VALUTAZIONE: SELETTIVA O FORMATIVA?

Umberto Tenuta

 

La polemica intorno al 7 in condotta ripropone il problema della valutazione, sia sul piano della disciplina che sul piano degli apprendimenti.

Da una parte, il moltiplicarsi di comportamenti irregolari ripropone il problema del voto in condotta, che negli attuali strumenti di valutazione non è più presente.

Dall’altra, si manifesta sempre più una insofferenza nei confronti della valutazione del profitto da parte degli alunni e delle famiglie.

Al riguardo, occorrerebbe una seria riflessione.

Innanzitutto, ci si deve domandare quale significato assume la valutazione nella scuola per la formazione di base.

Come è noto, la scuola per la formazione di base, comprensiva sia della scuola dell’infanzia che della scuola dell’obbligo (scuola elementare e scuola media), ha come suo fondamentale compito quello di promuovere la piena formazione della personalità degli alunni, secondo il preciso dettato costituzionale del <<pieno sviluppo della persona umana>>: <<È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese>>(art. 3 Cost.).

Soprattutto dopo la Costituzione repubblicana del 1948, la scuola ha perduto il suo carattere selettivo, almeno a livello di scuola per la formazione di base. Suo compito è garantire il successo formativo a tutti gli alunni (<<L'autonomia delle istituzioni scolastiche… si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione… al fine di garantire loro il successo formativo>> (Regolamento dell’autonomia scolastica, Art.1.2).

A tutti gli alunni deve essere garantito il successo formativo, inteso come piena formazione della persona umana, nel rispetto delle identità personali, sociali, culturali e professionali.

Non si tratta di operare delle selezioni ma di assicurare a tutti gli alunni il loro diritto alla condizione umana, alla loro umanizzazione, alla loro autorealizzazione come uomini, come cittadini e come lavoratori.

In tale prospettiva, la valutazione non può essere utilizzata per selezionare o per stabilire graduatorie (insufficiente, sufficiente…).

Non ha senso nemmeno utilizzare la valutazione per l’ammissione o la non ammissione dell’alunno alla classe successiva. Per inciso, si può rilevare che oggi l’istituto dei crediti e dei debiti formativi riduce le possibilità della non ammissione solo ai casi in cui gli alunni non abbiano conseguito gli obiettivi formativi relativi a tutte le discipline e si ritiene che attraverso la ripetenza essi possano conseguirli meglio che non nella classe successiva.

Se la scuola deve <<garantire>> la piena formazione, essa deve utilizzare la valutazione per individuare le strategie che consentano all’alunno di apprendere e di formarsi: come afferma R. Zavalloni, si valuta per educare (1) .

In altri termini, <<la valutazione è il momento della esperienza educativa... nella quale l'educatore riesce a comprendere per quale itinerario riuscirà a prestare il suo aiuto, quello cioè che legittima la sua funzione, affinché la ricchezza del potenziale educativo (intelligenza, linguaggio, affettività, socialità, volontà, memoria, ecc.) si traduca in libertà personale, in coscienza (intesa, alla maniera dello Spranger, come sorgente normativa), in volontà morale, in creatività: senza nessuna manomissione, senza alienazione di sorta>> (2).

Nella valutazione l’alunno è fuori discussione: la valutazione serve solo al docente per individuare e per mettere continuamente a punto le strategie educative più efficaci. Le strategie possono essere individuate solo sulla base della conoscenza degli alunni e debbono essere messe a punto, non solo al termine ma anche durante la loro attuazione, sulla base di una valutazione continua.

È didatticamente inaccettabile, sia l’attivazione di strategie educative che non siano commisurate alle caratteristiche personali dei singoli alunni, sia la valutazione effettuata solo al termine dei processi apprenditivi, quando non è possibile intervenire se non ripetendo le attività di apprendimento: anziché correggere la traiettoria durante la marcia, si attende di finire fuori strada per riportare il veicolo sulla carreggiata!

Al riguardo, si commette il grosso errore di non considerare adeguatamente i danni che gli insuccessi apprenditivi producono, non solo in termini di spreco di risorse educative, ma anche e soprattutto perché essi non possono non influire in modo devastante sull’autostima degli alunni: l’alunno costretto a ripetere la classe perde un anno, magari per recuperare solo alcuni apprendimenti, e subisce la mortificazione della bocciatura, che è mortificazione della sua autostima, di cui l’educazione dovrebbe invece promuovere sempre la crescita o almeno la salvaguardia.

