RICONOSCERE E RISOLVERE PROBLEMI MATEMATICI COME FONDAMENTO DELL'EDUCAZIONE MATEMATICA

Umberto Tenuta

<<Il problema è il primum della ricerca scientifica, ma è anche il primum dell'insegnamento.
Il problema è il fondamento della motivazione a ricercare.
È il problema che trasforma la scuola da luogo di noia e di pena

'dove si danno risposte a domande non poste'
in "centro di ricerca">> (1).

 

Si può ritenere ancora valida l’affermazione dei Programmi della scuola primaria del 1985 secondo la quale, assieme alle finalità formative la scuola deve promuovere anche l'alfabetizzazione culturale, intesa come <<acquisizione di tutti i fondamentali tipi di linguaggio e un primo livello di padronanza dei quadri concettuali, delle abilità, delle modalità di indagine essenziali alla comprensione del mondo umano, naturale e artificiale>>.

Coerentemente con tale finalità, il testo programmatico prevede che l'Educazione matematica (EM) si propone di <<sviluppare, in modo specifico, concetti, metodi e atteggiamenti utili a produrre le capacità di ordinare, quantificare e misurare fatti e fenomeni della realtà e a formare le abilità necessarie per interpretarla criticamente e per intervenire consapevolmente su di essa>>.

Come le altre discipline, anche l'EM si propone di promuovere l'acquisizione degli atteggiamenti, delle capacità e delle conoscenze indispensabili ad ogni essere umano per affrontare le situazioni della vita, che, in una civiltà in rapida trasformazione ¾ qual è quella nella quale viviamo¾ , si fanno ogni giorno di più problematiche. Mentre nelle civiltà statiche del passato poteva bastare l'acquisizione di ben determinati atteggiamenti ed abilità per far fronte a situazioni che restavano sempre identiche, nella civiltà attuale occorre invece poter disporre di atteggiamenti ed abilità che, come precisano i Programmi didattici del 1985, consentano di <<pensare il futuro per prevedere, prevenire, progettare, cambiare e verificare>>.

Anche in tal senso, l'EM deve tendere a promuovere, più che l'acquisizione di tecniche di calcolo, lo sviluppo dei poteri mentali, cioè la <<formazione del pensiero nei suoi vari aspetti>> (2).

In effetti, solo favorendo lo sviluppo dell'intelligenza, si attua la formazione della capacità di far fronte alle nuove situazioni, problematiche e non che esse siano.

Poiché lo sviluppo del pensiero si promuove impegnando gli alunni nella soluzione di problemi, i Programmi didattici del 1985 affermano che l'apprendimento matematico deve essere attuato <<partendo da situazioni problematiche concrete>>.

Si tratta di una indicazione che ha una rilevanza metodologica e teleologica insieme.

Sul piano metodologico, occorre partire da situazioni problematiche, perché il <<pensiero matematico è caratterizzato dall'attività di risoluzione di problemi>>: la Matematica è un'attività del pensiero e come tale non può essere appresa meccanicamente. Fare matematica significa risolvere problemi ed i problemi sono situazioni nuove (3), per affrontare le quali non si possono utilizzare schemi di comportamento appresi una volta per sempre, ma si richiede l'attività dell'intelligenza, la quale, secondo il Piaget, si configura, appunto, come la capacità di far fronte alle situazioni nuove (4).

D'altra parte, sul piano teleologico, non si può promuovere la <<formazione del pensiero nei suoi vari aspetti: di intuizione, di immaginazione, di progettazione, di ipotesi e deduzione, di controllo e quindi di verifica o smentita>> ¾ che costituisce la fondamentale finalità dell'EM¾ , se non attraverso l'impegno dell'intelligenza nella risoluzione di problemi.

Pertanto, non solo non si può fare attività matematica, ma non si possono nemmeno perseguire le finalità che sono proprie dell'EM, se non attraverso l'attività di risoluzione di problemi.

Tutte le attività matematiche devono muovere da problemi.

Si muove dai problemi:

- sia per acquisire e consolidare i nuovi concetti matematici;

- sia per imparare ad utilizzarli nella soluzione di problemi.

