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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Antonella, ovvero il paradiso perduto

   di Mamma Nela

Diciotto anni, capelli rosso Tiziano, pelle bianca come la neve con qualche lentiggine qua e là, lineamenti armoniosi, con quelle ciglia pure rosso Tiziano che non si possono non notare perché di capelli di quel colore, tinti, se ne vedono, ma raramente si tingono anche le ciglia; corpo talmente perfetto che sembra disegnato; non un chilo di più nè uno di meno.

Questa è mia figlia, incantevole soprattutto al mattino, quando non è ancora del tutto sveglia e ha un viso assonnato come quello di chiunque sta ancora a metà tra sonno e la veglia.Con la progressiva ripresa dello stato di veglia si risvegliano anche le stereotipie, la tensione muscolare, le ossessioni e le paure.Le mani sono costantemente impegnati a darsi i colpi sui denti ritmicamente, incessantemente, senza posa; se non s'impegnano in attività alternative incompatibili, come darmi la mano, nel qual caso la stretta è dolorosa, per la tensione muscolare non dominabile dalla volontà, totalmente soprafatta dalle convulsioni e dalle ossessioni. Con il completamento del risveglio anche l'espressione del viso viene stravolta da smorfie per la tensione dei muscoli del viso, incapaci come quelli delle mani e delle braccia, di rimanere rilassati anche per un solo istante.
E con le stereotipie e la tensione muscolare si risvegliano le ossessioni, che occupano interamente la sua mente per tutto il tempo della giornata.

Alcune sono nate da poco, altre sono variazioni su vecchi temi, altre sono vecchie ossessioni rimaste sopite per qualche tempo, poi riemerse. Alcune vertono su temi realistici e sono espresse in modo patetico e profondamente umano, come quando mi dice:"Mamma, io voglio morire con te, nello stesso letto, abbracciata ate. Non voglio avere neanche un minuto di vita senza di te." Questo pensiero ha cominciato ad ossessionarla dieci anni fa, all' età di otto anni. Lo ripeteva, secondo il suo stile, dovunque si trovasse; e ben ingenua era l'insegnante che le diceva:"Ma alla tua età non devi pensare alla morte. Devi pensare a giocare e a divertirti". Il suo pensiero non era libero di spaziare, ma completamente schiavo delle ossessioni e al di fuori di qualsiasi schema inquadrabile nel modo di essere dell'infanzia. Il solo modo di rapportarsi con lei era ed è convivere con le ossessioni. A nulla serve richiamarla alle caratteristiche che dovrebbero contrassegnare la giovinezza, come la spensieratezza e la voglia di vivere: tutto ciò non le appartiene. Meglio assecondarla:"Sì, moriremo insieme, te lo prometto". Ma a questo punto subentra la sua ineccepibile capacità logica: secondo le leggi della natura è altamente probabile che le mamme muoiano prima delle figlie. Questo lei lo sa bene e la rassicurazione a nulla vale per cui tutto ricomincia tale quale: ossessione, paura, ansia, in un crescendo senza fine e senza rimedio. Questo suo modo di essere dà a chi le sta vicino una sensazione di impotenza, per l'inutilità di ogni tentativo teso ad aiutarla, e fa soffrire prima di tutto lei, che talvolta riesce ad esplicitare la sua sofferenza, come quando, al età di nove anni, strofinandosi violentemente una pigna contro gli occhi, mi disse:"Ma non si può morire da bambini?"

Ma se la maggior parte del suo tempo è occupata da ossessioni, stereotipie, ripetizioni all'infinito di frasi al di fuori del contesto, quando meno ce l'aspettiamo il dialogo diventa logico, conseguente, profondo. Aveva quattordici anni quando mia madre era all'ospedale, malata di cancro all'ultimo stadio. Io passavo tutto il giorno al suo capezzale. Facevo una breve visita a casa verso sera, poi ripartivo per l'ospedale dove passavo regolarmente la notte. Antonella aveva interiorizzato che i miei ritmi erano diventati questi, per cui ha subito notato la differenza la sera che sono rimasta a casa. "Non val dalla nonna stasera?" e io: "No, perché è morta.". Ha ingoiato la saliva, mi ha guardato accennando un sorriso, poi mi ha detto: "Meno male che c'e il Paradiso!" In quel momento era la persona più normale, umana e adorabile del mondo.
E dunque c'è in lei una capacità di pensiero e di empatia che affiora di tanto in tanto, per brevi attimi, per poi essere sopraffatta e sommersa da ossessioni divoranti. E quali ossessioni! Se la paura della morte della mamma ha una suo logica, altre suonano come pura follia.

