Esami: incontro tra generazioni

di Davide Leccese

Trattiamo questi temi, apparentemente generali, per svaporare il clima di tensione psicologica, onestamente eccessiva, che sta accompagnando la preparazione agli Esami di Stato, sia da parte degli studenti (e delle famiglie) che da parte dei docenti.

Siamo convinti che l’ampliare la prospettiva d’analisi faciliti una lettura organica di un rapporto complesso ed impegnativo, qual è quello tra due generazioni. Sì, perché l’Esame è un’occasione privilegiata – da sfruttare appieno – di dialettica generazionale, con quel che comporta un mettere di fronte adulti e giovani, ruoli di insegnamento (e di valutazione) e di apprendimento, sensibilità prevalentemente di quel che è stato con quel che sarà.

Gli esaminatori rappresentano il tentativo – intelligente, speriamo – di una società (la scuola è una comunità educante) che, avendo fornito delle conoscenze e delle competenze (sistematiche, metodiche e critiche), verifica che le stesse siano transitate dalla mente a tutta la personalità del discente; e tale verifica assume il tono dell’ufficialità obiettiva ( o istituzionale ) perché i giovani si convincano dell’inderogabilità dell’accertamento, come momento di maturazione significativa.

L’esame allo studente, dimostrando che egli ha imparato, gli consente di verificare come gli adulti siano disposti a credere e ad avallare la sua crescita e quale peso assegnino al suo "crescere".

La dialettica, una certa contrapposizione è nell’ordine delle cose, proprio perché diversa è la prospettiva di vita. Un tempo fummo noi contrapposti e dialettici ai nostri adulti di riferimento ed oggi lo sono con noi i giovani. Molti degli adulti hanno dimenticato il loro passato di studenti (sovente burrascoso, incerto e critico) e pretendono dai giovani quello che essi non furono: logici, sistematici, costanti, appropriati nell’esposizione, prudenti nelle affermazioni, documentati nelle idee, "scientifici". A meno che non si voglia far credere ai giovani che anche per la scuola ci fu un’età dell’oro (il passato), splendida come in certe favole mitologiche. A meno che non si voglia mimetizzare l’idea (patetica) che nella scuola sono transitati, come docenti, i migliori studenti di ieri!

In sede di esame l’adulto dovrà porsi di fronte al giovane come sinceramente curioso delle sue idee, attento alle sue affermazioni, disponibile a seguirne i percorsi mentali, convinto che il cambiamento, come acquisizione non istantanea e puntuale delle conoscenze e delle competenze, in genere, e l’apprendimento sono pedetentim progredientes, cioè hanno bisogno del loro tempo per affermarsi come comportamento. Chi fa della verifica di esame l’accertamento di uno stato "definitivo e totale" prende una cantonata valutativa pericolosa. L’invito è a constatare il possesso dei "processi", delle idee significative, dei sistemi chiari di conoscenza; a verificare se ha cognizione di "fatti" culturali su cui potrà costruire gli ulteriori apprendimenti; a far emergere una capacità di confronto che significhi attenzione per quel che sostengono gli altri e dignitosa difesa delle proprie idee.

Non vorremmo, poi, che passasse l’idea, nel giovane studente – sottoposto ad esame – che, possedute le idee e le competenze "scolastiche", si abbiano già tutte le chiavi per aprire le porte della vita reale. Nella scuola tradizionale vige ancora una sorta di principio deterministico, che trasmigra da certi docenti a certi studenti: conosciute le teorie, verificate (in astratto) le esperienze di pensiero, si è pronti per la pratica della vita. La vita, invece, presenta impennate esistenziali talmente imprevedibili, da richiedere una ridiscussione continua delle certezze. E la riapertura del dibattito è possibile sono se, nella scuola – fino all’Esame di Stato – si è dato al giovane l’abito mentale della prudenza, assieme al coraggio delle proprie idee e soprattutto, la voglia di confrontarsi con gli altri, anche con quelli più "bravi" di lui.



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