Come scrive il Ferrari, <<invece di iniziare la trattazione di un argomento con una serie di definizioni, di teoremi e di corollari, si parte da problemi la cui matematizzazione e risoluzione porta alla scoperta di un concetto o allo sviluppo di una teoria>> (5).

Il fanciullo, già prima di entrare nella scuola elementare, apprende a contare, perché avverte il bisogno di contare, cioè perché si trova in situazioni problematiche che possono essere affrontate solo attraverso l'attività del contare. Poiché si ritiene che l'apprendimento scolastico debba seguire, per quanto possibile, le vie naturali, anch'esso deve partire da situazioni problematiche. Ad esempio, per fare apprendere a contare in senso crescente o decrescente, a due a due, a tre a tre ecc., occorre creare situazioni che richiedono l'uso di tali strumenti. È compito della creatività didattica dell'insegnante predisporre tali situazioni, ricorrendo al gioco, alla simulazione ecc.

Occorre partire dalle situazioni problematiche, non solo per acquisire ogni nuovo concetto matematico, ma anche per consolidare il possesso dei concetti già acquisiti. A tal fine, più che l'esercizio ripetitivo, quale l'esecuzione di filze di operazioni, risulta efficace l'esecuzione di operazioni significative, relative cioè a situazioni problematiche. Gli esercizi risultano produttivi di apprendimenti non meccanici se impegnano l'intelligenza, cioè se si presentano come strumenti di risoluzione di problemi.

Come afferma il Correl, <<alla scuola non importa tanto consolidare forme di reazioni automatiche, quanto di guidare gli scolari al ragionamento. Perciò l'esercitazione deve avvenire in situazioni sempre nuove>> (6), cioè problematiche.

Inoltre, si deve tener presente che non si può pensare di invertire l'ordine naturale delle cose, come a volte avviene, richiedendo al fanciullo di apprendere prima la tecnica dell'addizione per poi impiegarla nella soluzione dei problemi. L'addizione è uno strumento che assume significato in relazione ad una determinata classe di problemi. Se essa non viene appresa partendo da questi, il fanciullo poi rischia di non saperla utilizzare.

Se il fanciullo impara delle tecniche a se stanti, non ne comprende le funzioni e quindi non sa impiegarle: quando gli alunni non riescono ad individuare le operazioni aritmetiche da utilizzare nella soluzione dei problemi, evidentemente essi hanno appreso, anche bene, le tecniche di tali operazioni, ma non ne hanno compreso il significato.

Ora, se è importante che gli alunni apprendano gli algoritmi delle singole operazioni aritmetiche, molto più importante è che essi ne apprendano il significato, cioè comprendano in che cosa consiste l'addizionare, il sottrarre, il moltiplicare, il dividere ecc.

Ma questo apprendimento non possono realizzare se non impegnandosi nella soluzione di problemi che richiedono tali operazioni.

I problemi costituiscono il primum dell'educazione matematica.

In tale prospettiva, risulta particolarmente opportuno evidenziare in che cosa consiste un problema.

Come scrive il Kanizsa, <<Un problema sorge quando un essere vivente, motivato a raggiungere una meta, non può farlo in forma automatica o meccanica, cioè mediante un'attività istintiva o attraverso un comportamento appreso>> (7).

Perché ci sia un problema, debbono verificarsi due condizioni, cioè la presenza di una motivazione che spinge a perseguire un fine e l'indisponibilità della strategia necessaria per raggiungerlo.

Diciamo, semplicemente, che un problema esiste quando c'è una domanda per la quale non si ha pronta la risposta.

Innanzitutto, deve essere presente una motivazione, cioè una spinta ad agire: questa può essere rappresentata da un bisogno fisiologico (8), ma anche da altri bisogni di natura superiore. Il Bruner privilegia le motivazioni intrinseche e, tra queste, soprattutto la curiosità. Se i problemi dei fanciulli possono anche nascere dai bisogni della loro vita quotidiana, nella scuola essi dovrebbero nascere soprattutto dalla curiosità, dalla innata curiosità del fanciullo (9).

Scrive il Pescarini che <<l'attività matematica si motiva...da se stessa e cioè in modo intrinseco>> e che <<fuori da una tale visione del problema...pare veramente disperante cercare di interessare i fanciulli...alla matematica>> (10).

