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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Politiche di comunità: le reti di responsabilità, attivazione e governo*

Un approfondimento sulla riforma dell'assistenza a partire dall'analisi dei compiti e delle responsabilità dei servizi sociali, delle amministrazioni locali e delle organizzazioni del terzo settore

Mauro Perino,
Direttore Consorzio Intercomunale dei Servizi Alla Persona,
Comuni di Collegno Grugliasco (TO)


 

Responsabilità e compiti dei servizi sociali

E' da tempo evidente che i servizi socio assistenziali (oggi "sociali") hanno pochissimi strumenti per svolgere azioni dirette ad eliminare le cause che provocano le richieste di intervento. Ne consegue che la prevenzione del bisogno non può - con riferimento alle situazioni di esclusione ed emarginazione - essere una funzione primaria del settore dei servizi di assistenza sociale, ma che su di esse possono molto più efficacemente intervenire i settori del lavoro, della formazione professionale, delle pensioni, della sanità, dei trasporti ecc.

I servizi sociali svolgono, tuttavia, l'importantissimo compito di individuare non solo gli effetti dell'esclusione ma anche le cause e possono, conseguentemente, operare in senso promozionale nei confronti degli altri settori coinvolti nelle politiche sociali (specie locali) al fine di introdurre i cambiamenti occorrenti per la riduzione o l'eliminazione dei fattori che generano difficoltà e disagio sociale. Per "rimuovere e superare le condizioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita" (art. 128 del D.Lgs. n. 112/98) è assolutamente necessario che le prestazioni assistenziali (o, più modernamente, di servizio sociale) siano fornite in modo da assicurare la massima autonomia dei soggetti e, nello stesso tempo, da promuovere il corretto utilizzo delle risorse rese disponibili dal sistema delle politiche sociali nel suo complesso (casa, scuola, sanità, previdenza ecc.).

I servizi sociali di cui alla recente legge 328/2000 si configurano dunque come uno dei molteplici "servizi alla persona e alla comunità" - indicati al Titolo IV del decreto legislativo 112/1998 - chiamati ad espletare le funzioni che principalmente caratterizzano le politiche sociali attuate a livello locale ("tutela della salute", "istruzione scolastica", "formazione professionale", "beni ed attività culturali, "spettacolo" e "sport"). In merito ai "servizi alla persona e alle famiglie" la legge quadro 328/2000 mentre all'articolo 3, comma 2, afferma il carattere universalistico del sistema, all'articolo 22, comma 1, precisa che lo stesso "si realizza mediante politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita sociale".

Il contesto operativo nel quale si situano i servizi sociali è dunque quello definito dalle politiche che i comuni producono per promuovere lo sviluppo della comunità locale che istituzionalmente rappresentano. Nella definizione dell'ambito d'azione dei servizi sociali locali è dunque opportuno tener conto delle considerazioni sin qui formulate e, conseguentemente, ritengo che gli assi principali di intervento dei servizi sociali possano essere - alla luce dell'art.1, comma 1, della legge di riforma - , nell'ordine, così individuati:

- Tutela del diritto all'assistenza. Assicurando "alle persone e alle famiglie" l'accesso al sistema integrato di interventi e servizi sociali nel rispetto dell'obbligo di consentire l'accesso prioritario ai soggetti rientranti nelle condizioni previste dall'art.2, c.3, della legge quadro.

- Promozione ed accompagnamento. L'esercizio della funzione di tutela del diritto all'assistenza, sancito dall'art. 38 della Costituzione, comporta, in primo luogo, l'assunzione di compiti di promozione degli interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza nell'ambito della comunità locale. E' dunque necessario che si operi per la realizzazione di programmi intersettoriali ed integrati finalizzati a far sì che i servizi fondamentali della sanità, dell'istruzione, dei trasporti, della casa ecc., rivolti all'insieme della cittadinanza, siano organizzati in modo da rispondere al meglio anche alle esigenze delle fasce più deboli della popolazione - spesso escluse dai contesti di normalità - verso i quali vanno accompagnate.

- Concertazione. L'attività di promozione - che con la nuova legge assume una dimensione strategica anche a causa della controversa questione dell'effettivo grado di esigibilità di livelli adeguati di prestazioni e servizi - è connessa allo sviluppo della concertazione, in ambito locale, per favorire il riordino ed il potenziamento del sistema integrato di interventi e servizi sociali. La legge di riforma individua infatti nel "Piano di zona" - di norma adottato attraverso accordo di programma tra i comuni, le ASL, le ONLUS, gli organismi locali della cooperazione, delle associazioni, degli enti di promozione sociale ecc. - lo strumento per la realizzazione di programmi coordinati e per la gestione integrata degli interventi sociali e sanitari anche con il concorso delle risorse locali di solidarietà e di auto aiuto.

