a seconda delle interazioni socioculturali cui il soggetto partecipa.

Si riconosce, cioè, il ruolo fondamentale che l’educazione, a cominciare da quella che si attua nei contesti familiari e sociali, assume ai fini della piena formazione della personalità.

Anche non accogliendo l’ottimismo skinneriano, si ritiene però che gli interventi educativi abbiano un ruolo decisivo nel processo di formazione dell’uomo.

Il diritto all'educazione ed all'istruzione si configura così come diritto a vedersi assicurate le opportunità educative e didattiche più adeguate per la propria autorealizzazione umana, sociale, culturale, professionale.

Ritorna di grande attualità l’affermazione che <<Ogni uomo è destinato ad essere un successo e il mondo è destinato ad accogliere questo successo>> (1).

La scuola dell’autonomia non nasce, perciò, dalla velleitaria ambizione riformatrice di un ministro, ma dall’impegno costituzionale di garantire il <<pieno sviluppo della persona umana>>: garantire il successo formativo a tutti gli alunni, non solo ad una èlite.

E, non tanto per una velleità ideologica, quanto per una esigenza che, non solo la società democratica, ma anche la globalizzazione pone con forza, nel momento in cui non è più possibile costruire e mantenere barriere tra paesi ricchi e paesi poveri, tra classi sociali privilegiate e classi sociali svantaggiate.

La vita non sarà (non è) facile per nessuno sul pianeta Terra, se a tutti non si garantisce il diritto alla propria autorealizzazione umana, sociale, culturale ed economica, che passa attraverso l’istruzione, l’educazione, la formazione.

Significativa in tal senso è la prospettiva della stratificazione sociale, descritta nei giorni scorsi su La Repubblica da Umberto Eco, a seconda dell’alfabetizzazione informatica.

Non sembra proprio che gli operatori scolastici possano ulteriormente trascurare di porre la loro attenzione sulla qualità del servizio scolastico in termini di qualità, di produttività, di efficacia.

Le scuole, tutte le scuole, debbono assicurare il successo formativo a tutti gli alunni, che peraltro lo reclamano sempre più, perché vanno sempre più prendendo consapevolezza di questo loro diritto, non formale, ma sostanziale, nel momento in cui il loro destino di vita è strettamente correlato al livello di formazione che la scuola riesce ad assicurare.

Nel passato questa consapevolezza apparteneva solo alle classi alte; ora si diffonde, si estende anche alle classi sociali meno abbienti, per cui cresce il livello di partecipazione dei genitori alla vita della scuola, come peraltro testimonia il riconoscimento giuridico dell’esigenza dell’interazione della scuola con i genitori prevista dall’art. 1 del disegno di legge di riforma dei cicli.

Ma come realizzare il diritto all'educazione ed all'istruzione, inteso come piena formazione della persona umana, come successo formativo?

Evidentemente, attraverso la qualità dell’offerta formativa, non quale risulta delineata nel Pof, ma quale risulta effettivamente realizzata nella quotidiana attività educativa e didattica.

Ora, non v’è chi non veda che la qualità dell’offerta formativa e quindi l’assicurazione del successo formativo sono strettamente correlate alle competenze professionali degli operatori scolastici tutti, dirigenti, docenti e personale non docente.

Il successo formativo sarà assicurato solo se gli operatori scolastici si impegneranno a curare il loro continuo aggiornamento professionale.

Come incentivare questo impegno, fondamentale, ineludibile, conditio sine qua non dell’essere della scuola?

Il CCNL ed il CCNI hanno previsto l’istituto della maggiorazione retributiva come incentivo per gli operatori scolastici tutti ad impegnarsi, non più sul piano formale, ma sul piano sostanziale, a curare la loro formazione, il loro aggiornamento, che deve essere continuo, per cui non può essere assicurato solo al momento dell’ingresso nella scuola, ma va portato avanti giorno dopo giorno, nella prospettiva dell’educazione permanente, che riguarda anche gli uomini di scuola.