I problemi, dai quali partire nell'apprendimento dei nuovi concetti matematici o nelle esercitazioni indirizzate al loro consolidamento, possono nascere soprattutto dalla curiosità dei fanciulli, opportunamente stimolata dagli insegnanti. Si tratta di risvegliare, stimolare, sostenere quello che i Programmi didattici del 1985 chiamano il <<bisogno di conoscere e di comprendere>>, bisogno che è innato nel fanciullo, ma che gli adulti molto spesso trascurano e mortificano, impedendogli di esprimersi. Se l'insegnare non consiste nel dare risposte a chi non ha posto domande (11), ma nell'aiutare gli alunni a cercare le risposte ai loro interrogativi, allora occorre innanzitutto che la scuola, in quanto <<ambiente di apprendimento>> più che luogo di insegnamento, favorisca <<la naturale propensione del fanciullo a porre domande e a cercare risposte>>: la scolaresca si deve configurare come un insieme di fanciulli che, più che ascoltare lezioni, spiegazioni ecc., pongono domande, alle quali gli insegnanti non danno risposte, ma stimolano e guidano a ricercarle (12).

In particolare, per quanto riguarda la Matematica, occorre suscitare e sostenere nei fanciulli il loro bisogno di <<ordinare, quantificare e misurare fatti e fenomeni della realtà>>. Il mondo umano, naturale e artificiale può essere "guardato" con occhi interrogativi anche dal punto di vista matematico, leggendolo secondo le categorie dell'ordine, della quantità e della misura:

-"sul danzale sono disposti, l'uno dopo l'altro (ordine), tre vasi (quantità), della stessa altezza (misura)";

-"sono arrivati prima (ordine) tredici (quantità) alunni e poi (ordine) gli altri dodici (quantità), con dieci minuti di ritardo (misura)";

-"la violacciocca ha una corolla di quattro petali (quantità) sostenuta da un calice sottostante (ordine), più piccolo (misura), costituito da quattro sepali (quantità)"...

Basta far nascere negli alunni un tale atteggiamento nei confronti della realtà, per avere la possibilità di formulare i più diversi problemi.

Di contro ad un certo astrattismo didattico, che fa esclusivo ricorso a problemi prefabbricati, spesso lontani dalla esperienza dei fanciulli (13), i Programmi didattici del 1985 precisano che occorre partire da <<situazioni problematiche concrete>>.

Come si precisa nell'introduzione dei suddetti Programmi didattici, l'alfabetizzazione culturale deve essere realizzata <<partendo dall'orizzonte di esperienze e di interessi del fanciullo>>.

Ciò significa, innanzitutto, che i problemi debbono nascere dagli interrogativi dei fanciulli.

Un problema non esiste quando viene posta una domanda, ma quando questa nasce da un bisogno proprio dal soggetto. Per creare una situazione problematica, non basta porre il quesito sul numero delle uova contenute in tre confezioni da sei, ma occorre che il fanciullo avverta il bisogno di sapere quante sono le uova.

Il problema, riferito alla realtà concreta o inventato, è tale solo quando viene avvertito come proprio dal fanciullo.

In tal senso, non è sufficiente che si muova dalla esperienza concreta dei fanciulli, ma occorre che tale esperienza susciti degli interrogativi, delle domande, dei problemi, configurandosi appunto come una <<situazione problematica>>. Afferma il Kanizsa che <<si è sempre assunta l'esistenza del problema come un dato, come un fatto esistente per se e non richiedente ulteriore comprensione... Ma questa assunzione del problema come dato dal quale partire è arbitraria: il problema non è un dato, un fatto naturale, ma è... un prodotto psicologico. Si converrà senza difficoltà che esiste un problema solo là e quando vi è una mente che vive una certa situazione come problema. Diciamo di più, e più esattamente: vi è problema solo quando la mente crea o determina il problema: vi è problema solo nella dimensione psicologica, non in quella naturale, o oggettiva>> (14).

Ciò, però, non esclude che i problemi possano anche essere inventati, cioè nascere da una situazione simulata o ludica. Il mondo del fanciullo non è solo quello che cade sotto i suoi sensi, ma anche quello che viene creato dalla sua fantasia: se la maestra racconta che dei sette nani ne sono ritornati solo quattro, per i fanciulli affascinati da tale fiaba, il problema dei nani che debbono ancora rientrare è reale e concreto quanto quello delle sette caramelle di cui quattro sono già nel pancino di uno di loro.

