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«Così guardiamo all'Europa»

da www.superabile.it

Parla Pietro Barbieri, presidente della Fish, a pochi giorni dal Congresso della Federazione. Un appuntamento preceduto da un seminario di lavori, il 29 e 30 novembre, preparatori dell'Anno europeo per la disabilità

di Mariateresa Marino

A ridosso del Congresso della Fish, previsto per il 1 dicembre, SuperAbile.it ha incontrato Pietro Barbieri, presidente della federazione che raccoglie circa quaranta tra associazioni e organismi regionali. La cultura dell'inclusione sociale, la garanzia di pari opportunità per tutti i cittadini, le nuove politiche sociali e la questione delicata della rappresentanza delle associazioni di fronte al mondo politico e alla società civile: questi alcuni dei temi affrontati nel colloquio, senza trascurare gli argomenti legati all'Anno europeo per la disabilità, al Congresso e un pizzico di 'gossip' sulla vita privata del presidente della Fish.


Presidente Barbieri, partiamo dall'acronimo della sigla Fish, Federazione italiana superamento handicap. Come sta crescendo, se sta crescendo, negli ultimi anni la cultura del superamento della disabilità e della vera integrazione?


L'handicap rappresenta l'ostacolo che si frappone tra la persona e la sua partecipazione alla vita. Noi siamo nati nell'ottica di rendere sempre meno ingombrante questo ostacolo, migliorando progressivamente la qualità della vita delle persone disabili. In questi anni abbiamo ottenuto molte vittorie, ma anche qualche sconfitta. Tra le vittorie vale la pena di ricordare l'acquisizione di una migliore capacità di dialogo e confronto con le istituzioni e la società civile.Questo ha portato alla realizzazione della I Conferenza nazionale sull'handicap e alla sua seconda edizione, prevista per il mese di febbraio: un momento importante di confronto fra tutte le parti sociali e istituzionali per costruire insieme il nuovo percorso su cui si muoverà nel futuro il superamento dell'handicap.
Come non ricordare, poi, le leggi 68/99 sul collocamento mirato, la 162 sulla vita indipendente e la 328 di riforma dell'assistenza?

Parlando invece di sconfitte, devo fare un 'mea culpa' generalizzato, che riguarda la nostra incapacità di fare pressione sul tema del diritto alla mobilità, che paradossalmente è stato tenuto fuori da tutte le più recenti battaglie politiche, non ultima quella sulla Finanziaria. Infatti, nella manovra economica del 2003, la legge 13 non è stata rifinanziata.

Non riusciamo, e questo è un nostro limite, a tenere alta la tensione politica su questo tema, forse perché non abbiamo trovato un giusto metodo di interlocuzione con il ministero delle Infrastrutture, mentre con gli altri dicasteri ci siamo riusciti meglio. Dobbiamo investire maggior energie in questa battaglia.


Nel percorso di crescita della Fish, ci sono stati dei 'passi falsi', degli errori, sia nell'ambito della partecipazione interna sia in quello della rappresentanza esterna, che avrebbe voluto evitare?


Non voglio apparire presuntuoso, se dico che la Fish ha sempre avuto una capacità insperata di restare unita, sia a livello interno, sia a livello di rappresentanza esterna. Siamo passati in pochi anni da 13 associazioni a 30 di oggi, più 10 tavoli di federazioni regionali, e sempre il consenso alle azioni della Fish si è misurato con un rigoroso metodo democratico di discussione e di confronto interno. Non siamo certo 'bulgari', ma abbiamo costruito in questi anni una buona base di argomenti e lotte condivise. Tuttavia qualche limite c'è.

Penso alle realtà locali e alla difficoltà di aggregarle. La frammentazione territoriale esiste, dovuta a vari motivi, antipatie personali, interessi specifici di questa o quella associazione, problemi di ordine politico. Capita che gli interlocutori istituzionali non siano sempre gli stessi e questo disaggrega alcuni fronti di battaglia.

Il secondo limite che riscontro nella nostra storia recente è legato, in un certo senso, ad una nostra vittoria: aver costruito un importante dialogo con tutte le forze politiche, ma senza consolidarlo. Questa è stata anche un po' una scelta, perché non aspiriamo ad avere alcun riconoscimento politico, né vogliamo attaccarci al carro di nessuno.

Ma quello che io sento come un problema molto forte e a cui non abbiamo trovato finora una soluzione efficace è il rapporto con le associazioni che rappresentano gli Enti locali. Parlo dell'Anci, della Conferenza Stato-Regioni. Un rapporto sporadico, saltuario e poco produttivo.
Devo dire, però, che la mancanza di volontà si registra più da parte di questi organismi, che evidentemente non hanno ancora ben chiare le metodologie e gli strumenti per parlare con noi.I comuni, per esempio, stanno sviluppando da poco tempo un processo di unificazione dei criteri di intervento sociale; in questo le Regioni sono più navigate, ma non riescono a far avere delle ricadute positive sulle piccole realtà. Colpa, forse, di un federalismo ancora rabberciato, incerto.


Non le sembra che oggi il mondo dell'associazionismo, e delle federazioni in particolare, si adagi su posizioni politiche precise, perdendo la sua funzione, per così dire, di 'grillo parlante' sui temi forti dell'integrazione dei cittadini disabili? Anche alla Fish più volte è stata mossa l'accusa di rappresentare solo le idee della sinistra storica.


