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Esami di Stato a conclusione. Riflessioni e proposte
Finiti gli esami, in attesa della riflessione sui dati globali da parte del Ministero, qualche osservazione a caldo.

di Beatrice Mezzina

 

1. Rendere quanto più possibile trasparenti le valutazioni.

Quest’anno l’O.M. 26 sugli esami recitava che si dovessero affiggere all’albo soltanto gli elenchi degli studenti con la specifica “ammesso/ non ammesso” e il credito globale.

Lo studente, tuttavia, ha la facoltà di richiedere i voti di ammissione, assegnati nello scrutinio finale per ogni disciplina di studio.

Si immagini con cento o duecento studenti in procinto di sostenere gli esami, l’ingolfo nelle segreterie.

Ho affisso all’albo tutti i voti di scrutinio finale, per motivi di trasparenza. Non trovo la motivazione per cui non possano essere affissi i voti di scrutinio finale con il credito relativo, i crediti riassuntivi dei tre anni comprese eventuali integrazioni, i crediti formativi, se e come abbiano concorso alla attribuzione del credito globale.

La stessa O.M. prevede che al termine delle prove scritte d’esame, lo studente conosca, perchè affisso all’albo, solo il voto globale delle tre prove e che possa conoscere il punteggio specifico delle tre prove, richiedendolo alla commissione, solo il giorno prima del colloquio.

Non capisco a quale idea si rapporti tale bizantinismo: perché non è dato conoscere se la valutazione sia stata più alta o meno alta in Italiano invece che in Latino o Matematica? Perché turba tanto la trasparenza?

Ho sempre affisso all’albo i voti delle tre prove, per trasparenza e rispetto dello studente che ha diritto di sapere quale valutazione abbiano ricevuto le tre prove scritte anche per tarare meglio il proprio colloquio.

Che anzi, l’anno prossimo, inserirò anche la distinta della valutazione delle cinque discipline della terza prova.

2. Commissioni miste

Non si avevano grandi aspettative tra gli addetti ai lavori.

Alcune note:

Il confronto tra docenti interni ed esterni rende meno autoreferenziali le scuole, i documenti dei consigli di classe sono più pregnanti per l’attenzione dei docenti ad esplicitare le linee della programmazione e quanto richiesto dalla normativa perché si è soggetti al confronto.

Gli studenti stessi, quando nelle scuole si adotta una politica di coinvolgimento, sono più attenti ad interagire con gli insegnanti nella elaborazione e nel controllo dei programmi.

I presidenti di commissione potrebbero consegnare al Dirigente Scolastico una relazione sui punti di forza e di debolezza rilevati, nell’ottica della collaborazione e della crescita della scuola. Non è positivo che la relazione sia inviata solo all’INVALSI e alle Direzioni Regionali.

L’attenzione alla interazione e alla relazione positiva tra gli insegnanti con diverse esperienze andrebbe promossa e sostenuta: gli esami dovrebbero costituire un campo privilegiato per ragionare di valutazione e di standard. Ma questo è un lavoro difficile che occuperebbe seriamente l’Amministrazione con un programma di attenzione che andrebbe tutto costruito.

Invece si scontrano in sede d’esame idee diverse di programmazione e valutazione con un grande disorientamento degli studenti. Ogni commissione fa storia a sé e le sorti degli studenti non dipendono da standard di competenze nazionali cui uniformarsi, ma dal clima di relazione nelle commissioni, dalla personale attitudine valutativa dei commissari, da una analisi e revisione intelligente delle prove che, sempre più massicce nelle proposte, sono tarate su programmi non condivisi nel riferimento nazionale, su un curricolo presunto che si discosta in molti casi da quelli reali. Quanti studenti non hanno potuto svolgere il tema su Dante?

Poi il patologico. Nelle commissioni miste il trend generale non sembra contrassegnato da un clima di serenità, nonostante molti casi in cui si è esplicitata una tranquilla relazione professionale.