In tal senso, è anche possibile ¾ e didatticamente anche indispensabile¾ far ricorso alla fantasia, alla simulazione, al gioco: a condizione però che tali situazioni vengano vissute come proprie dai fanciulli. L'attenzione può essere rivolta anche a situazioni che non riguardano direttamente i fanciulli ma che suscitano egualmente il loro desiderio di sapere, la loro curiosità.

Nell'evidenziare che si può partire dalle <<situazioni più varie>>, i Programmi didattici del 1985 precisano che fra queste, <<un ruolo importante hanno le più naturali e spontanee: quelle del gioco>>. Il gioco, la simulazione, l'invenzione fantastica hanno un ruolo essenziale nell'apprendimento matematico.

In merito, però, occorre anche tener presente che le situazioni problematiche, reali o inventate che esse siano, debbono essere <<concrete>>. L'esigenza della concretezza implica che le situazioni problematiche debbano essere rappresentate con materiali concreti o figurativi.

Se risulta acquisito che il fanciullo della scuola elementare si trova nella fase del pensiero operatorio concreto, evidentemente egli non può operare ancora a livello astratto (15). In tale prospettiva, i Programmi didattici del 1985, non solo evidenziano che nel <<conseguimento dei diversi obiettivi è importante procedere in modo costruttivo e significativo, fornendo agli alunni una adeguata base manipolatoria e rappresentativa>>, ma precisano che <<Ciascun alunno va messo in condizione di utilizzare, inizialmente, materiali diversi, comuni o strutturati, che forniscano adeguati modelli dei concetti matematici implicati nelle varie procedure operative>>.

In tal senso, l'apprendimento della Matematica deve realizzarsi in un ambiente ricco di materiali concreti, comuni e strutturati (16). A tal fine possono essere utilizzate sia le situazioni reali che quelle della simulazione ludica, appositamente predisposte.

L'ambiente umano, naturale ed artificiale che circonda il fanciullo può offrire le più significative situazioni di apprendimento matematico, in stretto collegamento con le attività didattiche di natura scientifica, geografica, storica, linguistica ecc.

Le attività matematiche non possono rimanere a sé stanti, ma debbono collegarsi alle altre discipline, in quanto tutte intese a soddisfare il bisogno del fanciullo di <<possedere unitariamente la cultura che apprende ed elabora>>. Oggetto della conoscenza è innanzitutto il mondo umano, naturale e artificiale che costituisce l'ambiente di vita del fanciullo e che viene assunto come punto di riferimento dei diversi apprendimenti disciplinari.

I Programmi didattici del 1985 evidenziano, in particolare, gli stretti collegamenti che esistono tra la Matematica e le Scienze; tuttavia, anche le altre discipline possono offrire ricchezza di situazioni problematiche di natura matematica.

Ove il mondo umano, naturale ed artificiale non dovesse risultare sufficiente, si possono creare apposite situazioni ludiche. In merito, può risultare utile il riferimento ad apposite esperienze, come quella creata dal Prof. Arzarello presso l'Università di Torino: il termine Matelandia con il quale tale esperienza viene denominata risulta particolarmente suggestivo di quello che dovrebbe sempre essere il laboratorio matematico nella scuola elementare, e non solo in essa.

Tuttavia, l'ineludibile esigenza di partire dall'attività <<manipolatoria e rappresentativa>> non significa che il fanciullo debba rimanere per sempre legato ad essa. Come precisano i Programmi didattici del 1985, <<è importante che egli si distacchi, ad un certo punto, dalla manipolazione dei materiali stessi per arrivare ad utilizzare soltanto le relative rappresentazioni mentali>>.

Nell'apprendimento matematico e, quindi, nella formulazione e nella soluzione dei problemi, un ruolo essenziale è svolto dalla rappresentazione iconica, la quale consente la schematizzazione delle situazioni concrete. Il disegno, sia esso geometrico, realizzato con squadra, riga e compasso, sia esso a mano libera, consente di superare la nuda concretezza delle situazioni e di muovere meglio verso l'astrazione matematica.