L'accusa mossa alla Fish è sempre stata quella di essere una 'creatura' dell'ex ministro Livia Turco e dei suoi collaboratori. Niente di più lontano dalla realtà. Altra cosa è che molti dirigenti della Federazione si ritrovino personalmente in una determinata posizione politica, ma questo è un fatto distinto e separato da tutto il resto.

La Fish opera su un piano superiore ; prova ne è il fatto che abbiano avuto difficoltà di dialogo sia con il governo di centro sinistra sia con l'attuale. Con entrambi gli schieramenti siano riusciti ad avviare un confronto costante solo dopo un anno dal loro insediamento. Anzi, dirò di più: con l'attuale Governo abbiano ottenuto di recente dei risultati importanti, come l'emendamento dell'articolo 22 (ora 25) relativo alla scuola, in Finanziaria. E questa non è una vittoria di sinistra, ma una risposta ai bisogni degli studenti disabili. Ridurre tutto ad una questione di politiche di parte, non fa un buon gioco alle battaglie sociali. Strumentalizzare politicamente le nostre lotte, ha solo un effetto disaggregante delle nostre azioni.

Da più parti, soprattutto in tempi recenti, si accusa il Governo di essere poco attento alle politiche sociali e all'evoluzione del Welfare moderno. Ma in queste accuse, quanto pesa l'immobilismo e l'acquiescenza di una parte del mondo dell'associazionismo e la tendenza a misurare l'efficacia delle politiche solo sul barometro dell'economia, piuttosto che su quello della cultura?

L'acquiescenza e le politiche governative sono due argomenti che riguardano il metodo di approccio ai problemi e alle richieste da parte di alcune realtà associative. Per intenderci, la differenza tra noi e le cosiddette 'storiche' consiste nel principio che i diritti vanno garantiti dallo Stato e non dalle associazioni.

Le grandi organizzazioni hanno una visione 'pensionistica', ovvero meramente indennizzabile della disabilità. Noi, vuoi per cultura o per storia o per bagagli di esperienze personali maturati, abbiamo una visione più globale sulla certezza dei diritti, dove la ragione economica pesa, ma non prevale.
La nostra storia è basata sull'idea della 'presa in carico totale' del disabile e non sul 'quanti soldi mi dai'. Sono differenze importanti, sulle quali però ci stiamo confrontando. E su questa strada devo dire che anche le 'storiche' si stanno muovendo di più, stanno scendendo in piazza e fanno sentire la loro voce. Ricordiamo la manifestazione dell'Ens di qualche settimana fa o quella dell'Anmic, in programma per il 27 novembre.

Siamo alla vigilia dell'anno europeo della disabilità. Quali sono i vostri programmi? E di cosa discuterete al Congresso del 1 dicembre ?

Il Congresso sarà preceduto da un seminario di lavori previsto per il 29 e 30 novembre. Il tema della discussione sarà quello della non discriminazione e del diritto al lavoro, alla luce della direttiva europea 78 del 2000, non ancora ratificata dal Governo. Sarà una riflessione interna alla nostra federazione, ma anche esterna con rappresentanti istituzionali e delle parti sociali, fermando l'attenzione soprattutto sull'inserimento lavorativo dei disabili più gravi, quelli che non possono produrre reddito.

Così, dunque, cominceremo a parlare di Europa e di Anno europeo per la disabilità.Il Congresso sarà invece un momento di confronto, oltre che su questioni interne, anche sulle novità statutarie.
Penso all'ideazione di una rete e di una sinergia più efficace tra azioni a livello europeo, nazionale e locale. Un lavoro che tenga conto anche della necessità che i messaggi di inclusione sociale arrivino dritti al cuore della comunità civile e che le 'buone pratiche' diventino l'unico segno che dia conferma di un lavoro svolto, di un impegno costante da parte di tutti per garantire pari opportunità a tutti i cittadini.

Le è mai venuta voglia, in un impeto di sano egoismo, di vivere in un mondo in cui siano i cosiddetti 'normodotati' ad essere minoranza discriminata? Un po' la situazione paradossale narrata nel romanzo 'La contea dei ruotanti' di Franco Bomprezzi….

Io ho avuto un incidente a vent'anni e da allora sono in carrozzina. Conosco bene, dunque, sia il mondo dei normodotati sia quello dei disabili. Ogni tanto, ammetto, mi dico che sarebbe bello tornare a far parte del primo mondo e poter camminare sulle mie gambe.
Ma quello che più mi stuzzica la fantasia è far vivere per una settimana in carrozzina i 600 parlamentari, in modo che comprendano veramente cosa significa barriera architettonica, discriminazione, assistenza e così via.

Non è una provocazione politica, ma semplicemente una presa di coscienza, un volersi mettere 'nei panni di'. Una regola, questa, che dovrebbe condurre ogni nostro comportamento, ma che nel caso della dsabilità può avere una valenza particolare.

Sappiamo che da poco si è sposato. Quanto c'è del Barbieri 'battagliero' tra le mura domestiche?

Quasi nulla, anche perché a casa ci sto poco e quando ci sto mi preoccupo delle incombenze familiari o semplicemente mi rilasso. Devo dire che l'esperienza del matrimonio ha cambiato radicalmente la mia vita. Prima, vivendo in famiglia e potendo contare sulla continua presenza di mia madre, non dovevo preoccuparmi di nulla. Adesso, invece, devo fare la spesa, annotare le commissioni, pagare le bollette, fare quello che fa un qualsiasi marito.
Ho recuperato, insomma, una buona fetta di normalità e questa, di per sé, è già una bella sfida.

(21 novembre 2002)


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