Se la valutazione deve servire ad evitare gli insuccessi ed a mettere gli alunni sempre nella condizione di apprendere, allora la valutazione nella scuola per la formazione di base deve essere sempre valutazione formativa: occorre valutare per educare, non per sanzionare, non per punire, non per far ripetere i percorsi apprenditivi sia durante l’anno scolastico che in quello successivo.

Occorre valutare per educare, per individuare quali siano le strategie educative più efficaci e per metterle continuamente a punto.

Oggi la metodologia del Mastery learning (3) afferma che il 97% degli alunni può raggiungere un adeguato livello di successo in tutti i processi apprenditivi, a condizione che si rispettino i ritmi e gli stili di apprendimento dei singoli alunni.

Come afferma Bruner, tutti possono apprendere tutto, perché <<si può insegnare in forma onesta qualsiasi argomento a chiunque, in qualsivoglia età>> (4).

Non ci sono alunni che non possono apprendere.

La pedagogia speciale ¾ in particolare M. Montessori¾ hanno concretamente dimostrato che anche gli alunni portatori di handicap possono apprendere, seppure attraverso speciali strategie ed utilizzando apposite tecnologie educative e didattiche. Gli alunni che non apprendono attraverso la lezione verbale possono apprendere attraverso l’operatività concreta, avvalendosi di appositi materiali simbolici, iconici e soprattutto concreti, siano essi strutturati o non strutturati.

Ogni alunno ha il suo stile di apprendimento: Riesman ne descrive alcuni (5).

Ma ogni alunno ha soprattutto i suoi ritmi di apprendimento, che variano in riferimento, non solo alle singole discipline, ma anche ai singoli momenti dei processi apprenditivi: alcuni alunni hanno bisogno di tempi più lunghi per comprendere, altri di tempi più lunghi per consolidare le conoscenze.

Poiché l’efficacia dell’apprendimento dipende, oltre che dalla qualità dell’insegnamento , anche dal rispetto dei ritmi e degli stili di apprendimento dei singoli alunni, occorre privilegiare le metodologie didattiche individualizzate (6).

E l’individualizzazione dell’insegnamento si fonda sulla conoscenza delle caratteristiche personali dei singoli alunni.

La valutazione serve innanzitutto per conoscere le caratteristiche personali degli alunni, oltre che tutti gli altri elementi che entrano in gioco nei processi apprenditivi.

Ma la valutazione, nel significato comune che ad essa si attribuisce, quale strumento di verifica dei risultati conseguiti dagli alunni, serve soprattutto, se non esclusivamente, per regolare, per aggiustare, per mettere continuamente a punto i percorsi apprenditivi dei singoli alunni.

La valutazione serve mentre l’alunno apprende, non dopo. Dopo è troppo tardi: dopo si riparano i danni, ma non li si eliminano.

Occorre prevenire gli insuccessi, non correggerli.

È molto più agevole prevenirli che correggerli: è molto meno dannoso.

L’attività valutativa che non si ponga in questa prospettiva costituisce un impegno inutile, se non addirittura dannoso.

Eppure, malgrado l’universale consenso sulle considerazioni che sono state fatte, si continua ad utilizzare strumenti di valutazione che non si pongono nella prospettiva della valutazione formativa.

Occorrerebbe valutare la valutazione: occorrerebbe effettuare una verifica di quanto gli attuali strumenti di valutazione abbiano contribuito a migliorare i processi ed i risultati dell’apprendimento.

Pur richiedendo un consistente impegno, anche di tempi, così come sono strutturati, gli attuali strumenti di valutazione non sembrano che possano incidere sui processi apprenditivi.

La verifica che l’alunno non ha appreso, effettuata al termine del quadrimestre, non consente di modificare i processi apprenditivi che si sono già svolti e non offre elementi adeguati nemmeno per attivare iniziative di recupero, perché non rivela quali siano state le difficoltà incontrate dagli alunni.

Insufficiente, sufficiente, buono… sono giudizi troppo sommari, troppo generici, troppo vaghi perché possano servire per apportare i necessari correttivi ai processi apprenditivi.