Numerosi studiosi hanno evidenziato la grande importanza che nell'apprendimento matematico riveste la rappresentazione schematica mediante il disegno.

Tuttavia, si deve tenere presente che dalla rappresentazione concreta e da quella iconica occorre poi pervenire alle <<rappresentazioni mentali>>. I concetti matematici sono costruzioni mentali, realizzate dai singoli alunni, partendo, sì, dalla manipolazione di oggetti concreti, ma attraverso un processo di generalizzazione e di astrazione che si libera sempre più dalle caratteristiche percettive degli oggetti. Afferma il Bruner che <<la matematica, al pari di qualsiasi altra disciplina, deve cominciare con l'esperienza: ma il progresso verso l'astrazione richiede assolutamente un continuo allontanamento dalla ovvietà dell'esperienza superficiale>> (17).

Come precisano i Programmi didattici del 1985, l'itinerario didattico dell'apprendimento matematico è caratterizzato dal <<passaggio dall'esperienza alla rappresentazione e quindi alla formalizzazione>>.

La formalizzazione costituisce un obiettivo che deve essere tenuto sempre presente, ma che va perseguito con opportuna gradualità, evitando di cadere nel vuoto astrattismo.

Come concludono i Programmi didattici del 1985, <<In definitiva, l'introduzione al pensiero e alla attività matematica deve rivolgersi in primo luogo a costruire, soprattutto là dove essa si manifesta carente, una larga base esperienziale di fatti, fenomeni, situazioni e processi, sulla quale poi sviluppare le conoscenze intuitive, i procedimenti e gli algoritmi di calcolo e le più elementari formalizzazioni del pensiero matematico>>.

Dopo la scuola materna, i cui Orientamenti del 1991 dedicano un apposito campo di esperienza all'attività matematica, la scuola elementare costituisce solo la seconda tappa dell'apprendimento matematico; ad essa ne segue una terza, quella della scuola media, nella quale, pur non dimenticando l'esigenza della concretezza, si può muovere più decisamente verso la formalizzazione.

L'insegnamento/apprendimento della Matematica, realizzato secondo la metodologia del problem solving (18), richiede evidentemente, non solo una nuova organizzazione della scuola, ma anche un nuovo atteggiamento degli insegnanti, i quali, anziché illustrare e spiegare i concetti, debbono promuovere la individuazione delle situazioni problematiche e debbono sostenere e guidare gli alunni nella loro soluzione, senza mai sostituirsi loro.

Un impegno difficile per gli insegnanti di matematica, ai quali si richiede, come loro più grande virtù didattica, di tacere. Scrive il Delessert che l'insegnante deve avere <<soprattutto il coraggio di non dire - e questo è il punto più difficile - tutto ciò che sa sulle questioni trattate>> (19).

Sinteticamente, la nuova impostazione didattica può essere espressa con l'affermazione del Dienes, secondo il quale <<Dovrà essere abolito quasi completamente l'attuale metodo di insegnamento in classe dove l'insegnante pontifica, in posizione di potere centrale, e dovrà essere sostituito con lo studio individuale ed a piccoli gruppi, usando materiale concreto ed istruzioni scritte, con l'insegnante che agisce come guida e consigliere>> (20).


 

Note

ANTISERI D., Insegnare per problemi, in: Insegnamento della matematica e delle scienze integrate, vol. 8, n. 1, febbraio 1985, p. 12.

2 Ove non diversamente indicato , le citazioni tra virgolette sono tratte dai Programmi didattici del 1985; le sottolineature sono nostre.

3 <<Un problema esiste solo quando il soggetto affronta una situazione nuova, il che esclude i casi in cui le situazioni sono di tipo abituale o sono dominate dalla messa in atto di automatismi>> (OLERON P., Le attività intelletive, GIUNTI-BARBERA, FIRENZE, 1973, p. 146).

4 PIAGET J., Psicologia dell'intelligenza, GIUNTI-BARBERA, FIRENZE, 1972. Anche il Dalla Volta definisce l'intelligenza come la <<capacità di affrontare nell'ambiente situazioni nuove, risolvendo prontamente e con successo i problemi della più diversa natura>> (DALLA VOLTA A., Dizionario di Psicologia, GIUNTI-BARBERA, FIRENZE, 1969, p. 303).