Dico subito che le situazioni di censura sull’operato delle scuole in tanti casi sono inversamente proporzionali all’intelligenza dei commissari e presidenti.

Persone che hanno baratri di inconsistenza personali e nella conduzione delle proprie scuole, appena in un’altra, cercano la perfezione, e questo a scapito in genere degli studenti, con atteggiamenti censori sulle valutazioni degli insegnanti, sui criteri di valutazione, su ogni elemento cui attaccarsi.

Tralasciando il patologico, la pecca più grave degli Esami di Stato sta nel meccanismo di valutazione. La questione della valutazione, argomento poco sostenuto e approfondito soprattutto nella scuola superiore in Italia, esplode in un momento in cui i nodi si stringono e la questione valutativa e docimologia richiede attenzione massima. Ne deriva quello che in questi giorni turba famiglie e studenti dopo gli esiti d’esame: ribaltamenti nella valutazione complessiva rispetto alle proposte della scuola, scatti finali che hanno fatto avanzare studenti di dieci punti rispetto alle aspettative dell’ammissione, tonfi pesanti, come spesso avviene negli esami. Tanto che la Bocconi, la Normale selezionano gli studenti al quarto anno, ben conoscendo la logica degli esami. Tralasciamo poi le “raccomandazioni” dilaganti.

Per altro, quando si assegnano 20 punti a tutta la carriera scolastica e 80 all’esame, di cui 35 al colloquio che, come tutte le prove orali, è una tra le più infide e difficili sul piano valutativo, si comprende quanto sia improbabile una valutazione con caratteristiche di equità riconoscibile.

Il colloquio poi non è sostenibile: in un’ora gli studenti dovrebbero essere “interrogati” in tutte le discipline, perché così si tende a fare e una argomentazione proposta a livello interdisciplinare nessuna commissione sa impostarla. Allora gli studenti si difendono, male, e presentano un “percorso” che affastella con inutili collegamenti un argomento per ogni disciplina. Ma è un meccanismo di difesa contro richieste gestibili solo da studenti eccezionali.

3. Qualche proposta

Conviene allora continuare gli Esami di Stato così?

Forse bisognerebbe rinnovare totalmente la formula esami.

Indubbiamente va aumentato il punteggio per la carriera scolastica, né 20 né 25 punti, ma almeno 40/100. Non possiamo operare solo per paura dei diplomifici che elargiscono voti alti.

Ricordiamo che quest’anno è presente un numero alto di non ammessi, quindi le scuole, nella maggior parte dei casi non sono certo imputabili di valutazioni non attendibili.

Le prove scritte, nazionali, dovrebbero essere anonime, come nei concorsi pubblici,valutate in ogni scuola da un gruppo di “docenti valutatori”, esterni, con precisa formazione docimologia.

Durante l’anno il Ministero dovrebbe inviare testi di prove da simulare nelle scuole in cui si esplicitino agli studenti le consegne e i criteri di valutazione su cui contemporaneamente si discute con i docenti valutatori, tarandone attendibilità e validità. Sarebbero anche l’implicito riferimento a un curricolo nazionale nei contenuti e nell’approccio metodologico.

Lascerei alle prove la votazione di 45 totali.

Non so bene come modificare la formula del colloquio, la più discussa delle prove. Forse lascerei non più di due o tre discipline caratterizzanti il corso di studi, su cui si possa discutere seriamente senza le domandine a volo o i percorsi di difesa. Al colloquio non più di 15 punti.

Si risparmierebbe anche un po’ di denaro con una impostazione di tal genere.

Ogni Commissione costa, nonostante siano bassi i compensi per i commissari. E’ la pletoricità delle commissioni che andrebbe misurata. Nella commissione che ho presieduto quest’anno sono stati impegnati nove commissari e un presidente per trenta studenti. Con quali esiti in rapporto a costi/benefici?


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