"FARE" GLI ESAMI

di Davide Leccese

Da tutti gli interventi, pervenuti in redazione, e dalle riflessioni ad ampio spettro, apparsi sulla stampa – sia parlata che scritta – è apparsa evidente la pericolosa tendenza della categoria degli esaminatori di appropriarsi del problema degli Esami di Stato.

Fare gli esami si sta inesorabilmente riducendo al ruolo di chi dovrà esaminare, mentre è sottaciuto il ruolo, altrettanto importante – se non prioritario – di chi dovrà sostenerli, ossia gli studenti.

Abbiamo ancora tempo per condurre i docenti sulla onesta considerazione che "fare gli esami" è lo stesso gioco di relazione di insegnamento/apprendimento che lega docente e studente nel corso dell’esperienza scolastica. Non si vede come le preoccupazioni, i dubbi e – all’opposto – le certezze e i sereni traguardi, non debbano coinvolgere i protagonisti del tracciato formativo.

Allora, nella fase preparatoria, fare gli esami significa giocare un ruolo assieme, sperimentare in situazione, in una sorta di continuo capovolgimento di fronte: il docente che simula il ruolo dei suoi allievi (durante le spiegazioni e le interrogazioni) e l’allievo che simula il docente, sempre durante le spiegazioni e le verifiche, scritte, orali e pratiche.

A proposito di "simulazione" si suggerisce alle scuole una operazione che, apparentemente fittizia, potrebbe invece fornire ottimi risultati di verifica: accordarsi con un’altra scuola e scambiarsi gli "esaminatori" – alla pari – per una "finzione" guidata di esami di stato: una scuola fornisce all’altra gli esaminatori esterni ed assieme si concordano le tre prove scritte, come assieme di verificano le conoscenze e le competenze (sia pure in forma agile e non assolutamente appiattita sullo schema degli esami veri), da produrre in sede di prova ufficiale.

Altro sistema che molte scuole stanno adottando è quella del tutoring: utilizzare gli studenti più preparati e più motivati per esporre ai compagni di classe quelle parti di programma che, in sede di riepilogo, riproposti dal docente, rischierebbero di ripetere uno schema che raramente risulta diverso e più esaustivo della prima spiegazione (il docente tende a riproporre se stesso, nel consolidato "mestiere" delle sue conoscenze).Anche perché sovente il docente, "comprendendosi", fa difficoltà a recepire la non comprensione sedimentata negli alunni più deboli.

Il compagno, sia pur non così "completo" e preciso, userà il linguaggio espositivo dello studente e sicuramente questo è più vicino al linguaggio del compagno.

La prova più coraggiosa potrebbe consistere, da parte del docente, nel "fare lo studente": gli alunni formulano le domande e il docente risponde; ci vuole coraggio perché qualche volta è anche capitato che il docente, fuori del suo ruolo, abbia avvertito tutto il peso di chi si sente interrogato (per vedere se sa); peso diverso rispetto a quello di chi si sente interrogato (giacché sa)!



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