- Connessione. L'attività di concertazione in sede di programmazione - da sviluppare a livello orizzontale, nell'ambito della comunità locale, ma anche "verticale" nei confronti di Provincia e Regione - comporta l'adozione di una strategia delle connessioni, degli interventi realizzati dai soggetti che operano nel sistema delle politiche sociali, per favorire il continuum agio/disagio, combinando la logica di protezione con quella di promozione, ricercando un corretto equilibrio tra interventi di sostegno alle situazioni di disagio ed interventi, più complessivi, di promozione del benessere.

Infine la gestione (diretta o indiretta nelle forme previste dalla normativa) di quel complesso di attività che sino alla approvazione della legge 328/2000 definivamo (senza troppi complessi di inferiorità) socio-assistenziali. A fronte di una legge che si pone l'obiettivo generale di promuovere politiche di aiuto alla normalità della vita delle persone va infatti ribadita la specificità dei servizi di assistenza sociale che, come si è detto, occupano un campo d'azione ben definito nell'ambito del sistema locale dei "servizi alla persona e alla comunità". Occorre inoltre ricordare sempre che l'agire per il cambiamento - non solo della persona ma anche del contesto di vita e di relazione - è parte integrante e sostanziale del compito tecnico degli operatori sociali.

Responsabilità e compiti delle organizzazioni del terzo settore

La produzione legislativa degli ultimi anni ha messo in moto una serie di importanti innovazioni: la centralità del comune e della comunità locale; il cittadino al centro del sistema dei servizi; un ruolo crescente per cooperative sociali, volontariato, ONLUS, associazioni di pubblica utilità; un nuovo ruolo per le fondazioni bancarie; l'affermarsi del principio della sussidiarietà verticale dei servizi. Più in generale sono state poste le premesse per un passaggio dal welfare state al welfare community secondo il principio della stretta correlazione tra risorse e servizi.

Alla necessità di dare puntuale risposta a vecchi e nuovi bisogni si accompagna, infatti, la limitatezza delle risorse disponibili e la conseguente necessità di far sì che la comunità locale sia coinvolta appieno nel community care, che si attrezzi cioè a "prendersi cura" di se stessa. Nella fase di transizione al welfare plurale viene pertanto richiesto, a tutti i soggetti chiamati a fornire servizi alla comunità locale di operare in coerenza con il principio della stretta correlazione tra risorse e servizi. Assume dunque importanza strategica la funzione di programmazione svolta a livello locale e, in particolare, l'art.19 della nuova legge chiama in causa i comuni associati che a tutela dei diritti della popolazione, d'intesa con aziende unità sanitarie locali, provvedono, nell'ambito delle risorse disponibili, per gli interventi sociali e socio-sanitari, secondo le indicazioni del piano regionale, a definire il "piano di zona". Il Piano - individuato come strumento strategico dei comuni associati per il governo locale dei servizi - è finalizzato a programmare la rete di interventi e servizi che devono dare risposta alle problematiche espresse dalle comunità locali. Al "piano di zona" si richiede di individuare i bisogni prioritari delle persone; le strategie di prevenzione; le risorse a disposizione; i soggetti (istituzionali e non) coinvolti; i risultati attesi; gli standard operativi e di efficacia; le responsabilità di governo e di gestione, le forme di controllo; le modalità di verifica ed i criteri di valutazione degli interventi.

Non mi dilungo oltre sul "Piano di zona" se non per rimarcare l'elemento di novità introdotto dall'articolo 19 della legge che - modificando implicitamente l'art. 34 del D.Lgs. 267/2000: "Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali" - introduce la possibilità di stipulare "accordi di programma" con i soggetti di cui all'art.1, c. 4, e all'art.10 ovvero con gli organismi non lucrativi di utilità sociale, con gli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose (che abbiano stipulato accordi con lo Stato) ed infine con le IPAB. E' evidente l'importanza che questi soggetti vengono ad assumere nel sistema dei servizi se si considera che la legge di riforma prevede che gli Enti Locali riconoscano ed agevolino il ruolo del Terzo Settore non solo nella gestione - come già avviene - ma anche nella programmazione e nella organizzazione del sistema integrato che ha, tra gli altri scopi, la promozione della solidarietà sociale. Solidarietà (politica, economica e sociale) che l'art. 2 della Costituzione definisce come dovere inderogabile dei cittadini e delle formazioni sociali che essi esprimono. La considerazione che emerge da questa lettura della legge è che alle organizzazioni sociali e del Terzo Settore è richiesto un nuovo protagonismo, anche politico, non solo a livello nazionale e regionale ma anche nell'ambito della comunità locale. Queste formazioni sociali avranno la possibilità di denunciare i vuoti (antichi e recenti) di risposte sul piano delle politiche sociali e di contrastare le tendenze (presenti e future) a perseguire uno snaturamento e una strumentalizzazione del Terzo Settore in maniera funzionale allo smantellamento dello stato sociale e dell'universalità dei diritti sociali e di cittadinanza (vedi la modifica dell'art.117 della Costituzione introdotta dalla legge sul federalismo secondo la quale allo Stato compete la (sola) determinazione dei livelli essenziali concernenti i diritti civili e sociali).