E' iniziata undici anni fa e persiste ancora tuttora l'ossessione per la quale io dovrei andare al wc soltanto alle tre di notte. Aveva sette anni, e alle cinque pomeridiane, quando l'andavo a riprendere dopo otto ore da lei impegnate nella frequenza del campo estivo, mi rivolgeva sempre la stessa domanda retorica: "Tu i bisogni li fai solo alle tre di notte, vero?" Ormai da anni siamo rassegnati a dire che la mamma, quando va in bagno, va a lavarsi un'unghia che le fa prurito. La cosa è accettata per un po', ma subito subentra la logica: "Forse hai un fungo; perché non vai dal dermatologo a fartelo curare?". Sicuramente ora Antonella non crede nella scusa, ma fa mostra di crederci e non entra più in crisi. Egualmente pretendeva di bere lo stesso caffelatte della madre, fatto con il caffè vero; invece per lei viene preparato caffè d'orzo solubile: ogni volta pretende l'assicurazione che si tratti di caffè vero, pur sapendo benissimo che il caffè solubile del barattolo è d'orzo.

Alcuni amici, non comprendendo quanto radicate siano in lei le ossessioni, provavano a farla ragionare con la logica, ottenendo quale risultato crisi incontenibili di rabbia con urli, agitazione e gesti di violenza. Crisi incontenibili di rabbia sono state più volte innescate dal pensiero del colore "indaco". La prima volta fu undici anni fa, quando Antonella aveva sette anni. Guardavamo libro illustrato con il disegno di un arcobaleno. Commentando la figura le ho enumerato i colori dell'arcobaleno. Quando sono arrivata all'indaco, ha avuto una violenta crisi di rabbia. Forse non riusciva ad inquadrare il significato esatto della parola, cioè la gradazione del colore, in quanto non era nè proprio blu nè proprio viola. E' difficile ricordare le frasi disperate di quell'episodio; da allora, di tanto in tanto, il pensiero dell'indaco le ritorna improvvisamente alla mente e col pensiero torna la stessa angoscia e si ripetono le medesime manifestazioni disperate della prima volta.
L'elenco delle ossessioni: nuove, vecchie, ricorrenti potrebbe continuare all'infinito.
Il re Mida trasformava in oro tutto ciò che toccava; Antonella trasforma in ossessione qualunque pensiero, anche quello più insignificante agli occhi dei più; o per essere più precisi: o una cosa le è del tutto indifferente, o , se l'interessa, l'interesse si trasforma subito in ossessione.

Da anni vita famigliare è ritmata sulle ossessioni di Antonella e non può essere altrimenti, perché lei è incapace di adattarsi a noi e dobbiamo essere noi ad adattarci a lei, alla sua follia, una follia d'altri tempi perché oggi la follia classica, quella degli schizofrenici, viene poco o tanto mitigata dai farmaci, mentre quella di Antonella no. I farmaci o le fanno decisamente male, o riescono soltanto a mitigare alcuni sintomi.
Naturalmente non si può sopravvivere senza speranza in futuro miglioramento e la speranza deve essere alimentata da qualcosa. Anche per noi è così. La nostra speranza nel futuro è alimentata da un ricordo del passato, di un'epoca che si allontana sempre di più è assimilabile all'età dei pagani o al paradiso terrestre dei cristiani. A volte ci chiediamo se non si sia trattato di un sogno, ma abbiamo prove tangibili che è stata una meravigliosa realtà, durata esattamente venti mesi, dall'età di cinque anni e nove mesi all'età di sette anni e cinque mesi.

