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Assegni sociali: un’iniqua “partita di giro” ai danni degli anziani poveri

Gli effetti dell’applicazione dell’articolo 3, commi 6 e 7, della legge 335/95 (riforma Dini)

 

Mauro Perino, Direttore Consorzio Intercomunale Servizi alla Persona (CISAP), Collegno e Grugliasco (TO)

 

 

Le misure pubbliche di contrasto della povertà della popolazione anziana si fondano essenzialmente sugli interventi assistenziali dell’INPS[1] e sulle misure di sostegno economico messe in atto dai comuni attraverso i propri servizi sociali. La componente degli anziani - soli o in coppia - rappresenta, rispettivamente il 15,3 per cento ed il 13,7 per cento di quel 12 per cento di famiglie e 13 per cento di persone che - secondo il libro bianco sul welfare 2/2003 -  si trovano a vivere  in condizioni di povertà relativa. Si tratta di 8 milioni di persone ed oltre 2,5 milioni di famiglie che, nel 2000, sono caratterizzate da una spesa mensile equivalente inferiore a 972 euro[2].

Dai dati raccolti dalla Regione Piemonte[3] risultano, nel 2000, ben 5.989 persone o nuclei di anziani beneficiari di interventi di sostegno del reddito effettuati dai comuni. Questi contributi consistono in erogazioni economiche continuative finalizzate ad innalzare il reddito degli anziani  - in genere sino al massimale rappresentato dall’importo della pensione minima erogata dall’INPS (402,12 euro nel 2003) - alle quali si aggiungono, in molti casi, altri interventi di sostegno economico destinati a sopperire ad ulteriori necessità quali - ad esempio - l’acquisto di beni o il pagamento di servizi primari (alimentazione specifica, manutenzione della casa, ospitalità temporanea, pagamento di un operatore di assistenza ecc.).

Sino all’entrata in vigore della legge di riordino del sistema pensionistico (la legge n. 335/95 conosciuta come “Riforma Dini) gli interventi economici svolti dai Comuni si potevano configurare come integrativi delle pensioni sociali - di cui all’art.26 della legge 30 aprile 1969, n.153 e s.m.i - erogate dall’INPS. Dal 1 gennaio 1996 la situazione cambia radicalmente perché la legge di riforma prevede  - all’art.3, comma 6 - che anche i sussidi a carattere assistenziale erogati dai comuni concorrano alla formazione del reddito degli anziani [4] che richiedono l’ assegno sociale[5] (istituto che subentra alla pensione sociale rimasta in godimento ai soli anziani già beneficiari). In applicazione della legge di riforma si assiste dunque al seguente paradosso: agli anziani ultra65enni beneficiari di assegno sociale INPS (358,99 euro nel 2003) i comuni della Regione Piemonte erogano un contributo integrativo di 43,13 euro al fine di elevare il reddito dell’anziano al livello della pensione minima INPS (402,12 euro). Nell’anno successivo, l’INPS decurta dall’ assegno sociale il valore del contributo integrativo ed il Comune si trova costretto a maggiorare l’integrazione portando il contributo a 86,26 euro[6]. E’ evidente che, proseguendo la tendenza, il comune subentra velocemente all’INPS nell’erogazione dell’importo equivalente dell’assegno sociale (con conseguente risparmio da parte dell’INPS ed aumento di oneri a carico del comune)[7]. A corollario è bene ricordare che l’INPS potrebbe richiedere agli anziani assistiti dai servizi comunali la restituzione delle somme “impropriamente” percepite.

Ad accelerare il processo di “trasferimento delle funzioni” assistenziali dall’INPS ai comuni contribuisce il fatto che molte Amministrazioni locali, erogando specifici interventi di sostegno al reddito già dai 60 anni, permettono all’INPS di negare la concessione dell’assegno, al compimento dei 65 anni da parte dell’anziano, per superamento della soglia di reddito prevista dalla legge. Inoltre, a rendere ancor più perverso l’effetto (voluto?) del mancato raccordo tra gli enti assistenziali, è intervenuta la legge n.431/98[8] che - consentendo alle Regioni, per tramite dei comuni, di fornire contributi di sostegno per il pagamento degli affitti a cittadini a basso reddito - permetterà di “rimpolpare” i redditi degli anziani che andranno successivamente dichiarati nei modelli RED[9] dell’INPS.

L’ANCI Piemonte, il Comune di Torino ed i Consorzi socio assistenziali della Provincia di Torino hanno segnalato - sin dal giugno 2000 - l’esigenza di interventi legislativi atti ad escludere i sussidi ed i contributi economici finalizzati all’acquisto di servizi o di beni primari dal computo dei redditi personali degli anziani, ai fini della concessione/erogazione dell’ assegno sociale. Purtroppo, non solo ogni appello è rimasto inascoltato ma, a sette anni dall’approvazione della riforma Dini, viene finalmente data attuazione - con un decreto interministeriale (Lavoro ed Economia) recante la data del 13 gennaio 2003[10] - al comma 7, dell’articolo 3 della legge 335/95 che prevede una decurtazione sino al 50 per cento dell’assegno sociale nei confronti degli anziani titolari ricoverati in istituti o comunità con rette a carico degli enti pubblici.