È appena il caso di evidenziare il cambiamento di prospettiva che, di necessità, oggi con la riforma della scuola dell’autonomia si prevede.

L’attenzione non è più rivolta, non può essere più rivolta, agli adempimenti formali, alla organizzazione della scuola ecc., ma va polarizzata sul successo formativo, sui risultati apprenditivi e formativi dei singoli alunni.

Il centro della scuola sono gli alunni, con il loro diritto alla piena formazione.

È questo il diritto prioritario da salvaguardare nella scuola, così come negli ospedali il diritto dei malati alle migliori prestazioni mediche.

E, allora, non si può contestare la Procedura senza nel contempo proporne un’altra, che assicuri i risultati per i quali la Procedura è stata prevista.

I sindacati che hanno firmato il Contratto ed il Ministro della Pubblica Istruzione non hanno alcun motivo per difendere questa Procedura. Hanno però il dovere di assicurare le competenze professionali che garantiscano il successo formativo ai singoli alunni.

Un discorso serio, responsabile, accettabile non può non porsi in una prospettiva costruttiva, movendo dal riconoscimento dell’esigenza di assicurare le condizioni che rendano possibile la qualità del livello di professionalità degli operatori scolastici tutti.

Questa deve restare un punto fermo, indiscutibile.

Come realizzare, come accertare la qualità della professionalità docente?

Sono discorsi aperti, sui quali occorre impegnarsi a riflettere.

Come realizzare la qualità della competenza professionale dei docenti?

Il Regolamento dell’autonomia scolastica offre indicazioni che sembrano promettenti, ma che vanno adeguatamente messe alla prova.

Ancora, come verificare la competenza professionale dei docenti?

Compito più difficile.

La Procedura ha prospettato delle modalità che appaiono un accettabile compromesso.

Da una parte, il curricolo, relativo agli aspetti formali (titoli, servizio, corsi ecc.). Forse 25 punti sono troppi.

Dall’altra, le prove strutturate.

Se i quiz saranno costituiti da contenuti oggettivi, non equivocabili, forse potranno risultare validi. Ma qualche punto in meno non guasterebbe.

Infine, il cuore della Procedura: la verifica in situazione.

A parere di chi scrive occorre puntare soprattutto su questa prova, portandone il punteggio ad almeno 70 punti.

Ma, con alcuni correttivi, che riguardano le modalità della sua attuazione.

Appare improponibile una verifica in situazione, senza la situazione (gli alunni).

È come voler verificare se uno sa nuotare, fuori dell’acqua.

La verifica va effettuata attraverso una lezione in situazione.

Secondo quali modalità?

Sono da discutere.

Ad esempio, nel caso si voglia mantenere l’attuazione modalità di valutazione, si potrebbe ricorrere alla tecnica del microteching: si registra, con tutte le garanzie, la lezione e poi la si discute.

Ma, a parere di chi scrive, la valutazione andrebbe effettuata, non sugli apprezzamenti soggettivi dei commissari, ma sui risultati apprenditivi e formativi degli alunni.

L’insegnante è "bravo" non se "sa" insegnare, ma se i suoi alunni apprendono.

Un esempio: l’insegnante spiega come si calcola l’area del trapezio e poi si verifica quanti dei 25 alunni hanno compreso.

O qualcosa del genere, che garantisca una verifica "oggettiva", non affidata ai pareri soggettivi dei commissari.

Se siamo d’accordo che occorre offrire a tutti i docenti le motivazioni perché possano impegnarsi ad assicurare l’innalzamento della loro competenza professionale, allora lavoriamo tutti per fare delle proposte migliorative, senza arroccarci nella difesa ad oltranza dei nostri diritti, che sono sacri nella misura in cui salvaguardano i diritti altrettanto sacri degli alunni.


(1) FAURE E. (a cura di), Rapporto sulle strategie dell'educazione, Armando-UNESCO, Roma, 1973, P. 249.



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