Era l'estate dell'87 quando un'amica mi segnalò un libro curato da E. Schopler dal titolo "Biological issues in autism". Me lo procurai e vi trovai un capitolo di B. Rimland sulla terapia con megadosi di vitamina B6 e Magnesio. Rimland aveva raccolto alcune migliaia di impressioni di genitori su ciò cha aveva fatto bene o male ai figli autistici, ed i risultati migliori erano quelli dovuti all B6 ed al magnesio. Mi sembrava troppo bello per essere vero che due sostanze così innocue potessero agire efficacemente su una catastrofe come l'autismo. Volevo provare, ma non da sola. Desideravo l'aiuto e la supervisione di medici esperti. Dal momento che Rimland citava il Prof. Gilbert Lelord e il suo gruppo di neuropsichiatria infantile dell'Università di Tours, mi misi in contatto telefonico con loro chiedendo un appuntamento per Antonella. Per tutta risposta mi offrirono gentilmente un posto ad un seminario a numero chiuso che stavano organizzando, ma non accettarono di visitare mia figlia. Avrei deciso io autonomamente se fre o no la prova con B6 e Magnesio, senza un loro coinvolgimento diretto. Ci pensai giorno e notte per tre mesi poi, dopo aver tradotto in nomi commerciali e relativi dosaggi i consigli di Rimland, con trepidazione iniziai la cura, senza nulla dire alle insegnanti di Antonella, che avrebbero potuto esprimere un giudizio neutrale e non influenzato da aspettative o pregiudizi.
In tre giorni si realizzò sotto i nostri occhi increduli una autentica metamorfosi, che tutti i testimoni, esperti e non esperti, parenti ed amici, adulti e bambini, non potevano non rimarcare, pur ignorandone la causa. Il monologo, che prima era continuo, costante e avulso dal contesto, divenne dialogo. L'uso della parola, prima assimilabile ad una insalata di parole priva di senso, divenne comunicativo. Finalmente faceva silenzio e prestava attenzione quando gli altri parlavano. Dava risposte appropriate alle domande.
Prima i coetanei erano stati da sempre attivamente evitati, come quando, al pranzo del suo terzo compleanno, alla vista di una coetanea che entrava in casa disse: "Voglio andare a letto, al buio". Dopo i compagni venivano cercati attivamente: provava piacere a stare insieme a loro, al punto che, non contenta di frequentare la scuola materna al tempo pieno, ne voleva invitare uno o due a casa nostra anche dopo la fine della scuola, per continuare a stare in loro compagnia. Fino a tre giorni prima era stata indifferente a quanto la circondava, anche se vistoso e sfavillante. Ora era presente alla realtà e gioiva al vedere simboli di festa. Per le feste natalizie ci godemmo la città bardata dalle luminarie, le guardammo una a una, elencando e spiegando il significato dei simboli che rappresentavano: stelle comete, babbi natae, stelle di neve, renne, alberi di Natele. Anch'io ho provato una gioia nuova ad ammirare i segni di festa di quei due Natali. Mi pareva di non aver mai notato e goduto di queste cose. In effetti non ci avevo mai fatto tanto caso prima di riuscire a condividere finalmente questa gioia con una figlia che pareva risvegliarsi da un lungo e brutto sogno. Anche il Carnevale fu una gioia nuova per lei e per me. Passammo diversi pomeriggi a passeggiare in tre per le vie della città: io, lei e una compagna d'asilo. Le due bimbe avevano un naso finto che avevamo comprato insieme in un negozio di giocattoli. Di tanto in tanto si guardavano e ridevano divertite.

La scuola materna finì in gloria.