5 FERRARI M., L'educazione matematica dai 13 ai 18 anni, in L'educazione Matematica, C.R.S.E.M., CAGLIARI, Suppl. I, 1980, p. 45.

6 CORREL W., Introduzione alla psicopedagogia, ED. PAOLINE, ROMA, 1973, p. 186. In merito, cfr. anche: AEBLI H., Didattica psicologica, GIUNTI-BARBERA, FIRENZE, 1968; AEBLI H., I principi fondamentali dell'insegnamento, GIUNTI-BARBERA, FIRENZE, 1965.

7 KANIZSA G., Il "problem-solving" nella psicologia della Gestalt, in: MOSCONI G., D'URSO V. (a cura di), La soluzione dei problemi, GIUNTI-BARBERA, FIRENZE, 1973, p. 35.

8 In merito, cfr. i bisogni cui fa riferimento il Decroly (HAMAIDE A., La méthode Decroly, DELACHAUX E NIESTLE, NEUCHATEL, 1956). Sul piano didattico, a tali bisogni oggi si assegna scarsa importanza.

9 Sulle motivazioni intrinseche cui fa riferimento il Bruner, cfr.: BRUNER J.S., Verso una teoria dell'istruzione, Armando, Roma, 1967, pp. 79-80. In particolare, sulla curiosità, cfr.:HODGKIN R.A., La curiosità innata, Armando, Roma, 1978.

10 PESCARINI A., Finalità dell'insegnamento matematico nella scuola elementare, in: Scuola di base, CENTRO DIDATTICO NAZIONALE SCUOLA ELEMENTARE, ROMA, 1970, V, p. 9.

11 Come si afferma nella Relazione Fassino, <<L'istruzione non dà risposte senza domande>> (par. XXVI). Scrive il Laeng che <<La domanda, in effetto, costituisce formalmente il discepolo: egli è colui che non sa e vuole sapere, e che pone i suoi interrogativi a chi sa, o almeno sa come si può sapere>> (LAENG M., L'educazione nella civiltà tecnologica, ARMANDO, ROMA, 1970, p. 100).

12 Sulla scuola come <<ambiente educativo e di apprendimento>>, cfr.: TENUTA U., L'attività educativa e didattica nella scuola elementare-Come organizzare l'ambiente educativo e di apprendimento, LA SCUOLA, BRESCIA, 1989.

13 Si pensi ai problemi, non solo dei libri di testo, ma anche delle guide didattiche e degli schedari, oggi così diffusi nelle scuole.

14 KANIZSA G., Op. cit., p. 31.

15 In merito, cfr: PIAGET J., Alcune considerazioni sull'insegnamento matematico, in: SITIA C.(a cura di), La didattica della matematica oggi, PITAGORA, BOLOGNA, 1979, pp. 21-31; AEBLI H., Didattica psicologica, cit., passim; BRUNER J.S., Studi sullo sviluppo cognitivo, ARMANDO, ROMA, 1968, p. 7.

16 Per una tale impostazione dell'insegnamento/apprendimento matematico, cfr. i tre volumi: TENUTA U., Itinerari aritmetici, LA SCUOLA, BRESCIA, 1991; TENUTA U., Itinerari geometrici, LA SCUOLA, BRESCIA, 1991;TENUTA U., Itinerari Logici, probabilistici, statistici, informatici, LA SCUOLA, BRESCIA, (in corso di pubblicazione).

17 BRUNER J.S., Dopo Dewey, ARMANDO, ROMA, 1964, p.23.

18 Sul Problem solving, cfr.: MOSCONI G., D'URSO V., Op. cit.; KLEINMUNTZ B. (a cura di), Problem solving-ricerche, metodi, teorie, ARMANDO, ROMA, 1976; WERTHEIMER M., Il pensiero produttivo, GIUNTI/BARBERA, FIRENZE, 1965.

19 DELESSERT A., Alcuni problemi che interessano la formazione degli insegnanti di matematica, in: SITIA C.(a cura di), La didattica della matematica oggi, PITAGORA, BOLOGNA, 1979, p. 367.

20 DIENES Z.P., Costruiamo la matematica, ED. O.S., FIRENZE, 1962, p. 27.