POESIA A SCUOLA

Umberto Tenuta

Con ironia non so quanto riuscita, in altra sede abbiamo cercato di rendere una non infrequente prassi di approccio alla poesia nella scuola.

Ne riportiamo il testo apparso sul N. 1 di SPAZIO DIDATTICA:

DIREZIONE DIDATTICA DI SECOLOFà

Agli Estimatissimi Maestri del Circolo

Mi pregio doverosamente trascrivere la prescrittiva Circolare a questa Direzione inviata dal Molto Illustre Signor Ispettore Circondariale:

<<Si reputa opportuno fare assoluto divieto ai Signori Maestri di perdere il loro preziosissimo tempo nel cercare di fare sentire ai propri alunni il senso poetico, in qualsivoglia maniera, magari col vieto ricorso a dizioni impresse su dischi (o su altre diavolerie) delle poesie studiate.

I Signori Maestri abbiano invece sempre ben presente che loro esclusivo dovere è quello di far tradurre le poesie in prosa, di farle analizzare grammaticalmente, anche attraverso l'individuazione del loro costrutto sintattico, con particolarissima atattenzione ai soggetti, ai predicati verbali e nominali, ai complementi più vari ed alla sempre auspicata divisione in sillabe di tutte le parole. IL PRIMO ISPETTORE CIRCONDARIALE>>.

Si resta in attesa della dovuta assicurazione di pieno ed incondizionato adempimento.

IL DIRETTORE DIDAttico

 

Quale contrappunto, ora riportiamo una pagina di un’esperienza didattica ispirata al Sistema dei reggenti di Marco Agosti:

Dal volume di RENZO AMMANNATI. La scuola del giglio di Firenze, La Scuola, Brescia, 1962:

SERA D’OTTOBRE di Giovanni Pascoli

E le poesie? scegliamone una qualunque: <<Sera d'ottobre>> di Giovanni Pascoli.

Questa poesia, pervasa tutta di colori, di suoni e di figure tipicamente campestri, è certo assai lontana dalla viva esperienza degli scolari di città, perciò difficile ad essere intesa ed intimamente gustata. Affrontarla è rischioso, meglio dunque cercare di raggiungerla per vie indirette.

Una mattina, l'argomento di conversazione converge sul mese corrente: ottobre.

Esaurite le discussioni, il maestro affida ad ogni gruppo un particolare compito di osservazione: quello stesso pomeriggio, durante l'ultima ora del giorno, un gruppo osserverà il cielo, e gli altri, la strada: le piante della strada, le persone, gli animali; ogni gruppo dovrà tenere conto anche delle voci dei suoni.

La mattina dopo, a turno, ogni alunno di ciascun gruppo si alza e riferisce sugli elementi che egli stesso ha saputo trarre dall'oggetto di osservazione affidatogli. Compiuto il turno, i componenti del gruppo si pongono al lavoro: pare che complottino ed invece sono tutti intenti a coordinare le loro osservazioni, in modo da poterle poi trascrivere entro i limiti di uno o due periodi che rispecchino, con la maggiore aderenza possibile, la realtà.

Il lavoro è lungo, ma gioioso.

Per incidenza sarà bene aggiungere che intanto il maestro ha avuto così modo di introdurre nella conversazione alcuni vocaboli tratti dalla poesia a cui tende implicitamente il loro impegno. Gli alunni se ne sono subito impossessati e già li hanno usati con proprietà. E da quelli, altri ne sono scaturiti: sinonimi, e famiglie di parole, frasi, idiomatiche, qualche proverbio.

Alla fine, per ordine, ogni capogruppo si alza e legge la comune stesura del compito: ecco il cielo, ecco la strada: i colori, le sfumature, luci e ombre; gli alberi, le persone, le parole di saluto, sibili di motori frettolosi, rotolii di saracinesche che si abbassano, rintocchi lenti di campane.

L'ispettore (1), seguendo l'ordine di svolgimento, affigge gli elaborati sul pannello ove vengono esposte le esercitazioni collettive, quindi chiede: - Quale titolo pensate di dare a questo lavoro? - Le proposte non tardano; il maestro interviene; i titoli si approssimano e finalmente ecco quello che risponde allo scopo: « Sera d'ottobre, in città ». Si trascrive a colori sopra una striscia di carta e si affigge anche questo sul pannello.

Il maestro conclude poi la mattinata, ponendo una domanda: - Nessuno di voi ha mai trascorso una serata d'ottobre in campagna? ma ne riparleremo domani; la campanella è già suonata da un pezzo.

Ne riparlano, ma dalla conversazione emergono soltanto scarsi e scoloriti elementi.

Si avverte così la necessità di recarsi in campagna.

Nei giorni che seguono, uno dopo l'altro, tutti raggiungono la campagna e ne tornano ricchi di notizie e di doni.

- Com'è bello il tramonto in campagna; quanti colori nel cielo!