Le insegnanti erano al settimo cielo per aver assistito a quel miracolo che continuò per tutta la prima elementare, durante la quale comportamento e apprendimento furono quelli dei compagni. A febbraio Antonella già leggeva speditamente quando alcuni compagni non ne erano capaci. Non contenta di stare in compagnia di coetanei a scuola a tempo pieno, chiese e ottenne di frequentare due volte la settimana una palestra per la ginnastica artistica. Non era certo la più brillante delle atlete, ma faceva le sue corse, le capriole in avanti e all'indietro, la forbice, il ponte, la candela, la carriola, gli esercizi alle parallele, ma soprattutto provava gusto di fare ciò; possedeva quella spinta vitale che non aveva mai avuto prima e che non avrebbe più avuto dopo la fine della "età dell'oro".
Ricordo il piacere che mi fece una benevola sgridata che le fece un istruttore, motivata dal fatto che non aveva rispettato il suo turno nel fare un esercizio individuale: "E tu chi sei? La più bella?". Quella sgridata disinvolta era per me una novità: era resa possibile dal nuovo meraviglioso comportamento di Antonella che, non facendosi notare come patologico, poteva ispirare negli altri disinvoltura e scioltezza invece che compassione.
Quante volte, in passato, l'avevamo portata ai giardini, in mezzo ai coetanei, per favorire interazione anche elementare, come il gioco del girotondo, della palla, del nascondino! Sembrava più facile spostare una montagna! Non tollerava neanche la vicinanza fisica dei coetanei, che la irritava moltissimo. Ed ora eccola lì, in palestra, a correre e saltare con gli altri, con la sua maglietta uguale agli altri con la scritta "Polisportiva Fausto Coppi", con l'istruttore che la sgridava come avrebbe fatto con qualunque altro bambino!
Il bel sogno durò fino fino alla fine della prima elementare. Prima ancora dell'inizio delle vacanze improvvisamente Antonella cambiò drasticamente: diventò irascibile, maniaca, fissata. Non partecipava più a ciò che le stava intorno, non comunicava più.
Preoccupazioni strane riempivano la sua mente: "I miei denti sono delicati. Mamma, toglimi questi denti delicati; voglio dei denti robusti"; "Non voglio questi capelli; voglio dei capelli di lana".

Diventò distruttiva e aggressiva, verso se stessa e verso gli altri. L'insegnante e io ci trovammo ad avere entrambi le mani piene di graffi e di morsi, spesso sanguinanti.
Non era più capace di scrivere; la tensione muscolare era tale da impedire movimenti fini e finalizzati. E con la tensione coesisteva una apatia totale verso qualsiasi attività. Aveva da poco imparato ad andare in bicicletta, ma , quando gliela porgevo, la scaraventava a terra. Non aveva più il desiderio di fare nulla, neanche di passeggiare.
Mi sono trovata più di una volta per la strada con Antonella distesa a terra, contratta al punto che non riuscivo né a sollevarla né a convincerla a rimettersi in piedi. Una volta mi soccorse un passante robusto, competente e generoso. La prese in braccio da terra e la portò di peso fino a casa. Durante il tragitto la moglie mi disse con orgoglio che il marito lavorava con l'ambulanza e che era abituato a situazioni del genere. Un'altra volta successe la medesima scena: a cento metri da casa Antonella si butta a terra, si rifiuta di alzarsi; io non riesco da sola a sollevarla, chiedo aiuto ad un passante per portarla in un vicino bar da dove chiamo un taxi per farci portare a casa: un taxi per fare cento metri, quando eravamo abituate a fare chilometri a piedi quotidianamente!


D'altra parte camminare per la città era l'unica attività possibile, ritenuta oltretutto terapeutica da numerosi esperti, tra cui Rimland: l'esercizio vigoroso muscolare, nell'esperienza di molti genitori, aveva migliorato il comportamento di molti autistici. E poi anche il senso comune dice che l'esercizio fisico scarica la tensione e quantomeno si spera che generi stanchezza e quindi bisogno di riposo e sosta all'agitazione permanente. Così, pur col rischio di dar luogo a scene simili a quelle descritte, che richiamavano l'attenzione dei passanti, sempre numerosi dato l'ubicazione della nostra casa nel centro della città, siamo diventate assidue camminatrici del centro storico. Purtroppo anche le passeggiate, come tutto il resto, dovevano essere imposte ad Antonella, totalmente impegnata in stereotipie motorie e verbali. E la scena madre si ripeteva ormai con le stesse modalità: Antonella a terra urlante e irrigidita, io impotente al suo fianco, i passanti preoccupati che fanno capannello intorno a noi e chiedono cosa sia successo di tanto grave.

Facendo quotidianamente gli stessi percorsi, incontravamo ogni giorno gli stessi mendicanti, che ormai ci salutavano con simpatia e compressione. Grata di questa dimostrazione di solidarietà, io tentavo di ricambiarla facendo loro l'elemosina, ma questa veniva regolarmente rifiutata. Com'erano lontani i tempi in cui l'istruttore della polisportiva Fausto Coppi con tanta naturalezza le aveva detto: "Ma tu credi di essere la più bella?"

