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Studiare fa male

LA LEZIONE DI SGARBI:
LA SCUOLA DEVE ESSERE IL LUOGO DELLA GIOIA DI APPRENDERE E QUINDI DELLA GIOIA DI INSEGNARE

Umberto Tenuta

 

Provocatoriamente, nel suo inconfondibile stile, Sgarbi ringrazia la Moratti (<<Brava Moratti, studiare fa male>>), per non avere incluso la Storia dell’arte nei curricoli scolastici, precisando che <<la scuola toglie gusto, motivazione e passione all’apprendere>> [1] .

 

Se così è per la Storia dell’arte, non c’è motivo di dubitare che sia così anche per la Matematica, per la Lingua italiana, per le Scienze, per la Storia e per tutte le altre discipline. A voler essere coerenti, occorrerebbe che i Matematici, i Linguisti, gli Storici ecc. invitassero con urgenza la Moratti a bandire dai prossimi curricoli tutte le altre discipline.

 

Ma il discorso di Sgarbi contiene una contraddizione, in quanto, nel mentre egli attribuisce alla scuola la responsabilità del disamore per l’arte, poi afferma che è stato un docente, seppure universitario, a fargli nascere l’amore per la storia dell’arte!

 

Evidentemente, il discorso di Sgarbi va interpretato nel suo significato profondo: la scuola viene meno al suo compito istituzionale se non fa nascere l’amore dell’apprendere.

La scuola non può continuare ad essere intesa e realizzata come luogo della condanna ad apprendere: come luogo di pena, di sofferenza,  di sacrificio.

Il primo, fondamentale, essenziale impegno dei docenti è quello di far nascere il gusto e la gioia di imparare in tutti gli alunni, anche in coloro che questo gusto e questa gioia non hanno appreso nelle loro famiglie e nei loro contesti di vita.

Non si può aspettare che l’amore dello studio nasca spontaneamente fuori della scuola. Deve costituire un preciso impegno della scuola, che peraltro i Programmi didattici del 1955 prevedevano espressamente, quando affermavano che <<scopo essenziale della scuola non è tanto quello di impartire un complesso determinato di nozioni, quanto di comunicare al fanciullo la gioia ed il gusto di imparare e di fare da sé, perché ne conservi l'abito oltre i confini della scuola, per tutta la vita>>.

Un ammonimento troppo presto dimenticato!

 

La vera riforma della scuola è forse soprattutto questa: realizzare una scuola che sappia far nascere, coltivare, incrementare  la gioia ed il gusto di imparare.

Così come non si può consentire che solo pochi siano “i capaci ed i meritevoli”, coloro che arrivano ai più alti livelli dell’apprendimento, allo stesso modo non si può consentire che solo pochi fortunati abbiano la fortuna  di acquisire la gioia di imparare.

Occorre invece che la scuola rinnovi le sue metodologie educative e didattiche, facendo leva, non sul dovere dello studio, ma sulla gioia dell’imparare, recependo il significato autentico  dello studio, inteso alla latina come amore del sapere [2] , analogamente al corrispondente termine greco filosofia (philosophia, amore del sapere).

 

È possibile che la scuola operi questa trasformazione?

Noi crediamo di sì.

Tutti  gli esseri umani nascono naturalmente motivati e capaci di apprendere. Tutti i bambini nascono naturalmente curiosi, desiderosi di fare esperienze ed impegnati ad apprendere. E tutti i bambini apprendono, prima di andare a scuola e fuori della scuola: apprendono a muoversi, a camminare e a manipolare gli oggetti (educazione motoria); apprendono a parlare, quale che sia la loro lingua (educazione linguistica); apprendono a rapportarsi agli altri ed a vivere nei contesti sociali (educazione sociale), quali che questi siano, quelli della società civile o dell’associazione a delinquere; apprendono ad orientarsi nello spazio (educazione geografica) e nel tempo (educazione storica) ecc.

Apprendono spontaneamente, senza pena, gioiosamente, perché avvertono  che attraverso questi apprendimenti essi crescono [3] , diventano autonomi, si autorealizzano, si affermano.

Occorre che la scuola non distrugga, anzi coltivi e incrementi questa innata tendenza ad apprendere, a crescere, a formarsi.

E la scuola può farlo se i suoi apprendimenti vengono fatti percepire dagli alunni come strumenti  di crescita, di formazione e di affermazione, di autorealizzazione umana [4] .