Le organizzazioni sociali potranno favorire un nuovo protagonismo di cittadinanza ricostruendo conflitto sociale e negoziazione in forme diverse da quelle conosciute in passato, quando esistevano forti organizzatori della socialità e forti strumenti di rappresentanza sociale. Potranno, inoltre, lavorare per la costruzione di una democrazia diffusa a livello della comunità locale assumendosi delle responsabilità di rappresentanza, promuovendo tavoli per una assunzione condivisa delle decisioni, stimolando tutti i soggetti coinvolti a non considerarsi autosufficienti nella lettura del territorio e nell'individuazione degli interventi necessari. Ma l'assunzione di questi compiti richiede una profonda svolta culturale, in qualche modo un ritorno alle origini del movimento cooperativo. Per vincere la sfida posta dal nuovo quadro normativo è necessaria, in buona sostanza, una presa di distanza dall'adozione acritica del modello aziendale (attualmente in voga) che pone al centro la committenza pubblica e l'organizzazione e non i destinatari; che cerca di standardizzare le risposte invece di personalizzarle; che tende a lavorare solo sui bisogni qualificati oggetto della tradizionali politiche di settore (educative, socio assistenziali, sanitarie) senza porre attenzione alla dimensione territoriale della vita delle persone.

Responsabilità e compiti delle Amministrazioni locali

Come insegnano le recenti esperienze dei "Patti territoriali" per lo sviluppo economico ed occupazionale locale ed i "tavoli" per la realizzazione - mediante definizione di accordi di programma - dei piani di intervento previsti dalla legge 285/1997 non è facile costruire quello strumento fondamentale di programmazione locale che Franco Vernò chiama il "Piano regolatore dei servizi". Eppure - se si condivide il concetto che proprio nella comunità locale si esprimono, accanto ad una pluralità di bisogni, anche molteplici risorse umane, progettuali e finanziarie per la predisposizione delle risposte - appare necessaria la creazione di reti che favoriscano l'azione coordinata e regolata di una pluralità di attori, di sistemi in grado di far interagire le risorse locali e regionali di tipo economico, sociale e culturale con le opportunità offerte in sede nazionale ed europea. Fare sistema, partnership, rete negli ambiti territoriali non è però, di per sé, garanzia di sviluppo regolato e sostenibile, di coesione sociale e promozione delle opportunità. E' necessario che i comuni operino con intenzionalità politica attraverso l'adozione di una metodologia di concertazione locale che consenta di negoziare e di attivare un sistema di regole e convenienze per tutti i soggetti in gioco, puntando alla realizzazione di ogni possibile sinergia.

Il compito richiesto alle Amministrazioni è di produrre, a livello locale, legami e relazioni che promuovano processi di identificazione e contrastino la dissoluzione delle appartenenze tradizionali. Politiche di comunità, dunque, che attraverso la partecipazione favoriscano il "sentirsi parte di un insieme", di una società civile con regole comuni, da tutti rispettate e condivise, adatte a consentire una vita quotidiana più controllabile e gestibile. Nelle relazioni di comunità è infatti la fiducia l'elemento cardine per costruire reti di umanità che consentano il passaggio dalle solidarietà corte alle solidarietà lunghe. La fiducia è il bene relazionale che pone il sociale e le sue risposte alla portata delle persone e costituisce un orizzonte di senso per percorsi di vita significativi (Sergio Dugone, "Dallo stato assistenziale alla comunità solidale", Politiche sociali, n.6/99).

Al Comune in quanto governo locale spetta il compito di produrre politiche che promuovano inclusione e questo vuol dire, sul piano della programmazione territoriale, la capacità di considerare le porzioni di territorio a rischio di emarginazione e di abbandono come luoghi nei quali è possibile investire per ricomprenderli nei processi di trasformazione delle città; avendo a monte una concezione del territorio non come condizione geografica ma come ambito di vita e di relazione di individui e gruppi. Ciò richiede una progettazione partecipata che riconosca - ai soggetti ed alle organizzazioni di rappresentanza che hanno concorso alla definizione dei progetti - responsabilità diretta nella gestione degli interventi di riqualificazione, di miglioramento della "qualità del vivere quotidiano" e della sicurezza di vita in generale.

