"LE MODALITÀ DELLA SCRITTURA GIORNALISTICA:ANALISI DI CASO"
relazione ai docenti di italiano delle scuole secondarie superiori della provincia di Lecce
- 24 aprile 2001 -

di Lino Patruno
direttore de "La Gazzetta del Mezzogiorno"

(a cura del referente per l’esame di stato, dott.ssa Maria Teresa Crespini)

 

La scrittura giornalistica è più rudimentale rispetto ad altri tipi di scrittura, innanzitutto perché chi scrive un articolo deve farsi capire, di più, deve farsi capire in un tempo assai breve.

Nel giornalismo, il potere è in mano al lettore, che ha un’ampia scelta tra più giornali, a differenza del libro, laddove la scelta del lettore è orientata da criteri non puramente concorrenziali, ma, ad esempio, dall’autore, dal genere, dalle eventuali recensioni, e così via.

In verità, molti giornalisti italiani sono autoreferenziali, scrivono in maniera bizantina, e questa è una caratteristica, per l’appunto, molto "italiana"; si pensi che la pagina culturale, a sé stante, è un’invenzione di casa nostra, risalente ai primi del ’900, poco o niente usata nel resto del mondo.

La prima regola da osservare, scrivendo un articolo di giornale, è: scrivi come parli!, nel senso di avvicinare, il più possibile, il linguaggio scritto a quello comunemente usato nella conversazione privata, curando la corrispondenza con i vocaboli della lingua quotidiana ed evitando il "gergo" tipico del giornalista; ad esempio, io vado al bar con un amico, e non mi reco al bar, o ancora, l’onorevole è stato ospite di una manifestazione pubblica con sua moglie, non con la propria consorte.

Ai ragazzi che sceglieranno, per lo svolgimento della prova scritta di italiano, la tipologia "articolo di giornale", ricordo che per scrivere un tema si usa normalmente un vocabolario di 1000 parole, mentre Manzoni, per "I promessi sposi", ne usò uno di 9000! Si tratta di un bel risparmio, che consente velocità e concisione, elementi senz’altro importanti nella scrittura che ci riguarda.

Chi legge il giornale compie un atto di volontà, che va tenuto alto da chi lo scrive. E allora, eccovi alcuni fondamentali accorgimenti perché tale volontà non cada dopo i famosi trenta secondi, statisticamente accertati, trascorsi i quali l’attenzione tende a cadere.

1. Le frasi devono essere semplici il più possibile: soggetto, predicato verbale, complemento, tenere a mente la regola anglosassone - tale scrittura costituisce un modello da seguire per i giornalisti di tutto il mondo - secondo la quale un periodo non dovrebbe superare le 18 parole, comprese le congiunzioni, e, comunque, mai le 25.

2. Usare con generosità la punteggiatura: punti e virgola, virgole, punti, soprattutto punti, ricordando che quel che più conta è il ritmo, la cadenza di ciò che scriviamo, proprio come la metrica contava per gli antichi greci e latini; le subordinate vanno accuratamente evitate, perché costringono il lettore - fatene la prova leggendo ad alta voce - a fermarsi, a riprendere fiato, insomma a spezzare il ritmo, a ricordare la frase precedente e a fare poi un salto in avanti. Pensiamo al lettore di giornale in metropolitana, soggetto frequentissimo all’estero, certamente per lui l’interesse a ciò che legge deve essere superiore al disagio della situazione logistica, ne convenite?

3. Modo e tempo dei verbi. Ci riferiamo all’articolo di cronaca - anche se, ed è un peccato, il tema proposto nella prova d’esame, corredato da apposita documentazione, è spesso riferito a quello di opinione, tipo articolo di fondo - perché la tipica scrittura giornalistica, battente, concisa, immediata, è proprio quella che si è formata sulla cronaca, tant’è che, all’esame di giornalista, vengono, di solito, proposti degli spezzoni di cronaca, sui quali costruire un fatto da raccontare, più raramente l’articolo di opinione, che crea difficoltà perché può anche non essere strettamente "giornalistico".
La cronaca, dunque.Preferire la forma attiva, mai o quasi, quella passiva, che, il più delle volte, rischia di stravolgere il senso e l’importanza dell’enunciato. Non ricorrere alla doppia negazione, colpevole di appesantimento e scarsa chiarezza. Quanto ai tempi, possiamo usarne di diversi; la scrittura giornalistica non è "instant", come quella televisiva o radiofonica, che perciò usa il presente indicativo, ma racconta qualcosa avvenuta il giorno prima, e per questo si potrebbe anche usare il passato prossimo o l’imperfetto; è bene tener presente, però, che il presente indicativo conferisce pathos al racconto, mentre gli altri tempi limitano il coinvolgimento emotivo, inoltre le questure, nei cosiddetti "mattinali", conferenze stampa in uso ed abuso quotidie, fanno largo ricorso all’imperfetto, creando un fastidioso effetto gergale-burocratico: sia dunque benvenuto il presente.