D’altra parte, a che cosa serve informare gli alunni e soprattutto i genitori? Si rimane nella vecchia logica della scuola selettiva, la quale si limitava a verificare se gli alunni avevano appreso e se non avevano appreso, la scuola non si faceva carico del recupero, che rimaneva semmai un problema dell’alunno e della sua famiglia: informata che l’alunno non aveva appreso, la famiglia poteva attivare, in privato, le necessarie iniziative di recupero. Fino agli anni ’70, le attività di recupero non venivano attuate a scuola, ma solo fuori della scuola.

Anche dopo, le attività di recupero sono state e vengono quasi sempre effettuate, a latere della normale attività didattica: al termine del quadrimestre si verifica che un gruppo di alunni non hanno appreso e si attivano eventuali iniziative di recupero.

È opportuno ribadire che tali iniziative sono se non altro tardive.

Occorre prevenire gli insuccessi attraverso la continua regolazione dei processi apprenditivi e, comunque, occorre attivare le eventuali attività di recupero nell’ambito stesso delle singole unità didattiche: al termine delle unità didattiche, i docenti verificano se gli alunni non hanno compreso ed appreso ed attivano le eventuali iniziative di recupero.

La valutazione ha significato solo se è continua, se precede, si accompagna e segue i processi apprenditivi.

La valutazione quadrimestrale non assolve alla funzione formativa che ad essa oggi si riserva: rimane inspiegabilmente ancora nella logica della scuola selettiva.

Come tale, non solo rappresenta un impegno gravoso ed inutile per i docenti, ma crea difficoltà relazionali tra docenti, alunni e genitori, oltre che dannosi disagi agli alunni.

Perché non se ne prende atto e si modificano gli attuali strumenti di valutazione?

Basterebbe precisare che la valutazione serve innanzitutto e soprattutto per programmare e regolare i processi apprenditivi.

Altra cosa è la valutazione sommativa, finale, che assume valore soprattutto nelle annualità non obbligatorie della scuola secondaria.

Occorre decidersi a superare definitivamente il carattere selettivo della valutazione, almeno nella scuola dell’obbligo, e comunque in tutta la scuola, nel momento in cui il Regolamento dell’autonomia scolastica sancisce che le istituzioni scolastiche debbono garantire il successo formativo a tutti gli alunni.

Se il problema non è la selezione dei migliori, ma la garanzia del successo formativo di tutti gli alunni, allora tutti gli strumenti di cui la scuola dispone, compresi quelli della valutazione, debbono essere utilizzati per creare le condizioni che consentano a tutti gli alunni di comprendere e di apprendere e soprattutto di formarsi.

In tale prospettiva, la valutazione deve finalmente essere considerata come un essenziale strumento per progettare e regolare i percorsi apprenditivi e formativi, anche nella prospettiva della loro personalizzazione.

La comunicazione dei risultati delle verifiche ai genitori ed agli alunni assume significato solo ai fini del loro coinvolgimento nella progettazione e nell’adeguamento dei percorsi formativi: insieme si prende atto che le attività svolte non hanno portato agli esiti perseguiti e ci si impegna ad apportare gli opportuni correttivi, sulla base della verifica, non tanto del mancato conseguimento degli obiettivi formativi da parte dei singoli alunni, ma delle cause che tale conseguimento non hanno reso possibile.

Con la terapia attuata il malato non è guarito: ci si impegna assieme, medico, malato e familiari, a comprendere le ragioni della mancata guarigione ed a mettere a punto la nuova terapia.

Una domanda: ma se l’alunno non si impegna?

Il primo compito dei docenti non è tanto quello di insegnare quanto quello di motivare gli alunni, con la collaborazione dei loro familiari e degli stessi alunni!


Note

1 ZAVALLONI R., Valutare per educare, La Scuola, Brescia, 1961

2 AA.VV., Pedagogia della valutazione scolastica, La Scuola, Brescia, 1974.

3 BLOCK J.H.(a cura di), Mastery learning - Procedimenti scientifici di educazione individualizzata, Loescher, Torino, 1972.

4 BRUNER J. S., Dopo Dewey, Armando, Roma, 1970, p. 27.

5 RIESSMAN F., Stili di apprendimento, in BRUNER J.S., La sfida pedagogica americana, Armando, Roma, 1969, pp. 103ss. In merito cfr. anche PELLEREY M., Questionario sulle strategie di apprendimento, LAS, Roma, 1996.

6 In merito, anche per una più ampia bibliografia, cfr. TENUTA U., Individualizzazione – Autonomia e flessibilità dell’azione educativa e didattica, La Scuola, Brescia, 1998.