Da sempre la follia induce nei famigliari un senso di pudore, un desiderio che le manifestazioni più eclatanti si consumino lontano da occhi estranei, anche a costo di trovarsi soli con la propria sofferenza e di rinunciare all'aiuto del buon samaritano, che non raramente ti passa vicino. Io dovevo conciliare l'esigenza di farle fare del movimento con quella di non presentare a degli sconosciuti quelle scene di follia. Trovai una soluzione che mi parve brillante: andare a passeggiare al cimitero, un bel giardino grande, silenzioso e poco frequentato al di fuori dei primi di novembre. Ma non avevo fatto i conti con la mia scarsa conoscenza del luogo e col mio scarso senso dell'orientamento: un pomeriggio, verso l'ora di chiusura, mi trovai con Antonella in questo cimitero enorme, completamente deserto; da diversi minuti non riuscivo a trovare l'uscita e non c'era nessuno cui rivolgersi. Rischiavo di passare la notte in questo ambiente che aveva sì tanti requisiti adatti alla situazione, ma che non avevo mai ritenuto idoneo per passarvi una intera notte con la mia Antonella. Finalmente trovai la strada per l'uscita, ma dovetti imparare la lezione.

Mentre prima della terapia con la B6 Antonella era apatica, assente, probabilmente inconsapevole del suo stato, dopo è divenuta ben consapevole della sua differenza rispetto agli altri, e molto spesso lo fa notare essa stessa. Si informa sull'attività di volontariato che i genitori esercitano nelle associazioni ed è orgogliosa e piena di speranza quando tale attività riguarda quelli che definisci "bambini strani", come lei. Durante tutta la scuola è stata ed è assistita da un insegnante di sostegno e da due anni viene accompagnata da educatrici ombra, che devono osservare come si comporta durante il tragitto fra casa e scuola, al fine di renderla autonoma senza troppi rischi. Antonella si è accorta molto in fretta di essere accompagnata da qualcuno, poiché, avendo tenuto dei comportamenti non accettabili, l'educatrice ombra era dovuta intervenire. Antonella non vuole mai restare da sola, neppure la notte, e per accettare di dormire in una stanza da sola (con le porte ben aperte) ha voluto ribadire che resta con lei l'Angelo custode Antonello: anzi non un angelo, ma due, in quanto all'Angelo custode ordinario ha aggiunto la presenza dell'Angelo di sostegno, Gabriele. Noi non osiamo sperare che si tratti dell'Arcangelo, ma preghiamo che si tratti di un Angelo specializzato, di ruolo, che garantisca la continuità anche durante le vacanze. Antonella desidera moltissimo diventare normale ed ha compreso bene , adattandola al suo caso, la favola di Pinocchio: come il burattino, alla fine delle sue peripezie, diventa un bambino in carne ed ossa, anche lei spera di riuscire a diventare normale, e per questo cerca di impegnarsi (per quel che può) contro le stereotipie e gli impulsi anomali che li provengono dalla testa.

Assume volentieri le medicine che le sono prescritte e si assoggetta di buon grado a tutti gli esami, tuttavia la sua grande speranza nel progresso della scienza consiste nell'invenzione di un caschetto, una protesi che le consenta di ragionare e di dominare le sue ossessioni e i movimenti automatici.

Sin dall'inizio del tragico peggioramento sentii il bisogno di chiedere l'aiuto e in particolare di sentire un parer autorevole su come mai la terapia che aveva funzionato così bene per venti mesi avesse perso improvvisamente la sua efficacia. La prima persona al mondo a cui potevo chiedere consiglio era il Professor Lelord, col quale iniziai una fitta corrispondenza.