In applicazione del nuovo decreto l’assegno sociale verrà, d’ora in poi, corrisposto:

·                                  In misura ridotta del 50 per cento quando il titolare dell’assegno sociale sia ricoverato in istituti o comunità con retta a totale carico degli enti pubblici;

·                                  In misura ridotta del 25 per cento quando la retta presso gli istituti o comunità sia a carico dell’interessato o dei suoi familiari[11] in misura inferiore al 50 per cento dell’assegno sociale.

Ne deriva, quindi, che l’assegno sociale viene erogato integralmente solamente quando l’anziano non è ricoverato con retta a carico di enti pubblici oppure quando, pur essendo ricoverato, la retta sia a carico dell’interessato o dei suoi familiari in misura pari o superiore al 50 per cento dell’assegno sociale.

E’ del tutto evidente che con il solo reddito da assegno sociale (ben 358,99 euro mensili) non vi è persona anziana che possa farsi carico di ottemperare, contemporaneamente, ai propri obblighi di mantenimento nei confronti del coniuge (anch’esso anziano) e, nel contempo, del pagamento della propria retta di ricovero in una struttura per non autosufficienti: nemmeno al netto della quota sanitaria (50/60 per cento della retta). Per queste ragioni è già prassi consolidata che i comuni si facciano carico, con fondi propri, del pagamento delle spese di ricovero. Con il decreto “taglia assegni” le Amministrazioni locali verranno dunque costrette ad aumentare la propria contribuzione in misura corrispondente alle quote di spesa risparmiate dall’INPS. Ancora una volta si evidenzia una sorta di “accanimento” nei confronti delle persone più deboli ed indifese alle quali con una mano si dà (poco) e con l’altra si riprende.

E’ ben vero che - alla luce della modifica del Titolo V° della Costituzione - spetta ai comuni farsi carico in toto delle competenze assistenziali, applicando le specifiche norme approvate dalle regioni (detentrici di potestà legislativa piena in materia di assistenza sociale). Ma è proprio la Costituzione a stabilire che, a fronte di un trasferimento di funzioni, si provveda alla contestuale messa a disposizione delle risorse necessarie ad esercitarle! 

E pensare che gli interventi assistenziali (sin qui) amministrati dall’INPS rappresentano altrettanti diritti soggettivi (gli unici) esplicitamente riconosciuti dalla legge 328/2000……

 

 

 

In “Appunti sulle politiche sociali”, bimestrale del Gruppo Solidarietà, n. 4/2003 (Via S. D’acquisto 7, 60030 Moie di Vaiolati, AN), www.comune.jesi.an.it/grusol

 



[1] Sostanzialmente attraverso le “pensioni sociali” - di cui all’art.26 della legge 30 aprile 1969, n.153 e s.m.i - e gli “assegni sociali” - di cui all’art.3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n.335.

[2] ISTAT “Rapporto annuale - La situazione del paese nel 2001” p.199

[3] Regione Piemonte: “I numeri dell’assistenza in Piemonte - i servizi sociali territoriali” 2002.

[4]Devono essere dichiarati i redditi derivanti da “Prestazioni assistenziali in denaro erogate dallo Stato o altri Enti pubblici o Stati esteri (escluse le indennità di accompagnamento per invalidi civili, le indennità previste per i ciechi parziali e l’indennità di comunicazione per i sordomuti)”.

[5] Hanno titolo a richiedere l’assegno i cittadini ultrasessantacinquenni residenti sul territorio nazionale, sprovvisti di reddito personale o coniugale nei limiti fissati dalla legge. L’assegno sociale non è reversibile in caso di decesso del titolare.

[6] Le integrazioni dei comuni sono ovviamente maggiori per i vecchi beneficiari di “pensione sociale” che percepiscono dall’INPS un mensile di ben 295,85 euro nell’anno 2003.

[7] Mauro Perino, “Avviato il trasferimento delle competenze assistenziali dell’INPS ai comuni”, FORUM - Rivista di cultura e amministrazione delle politiche sociali - n.11 Novembre 2001

[8]Legge 9 dicembre 1998, n.431 “Disciplina delle locazioni e del rilasci degli immobili adibiti ad uso abitativo”.

[9]Si tratta dei moduli inviati dall’INPS a tutti i pensionati perché dichiarino i propri redditi e quelli del coniuge. Alcune prestazioni sono pagate dall’INPS in un importo che varia in relazione all’ammontare del reddito (integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali, assegni di invalidità ecc.). I beneficiari di tali prestazioni sono tenuti per legge a comunicare i propri redditi all’INPS che, solo dopo il controllo attraverso i propri uffici, continua a pagare le somme dovute.

[10] “Assegno sociale ridotto a metà per i ricoveri pagati dallo Stato” - pubblicato su “ Il Sole 24 ore” del 14.02.2003

[11] Per quanto attiene al coinvolgimento dei famigliari nel pagamento della retta giova  ricordare il disposto del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e successive modificazioni (in particolare il decreto legislativo n. 130/2000)  che prevede non vengano considerati i redditi dei congiunti nella determinazione delle quote di contribuzione al pagamento delle prestazioni  erogate a beneficio di anziani non autosufficienti e di persone gravemente disabili.


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