ESAMI DI STATO: RIMETTERE IN DISCUSSIONE LE IDENTITA’

di Davide Leccese

Quasi senza colpo ferire, e probabilmente senza attendersi questo risultato, sicuramente positivo, il Ministero della P.I., con il nuovo Esame di Stato, ha sconvolto una logica decennale che dava per acquisite e cristallizzate le identità dei protagonisti: i docenti e gli alunni, gli esaminatori e i candidati.

Quello che, a primo acchito, appare come incertezza sulle procedure, finisce per essere invece, un sostanziale ridiscutere ruoli, funzioni e, appunto, le identità.

Insomma, il chi sono io, in relazione alla prova d’esame, è diventato una cartina del tornasole che non bisogna lasciarsi scappare – proprio da parte del Ministero – per proseguire su di un cammino di cambiamento e di rinnovamento che questa volta vada fino in fondo, probabilmente fino alla stessa identità del Ministero della Pubblica Istruzione.

Sono in pochi ad aver raccordato le tessere del mosaico; ma come si fa a leggere il nuovo Esame di Stato senza interrogarsi sull’Autonomia, sulla Qualità, sulla Sperimentazione, sul rinnovo/modifica degli Organi collegiali? Ogni cambiamento rischia di apparire – ci si lasci passare l’immagine astronomica – più un meteorite fuori rotta e non un pianeta impaginato in un assetto organico e razionalmente concepibile di un universo in movimento.

Per i docenti, intanto, e per il loro lavoro è giunto il momento di prendere coscienza della propria identità ed insieme interrogarsi su una nuova deontologia professionale, magari andando a ripescare ragioni ed entusiasmi giovanili negli anni di lotta per una scuola migliore e significativa.

Significa uscire dal circolo vizioso della scuola che si concepisce come il luogo degli "addetti ai lavori", con una capacità di agire ad escludendum che comincia proprio con gli alunni, considerati "altro" rispetto alla verifica del rapporto insegnamento/apprendimento.

Agli esami è vero che ci vanno gli studenti ma ci va assieme tutta la comunità scolastica; si accodano la qualità dell’insegnamento e il risultato che dipende anche dalla qualità del docente, oltre che della scuola tutt’intera.

Allora: Il docente, in vista dell’esame, se la sente di giocare una riflessione coraggiosa sulla "cultura", pur sapendo di avere a disposizione sostanzialmente le materie d’insegnamento? Siamo in grado di affrontare l’eterna lotta tra la creatività, la scientificità e la ripetitività della lezione?

Studenti e docenti si stanno interrogando sul classico "a che mi serve", tante volte ripetuto, durante l’anno scolastico – da parte di alcuni studenti – impegnati più a non studiare che ad imparare di più? Davvero la scuola vuole continuare ad inseguire la cifra della produttività esasperata dei titoli che attribuisce, senza insegnare ai giovani che i titoli sono più produttivi quanto più è flessibile la formazione e, per certi aspetti, gratuita la cultura la li sottende?

C’è ancora spazio – e la domanda vale soprattutto in tempi di "resa dei conti" (Esami) – per una scuola degli ideali e dei valori o c’è solo un ristretto spazio per una società letta in chiave mercantile, anche per la scuola e l’apprendimento?

A questa serie di domande si danno risposte, mi pare, senza lunghi ragionamenti; con altre domande e con accettazione di ragionamenti onesti:



LE FastCounter