A tal fine, la scuola deve attrezzarsi meglio, deve migliorare le sue strategie educative e didattiche, perché tutti gli alunni  possano avere successo.

È in tale prospettiva che nel Regolamento dell’autonomia scolastica di cui al D.P.R. 275/1999 si pone come obiettivo fondamentale della scuola quello di garantire a tutti gli alunni il successo formativo, inteso come piena formazione della persona umana, secondo il preciso dettato dell’art. 3 della Costituzione repubblicana del 1948 (<<È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese>>).

La ricerca pedagogico-didattica  ha individuato strategie e tecnologie educative  che consentono a tutti gli alunni di avere successo nei processi apprenditivi, come peraltro testimonia la didattica differenziale, a cominciare dal De Sanctis, dalla Montessori, dal Decroly, dalla Cervellati ecc. [5]

Le teorie dell’Istruzione Programmata [6] , del Mastery learning [7] , del Problem solving [8] , del Cooperative learning [9] ecc. offrono utili indicazioni in tale prospettiva.

Evidentemente, i docenti vanno formati anche su questo piano. Non bastano le competenze disciplinari, che finora sono state le sole competenze ad essere assicurate ai docenti della scuola secondaria, anche se non molto diversa era la condizione  dei docenti della scuola dell’infanzia e della scuola elementare, ai quali da trent’anni non si richiede più alcuna competenza didattica, relazionale, organizzativa nei concorsi di immissione in ruolo.

In effetti, la scuola italiana è ancora vittima della Riforma Gentile, la quale negava il valore della didattica e riconosceva solo l’esigenza della formazione disciplinare dei docenti.

Dopo la breve parentesi degli anni ’50 e ’60 in cui, sotto la ventata del Movimento attivistico arrivato da noi con cinquant’anni di ritardo, il discorso didattico  era stata in primo piano,  già negli anni ’70 l’interesse si è spostato sugli aspetti organizzativi e programmatori anziché sulle strategie educative e didattiche.

Nessuno ha insegnato e insegna ai docenti, molto spesso nemmeno nei corsi di aggiornamento che si tengono presso le scuole, le teorie ed i criteri della didattica, della didattica delle singole discipline.

I docenti sono stati abbandonati a se stessi dentro le aule  e solo pochi sono riusciti, ma  a proprie spese, a realizzare la loro formazione didattica.

Se si vuole attuare veramente la riforma della scuola e creare una scuola che metta tutti gli alunni nella condizione  di avere successo nei processi apprenditivi e formativi, occorre puntare sulla formazione professionale dei docenti prendendo in seria considerazione, non solo le competenze disciplinari, ma anche e soprattutto  le competenze didattiche, relazionali ed organizzative.

In tale prospettiva, non si può puntare solo sull’Università, ma occorre valorizzare il patrimonio di competenze didattiche che è andato maturando dentro le scuole, perché solo dentro le aule è rimasta ed è presente l’esigenza  di ricercare strategie educative e didattiche efficaci.

 

Occorre impegnarsi primariamente ad accrescere le competenze metodologico-didattiche  dei docenti.

Ma, contemporaneamente, occorre impegnarsi ad accrescere le risorse tecnologie di cui i docenti hanno bisogno per migliorare i processi di insegnamento/apprendimento e rendere possibile il successo formativo  di tutti gli alunni.

Il miglioramento dei processi di insegnamento/apprendimento passa attraverso il miglioramento  delle strategie di insegnamento/apprendimento, ma passa anche attraverso il miglioramento  delle strutture scolastiche e l’arricchimento delle tecnologie educative, comprensive dei materiali didattici strutturati e non strutturati, oltre che delle tecnologie multimediali.

È necessario investire nelle risorse didattiche, che non possono essere più costituite dai soli libri di testo.

 

Infine, ma come primaria condizione, è necessario tenere presente che la gioia ed il gusto di imparare non si insegnano ma si contagiano,  e possono  essere contagiati solo da docenti che ne siano in possesso: la gioia ed il gusto di imparare sono strettamente correlati alla gioia ed al gusto di insegnare [10] .

Se, come suggerisce Sgarbi, il compito del docente non è solo quello di fare acquisire conoscenze, ma è soprattutto quello di accendere interessi, motivazioni, passioni, allora occorre fare in modo che i docenti siano messi nella condizione di vivere la loro attività educativa e didattica con amore.