Lui non si meravigliò più di tanto dell'accaduto. Fece due ipotesi: la comparsa di una tolleranza farmacologica, che poteva essere eliminata con un congruo periodo di sospensione dei farmaci o il cambiamento del substrato biologico, nel qual caso l'efficacia non si sarebbe piu ripristinata. Purtroppo fu l'ultima ipotesi ad essere confermata dai fatti. Lelord non me lo disse, ma lo imparai qualche anno dopo dalla lettura del suo libro autobiografico "L'exploration de l'autisme" che anche lui aveva osservato i casi simili. Una bambina gravemente autistica aveva risposto in modo eccezionalmente buono alla terapia con vitamina B6 e Magnesio, il miglioramento si era mantenuto per diciotto mesi, dopo di che la terapia era diventata del tutto inefficace.
Ho cercato di capire, parlando prima con Lelord, poi con altri scenziati, quale meccanismo possa essere stato responsabile prima dell'azione benefica, poi della perdita di efficacia della B6 e Magnesio. La risposta unanime e' stata che l'azione della B6 come coenzima è ad ampio spettro, in quanto interviene in sessantaquattro reazioni biochimiche e quindi non è possibile inferire dall'azione terapeutica un ipotetico meccanismo d'azione. Ci vorreberro sessantaquattro laboratori, ognuno dei quali dedito allo studio di una della reazione implicate. Stante la gravità della sindrome e la sua diffusione in ogni parte del mondo, quest'impresa mi parrebbe degna di essere aiutata.
Penso che il vero ostacolo che impedisce il decollo di una ricerca biologica che potrebbe avere tra gli altri obiettivi lo studio delle 64 reazioni sia costituito primariamente dallo scetticismo che circonda la terapia dell'autismo, nella cui storia non vi è stato mai un minimo colpo di fortuna ma solo insuccessi e delusioni. Un successo clamoroso, anche se temporaneo, genera ottimismo e invita a continuare sulla strada della ricerca, quella ricerca che negli ultimi decenni ha fatto fare progressi clamorosi in tanti campi di medicina. Si comprende quindi come il libro di Lelord, che ha dedicato tutta la sua lunga vita allo studio dell'autismo, e che è ben consapevole della gravità della sindrome, possa essere ugualmente intriso di ottimismo, di una speranza lucida e razionale, dalla prima all'ultima riga. E questo in netto contrasto con la letteratura sull'argomento che suona come una campana a morto. La regressione dei sintomi autistici a cinque anni di età equivale ad una regressione dopo cinque anni di malattia perché, nel caso di Antonella come in quelli osservati da Lelord, i sintomi, pur diversificati nelle diverse età, erano stati presenti sin dal primo giorno di vita. La regressione si è verificata pertanto dopo un lungo periodo di malattia. Ciò dimostra che il meccanismo patogeno potrebbe essere reversibile, se conosciuto ed opportunamente curato.

Quando si fa una scoperta che fa luce su qualcosa che prima era ignoto, viene talvolta da pensare: "Ma guarda come tutto è ora chiaro e semplice! Chissà perché prima non ci avevamo pensato!". Così è stato per il Morbo di Parkinson, per il quale non era prevedibile, prima della conoscenza della sua patogenesi, che persone rese statue di pietra dalla malattia potessero riprendere vita.

Sempre Lelord ricorda il miracolo da lui vissuto in prima persona quando era un giovane medico: l'avvento del Largactil rese inutili camicie di forza e trasformò dei giovani deliranti e allucinati in persone tranquille e ragionevoli. Ma l'ottimismo di Lelord non è generico, riguarda proprio l'utismo perché, avendo buona memoria, vede le analogie tra la situazione attuale dell'autismo e quella della schizofrenia prima dell'avvento dei neurolettici; avendo lui toccato con mano miglioramenti miracolosi, sebbene temporanei, anche nell'autismo, ha una motivazione razionale per pensare che il meccanismo patogeno sia reversibile, anche dopo un'azione durata molti anni.

Morale della favola..

Il caschetto che Antonella attende dagli scienziati non è un sogno impossibile, ma soltanto difficile e costoso da realizzare: ci sarebbe bisogno di 64 gruppetti di ricerca dediti a studiare per un paio d'anni gli effetti della vitamina B6 sul sistema nervoso. E' difficile spiegare a un malato grave come lei che la nostra società non riesce a trovare la cifra che sarebbe necessaria per studiare gli effetti della vitamina B6 sul sistema nervoso centrale, la stessa cifra che è disposta a pagare come ingaggio a un giocatore oppure a un attore famoso. E' ancora più difficile spiegare a chiunque la strana scelta della nostra razionale società, che non investe nella ricerca ma non si sottrae al dovere di pagare le conseguenze dell'autismo, che per il nostro Paese possono calcolarsi in 5.000 miliardi l'anno.

La storia vera è stata tratta da "Bollettino dell’Angsa" associazione nazionale genitori autistici, tel.0643587666. Via Casal Bruciato n.13 CAP 00159 Roma


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