4. Aggettivi. Tenendo a mente una delle regole d’oro della scrittura giornalistica, la capacità di sintesi, la cui applicazione si realizza non superando, in cronaca, le 2.500 battute (consegna poco rispettata, ahinoi!, da chi, pur messo sull’avviso, non ne produce mai meno di 3.000), riducendo, dunque all’osso le parole da usare, è evidente che in un componimento - in quello d’esame le tre/quattro colonne di lunghezza indicate dal Ministero corrispondono, più o meno alle 2.500 battute - quanto più sono presenti aggettivi, tanto meno l’estensore si rivela padrone della lingua. Infatti, ridurre gli aggettivi significa conoscere e saper scegliere parole molto significative ed evitare genericità e banalità.

5. Stesso discorso per gli avverbi, se ne può proprio fare a meno, soprattutto di quelli che finiscono in "mente", giacché appesantiscono di molto la frase.
Si raccomanda anche qui la prova lettura a voce alta: se si ha difficoltà a prendere fiato perché scarseggia la punteggiatura, o a pronunciare chiaramente perché si incespica in parole troppo lunghe, in "ricchi" aggettivi o in lunghissimi avverbi, l’articolo non va.

6. Il capoverso. Prezioso ausilio del nostro giornalista di cronaca, va usato con saggezza: se ci sono pochi capoversi, nella lettura si diventa asmatici, se ce ne sono troppi, al contrario, iperventilati; la regola dovrebbe essere un cpv ogni 10 o 12 righe di giornale. Una caratteristica dell’articolo stampato, la visualizzazione spinta, generata dalla necessità di ri-catturare continuamente l’attenzione del lettore, rende lo scarso uso del cpv fastidioso anche graficamente, mentre l’uso eccessivo può dar luogo ad una lettura o iperventilata, ma anche, ed al contrario, sincopata ed asmatica: insomma, anche l’uso del capoverso deve corrispondere ad un ideale ritmo di lettura. Può essere utile notare che molti scrittori usano il cpv in funzione di suspence, vale a dire che, al momento di chiudere un concetto, non lo si definisce compiutamente, ma si rinvia a ciò che verrà detto nel cpv successivo, e questo ne costituisce un ottimo uso.

7)Metafore e parole straniere. Raccomando la moderazione nell’uso di entrambe. Le prime danno un’impressione di pesantezza, di vecchiezza della scrittura, e, anche loro, spezzano il ritmo della lettura. Quanto alle parole straniere, sono ormai diventate un flagello, l’anglo-italiano è pane quotidiano del giornalista; invece, bisognerebbe tradurle tutte le volte che si può, anche per raggiungere il maggior numero possibile di lettori: quello a cui vogliamo arrivare è il lettore marginale (rubo il termine al linguaggio dell’economia), e questi è sicuramente meno attrezzato a capire la parola straniera.

8)Abbreviazioni e diminuitivi: vanno evitati il più possibile, le prime vanno sempre spiegate, i secondi possono essere ridicolizzanti.

9)La regola delle cinque W: la lettera caratterizzante si riferisce alle corrispondenti espressioni inglesi, che in italiano suonano: CHI? - CHE COSA? - QUANDO? - DOVE? - PERCHE’?

L’articolo di giornale deve contenere tutti gli elementi fondamentali del fatto sin dall’inizio; non bisogna presupporre che il lettore conosca già i fatti, anche se sono notissimi e se ne parla da più giorni. Persino chi legge un articolo di fondo deve trovarvi gli elementi fondamentali ai quali il fondo si riferisce. Ovviamente le 5 "W" non hanno sempre la stessa importanza, dipende dall’oggetto della notizia (vedi, in proposito il promemoria "CIO’ CHE RENDE NOTIZIA UNA NOTIZIA).

UN ESEMPIO: L’editoriale della Gazzetta del Mezzogiorno del 22 aprile 2001 "I LUMBARD ROMPONO IL SUD PAGA".

Il titolo è una delle cose più complicate, deve essere appropriato e ad effetto.

L’esordio dice già il punto base, sul quale poi si svilupperà l’articolo, inoltre ha un tono ironico e, quindi, suscita subito una curiosità di tipo intellettuale, il che in un articolo di fondo non guasta.

E poi, non bisogna farsi prendere dall’angoscia della pagina bianca, buttate giù subito la prima frase che vi viene in mente, dopo si può anche cambiare, ma, intanto, l’importante è cominciare!

Dopo aver attirato l’attenzione con la prima frase, diciamo subito di cosa stiamo parlando, qui si tratta della "devolution" che viene addirittura tradotta in italiano (ricordate la regola di cui al punto 7).

L’uso della punteggiatura è fondamentale, serve a dare la cadenza: "Il governo dice no per due motivi - punto - Uno politico - due punti - ....."

L’incisività, ottenuta con un uso sapiente della sintassi, incatena l’attenzione: ad esempio iniziare una frase con un participio passato ( "Bocciato anche dal sindaco di Milano...", si poteva dire diversamente, ma l’effetto sarebbe stato di prolissità)

Anche la fine ha la sua importanza, ad esempio è una buona idea concludere con una battuta, un dubbio, etc.: qui, ad es., la conclusione "....non alzano un dito e abbassano la testa." lascia aperto il campo alla discussione su ciò che il sud ha sempre rappresentato :immobilismo e rassegnazione.