Come scrive il Goleman [11] , anche nel mondo industriale non contano più le conoscenze e le competenze, che debbono ritenersi già presenti, ma contano soprattutto gli atteggiamenti: conta l’intelligenza emotiva.

La Riforma Moratti passerà alla storia della scuola solo se riuscirà a mettere i docenti nella condizione di vivere la loro attività educativa e didattica  con competenza e soprattutto con gioia, perché questa gioia è la prima dote  di cui i giovani hanno bisogno per imparare nella scuola  e per continuare ad imparare durante l’intero corso della loro vita.

 

Sgarbi, esimio critico d’arte, ma soprattutto grande maestro [12] , ci ha dato una grande lezione pedagogica: la scuola deve essere il luogo della gioia di insegnare perché sia  il luogo della gioia di imparare.

 



[1] LA REPUBBLICA, 11 febbraio 2002.

[2] "Studium" in latino significa anche "passione, desiderio, impulso interiore". Al riguardo, anche il Ferrarotti afferma che <<La scuola non sembra in grado di stimolare e far scoprire ai giovani la gioia della lettura, e di riportare lo studio al suo significato originario di studium, ossia amore, passione, avventura>>.

[3] Alunno deriva da alere (alimentarsi e quindi crescere,: chi si alimenta cresce, diventa adulto, cioè cresciuto).

[4] TENUTA U., Bisogno di Autorealizzazione in DIDATTICA@EDSCUOLA.COM

[5] ZAVALLONI R. (a cura di), La pedagogia speciale e i suoi metodi, La Scuola, Brescia, 1974.

[6] In merito cfr.: HINGUE F., L'istruzione programmata, La Scuola, Brescia, 1978; SKINNER B.F., La tecnologia dell'inse­gnamento, La Scuola, Brescia, 1970; FONTANA TOMASSUCCI L., Istruzione pro­grammata e macchine per insegnare, Armando, Roma, 1969.

[7] BLOCK J.H.(a cura di), Mastery learning - Procedimenti scientifici di educazione in­dividualizzata, Loescher, Torino, 1972.

[8] In merito al Problem solving cfr.: MOSCONI G., D'URSO V. (a cura di), La soluzione di problemi. Problem-solving, Giunti-Barbèra, Firenze, 1973; KLEINMUNTZ B.(a cura di), Problem solving Ricerche, metodi, teorie, Armando, Roma, 1976; DUNCKER K., La psicologia del pensiero produttivo, Giunti-Barbèra, Firenze, 1969; WERTEIMER M., Il pensiero produttivo, Giunti-Barbèra, Firenze, 1965; DORNER D., La soluzione dei problemi come elaborazione dell’informazione, Città Nuova, Roma, 1988. Pe la problematica dell’ermeneutica, cfr: GENNARI M., Interpretare l’educazione. Pedagogia, semiotica, ermeneutica, La Scuola, Brescia, 1992; MALAVASI P., Tra ermeneutica e pedagogia, La Nuova Italia, Firenze, 1992.

[9] In merito cfr.: Johnson, D.W. et al., Apprendimento Cooperativo in Classe, Edizioni Erickson, Trento, 1997; PONTECORVO C., AIELLO A.M., ZUCCERMAGLIO C., Discutendo si impara. Interazione sociale e conoscenza a scuola, NIS, Roma, 1991; PONTECORVO C. (a cura di), La condivisione della conoscenza, La Nuova Italia, Firenze, 1993; PONTECORVO C., AIELLO A.M., ZUCCERMAGLIO C., (a cura di), I contesti sociali dell’apprendimento. Acquisire conoscenze a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana, LED, Milano, 1995.

[10] In merito cfr.: TENUTA U., Gioia di Imparare ;Gioia di imparare / Gioia di insegnare ;Gioia e Gusto di Imparare, in DIDATTICA@EDSCUOLA.COM

[11] GOLEMAN D., Lavorare con l’intelligenza emotiva, come inventare un nuovo rapporto con il lavoro, RIZZOLI, MILANO, 2000.

[12] Come tale, Egli potrebbe rendere un grande servizio, non solo alla Scuola ma anche all’Arte, curando la formazione dei docenti di Storia dell’arte.


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