La corretta applicazione del principio di responsabilità - ribadito più volte dalla legge di riforma - comporta decentramento del potere, riconoscimento di nuove sedi di partecipazione che siano anche luogo di condivisione delle responsabilità in fase di attuazione. Ai comuni è richiesto, in sintesi, di trasformare le politiche di settore in politiche di comunità - finalizzate all'inclusione sociale - che non abbiano la presunzione di definire a priori e dall'alto tutti i possibili obiettivi ma che si sviluppino, dal basso, con una logica di tipo incrementale.

Vorrei concludere accennando al tema dei diritti. Una funzione fondamentale dello Stato sociale è, come sappiamo, di agire come regolatore nel rapporto tra diritti sociali e doveri di solidarietà. Il nuovo quadro normativo fa coincidere con l'ambito regionale e con quello locale, amministrato dai comuni, un'ampia parte della politica sociale volta alla tutela di tali diritti. Le leggi più recenti assumono infatti inequivocabilmente la scelta della sussidiarietà. E' dunque il comune in primo luogo che ha il compito di regolamentare, nell'ambito della comunità locale, il rapporto tra diritti e doveri. Ed è sempre il comune che viene direttamente chiamato a promuovere l'adozione, da parte delle regioni, degli "strumenti e procedure di raccordo e di concertazione, anche permanenti, per dare luogo a forme di cooperazione" (previsti dall'art. 8, comma 2, della legge 328/2000) tra i soggetti istituzionali preposti alla realizzazione del sistema integrato dei servizi. Per far si che questi compiti vengano espletati è indispensabile che la comunità amministrata trovi una sua identità forte, sia coesa e solidale e tutti i suoi membri concorrano a produrre le risorse necessarie ad assicurare, a livello locale, la necessaria giustizia sociale. Lo sviluppo di un'etica della responsabilità è condizione necessaria perché i diritti siano esigibili per tutti ma ognuno fruisca di ciò che è disponibile tenendo conto dei suoi reali bisogni e delle sue personali risorse.

La legge di riforma delinea un "Welfare di comunità" plurale, con poteri e responsabilità condivise. La comunità ha, in genere, molte risorse che non vengono raccolte e valorizzate, ma a volte addirittura avvilite da interventi che tendono ad accrescere la dipendenza dai servizi. Bisogna favorirne la crescita responsabilizzando i cittadini nel processo di riconoscimento e di selezione delle proprie necessità e bisogni e nella programmazione gestione e verifica dei servizi. L'applicazione della legge di riforma richiede un sistema di governo allargato, nel quale accanto alla promozione ed alla regolazione pubblica convive la co-progettazione che coinvolge soggetti pubblici, privati e del privato sociale con un esercizio di responsabilità comuni.

La qualità dei servizi alle persone e alle famiglie non può infatti compiutamente realizzarsi se non si coniugano i saperi professionali con i saperi sociali; se non si promuove una "cittadinanza attiva e competente" anche sapendo che ciò comporta l'accettazione del rischio di una sfida alle regole consolidate della partecipazione locale e di momenti di conflitto con le Amministrazioni ed i servizi locali. Tutto questo richiede tempo da dedicare e la capacità di Amministratori e tecnici di essere disponibili, di saper ascoltare, di non farsi prendere dall'ansia dei risultati. Le Amministrazioni devono inoltre riconoscere investimenti su tempi lunghi, legittimando il lavoro dei tecnici e professionisti dei servizi e delle organizzazioni sociali che operano nel territorio, non come sperimentale e di nicchia, ma come investimento strategico.

Come afferma Eleonora Artesio (Assessore del Comune di Torino con notevole esperienza in materia) "la letteratura sullo sviluppo di comunità ci ha ormai insegnato che se si dedica sufficiente tempo ed ascolto a capire il problema, la soluzione nasce dal rapporto che si è stabilito per capire quel problema". Le soluzioni non vengono dunque soltanto dalle capacità di chi analizza il problema ma soprattutto dal processo che si è costruito per risolverlo.

*Relazione al Seminario "Assistente Sociale, Assistente Domiciliare, Educatore Professionale", "Bottega del Possibile" - Torre Pellice 10/11 maggio 2001.


In Appunti sulle politiche sociali, n. 5/2001, in corso di pubblicazione

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