- E che silenzio a quell'ora! Io tendevo l'orecchio, macchè, neanche una voce.

- Che aria buona e che odore di terra rimossa!

Intanto sulla cattedra si ammucchiano foglie ingiallite, rami carichi di bacche e pagine di taccuini su cui appaiono schizzi di casolari, di contadini e di animali intenti al lavoro.

Giampiero ha portato alcune fotografie scattate in campagna: due mucche che trascinano l'aratro, una massaia che governa i polli, una giovinetta che ritorna dai campi: sorregge sulla testa una gerla colma di erba. Quanti commenti su queste fotografie e quanti spunti se ne traggono: le mucche ci rimandano a « Il bove » di Carducci, la massaia a « Galline » di Pascoli, la giovinetta a «Il sabato del villaggio» di Leopardi: immagini che nella discussione si animano, palpitano, vivono.

Roberto, invece, ha trascritto le parole di un canto che un vecchio contadino ripeteva, trinciando il foraggio: uno stornello.

Che cos'è lo stornello? Cercano quelli celebri, ne studiano la composizione e la metrica. Poi anch'essi tentano di comporne alcuni. Ci riescono ed Enrico li canta, dopo averne appreso il motivo dall'ascolto di un disco.

Durante la libera attività, gli alunni copiano dal vero foglie e bacche, traggono dagli scritti scenette vivaci e fresche di colori; i poeti compongono stornelli per tutti, perfino per la custode.

- Nessuno che durante la gita di ricognizione si sia, per caso, imbattuto in qualche mendico?

Nessuno.

Luigi però ne conosce uno: ogni lunedì va a suonare il campanello di casa sua. La domenica, Mario fa l'elemosina a quello che si trova sempre vicino al portale della chiesa.

E si delinea anche questa figura.

Finalmente, una mattina, subito dopo la preghiera, il maestro prende a parlare; con poche parole riconduce dinanzi agli occhi della scolaresca gli elementi ormai noti, ricomposti in una scena di agreste semplicità; quindi, nel silenzio fervido di attesa, legge «Sera d'ottobre». Su quello scenario, la poesia di Giovanni Pascoli si fonde ed armonizza mirabilmente.

L'incanto misterioso di certi istanti di vita di scuola è certo irrepetibile: né parole, né colori potrebbero renderlo con evidenza, forse nemmeno la musica riuscirebbe a ripeterlo con adeguata suggestività.

E dopo? Ancora silenzio.

Gli alunni hanno piegato la testa sulle braccia incrociate sopra il tavolo e pare che nemmeno respirino: che cosa vive in loro? La bellezza: istante di inconfondibile, purissima gioia, respiro lene e profondo dell'anima che sboccia e sorride al raggio vivificante dell'arte. Poi esplodono, eppur si contengono. Si alzano, discutono. Tutto ora appare evidente: « Sera d'ottobre, in città », per giungere a capire e a godere quella descritta dal Poeta. E se la sono trovata dentro, senza una parola di commento, come scandita, per la prima volta, dal ritmo dei loro cuori, E si sentono indicibilmente felici.

Sono accesi.

Le energie accumulate dal « fare per farsi » e quindi dal ricercare, dall'osservare, dal riflettere e rielaborare, hanno determinato la scintilla: l'intuizione degli argomenti da trattar è fluida e calda come bronzo fuso e pronto per la colata.

Ed or sì accingono al lavoro: la libera rielaborazione dell poesia «Sera d'ottobre » di Giovanni Pascoli.

C'è chi mette insieme una serie di quadretti ove la parola rispecchia i colori, ripete i suoni, ricostruisce le immagini con una immediatezza ed una invèntiva sorprendenti, e i segni d’interpunzione sono, ad uno ad uno, parte integrante del pensiero che su quelli si struttura, si ordina e si esprime sotto l'impulso originale, inconfondibile del proprio sparito. C'è, invece chi i quadretti ricostruisce, usando matite, pennelli, tempere. E qui sono le linee e i colori che esprimono, in plastiche sintesi le intuizioni che han condotto l'animo ad accendersi ed espandersi in quel linguaggio pittorico che, come la parola, tende decisamente alla compiutezza della forma, alla gentilezza dell'arte.

E di poi, in un secondo tempo, gli scolari, eccoli tutti intesi ad una revisione critica degli elaborati: se li scambiano, li leggono o li osservano; sull'elaborato del compagno o su un foglietto aggiuntivo, ognuno trascrive il proprio commento, le annotazioni, il giudizio. Infine, ecco, ciascun quadretto è come un piccolo, breve poema che comprova il personale apprendimento, vivo ed efficiente, nell'ambito di una teologia pedagogica che guida e sostiene sempre chi ha il cuore aperto alla verità, perciò pronto ed atto all'amore.

(RENZO AMMANNATI. La scuola del giglio di Firenze, La Scuola, Brescia, 1962, pp. 117-120).

Un alunno con incarico di coordinamento.