Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Giovanni Maria Flick

La dignità nella Costituzione Italiana

Roma, Teatro Sacri Cuori di Gesù e Maria – mercoledì 26 maggio 2010

 

 

     Riflettere sul valore della dignità umana - che, in certo qual modo, riassume tutti gli altri valori contenuti nella Costituzione italiana - è uno dei modi per prepararsi alla celebrazione dell’Unità; perché all’affermazione della dignità (di ogni persona; non dei soli cittadini italiani) affianca il principio della Repubblica «una e indivisibile» (articolo 5). Si coglie così il legame profondo tra Risorgimento, Resistenza, Liberazione, e la Costituzione che è il risultato di tutto questo.

     L’affermazione dell’articolo 5 è fondamentale per il nostro Paese. Riaffermare in Costituzione il percorso unitario del nostro “farci Nazione” ha rappresentato il riscatto dalla  deriva nazifascista, che per venti mesi aveva condotto alla separazione di una parte dell’Italia. E ha posto un argine insuperabile - lo ha ricordato qualche mese fa lo stesso Presidente della Repubblica - per le tendenze separatiste in Sicilia e le spinte centrifughe alimentate dalla sconfitta, nelle regioni di confine a Nord e a Est.

     Tendenze e spinte controbilanciate dalla saggezza istituzionale e politica dei Padri costituenti, che seppero trovare un punto di equilibrio fra le istanze unitarie e quelle di autonomia locale. In un primo momento la dimensione regionale venne concretamente realizzata solo nelle regioni a statuto speciale (nelle quali era urgente contrastare il separatismo più spinto) rinviando a oltre 20 anni dopo l’attuazione del regionalismo ordinario - pur previsto in Costituzione - rafforzato con le modifiche costituzionali degli anni 2000 e tuttora oggetto di prospettive di revisione.

     Per tante ragioni l’affermazione dell’unità è tuttora essenziale: afferma l’identità e il ruolo dell’Italia nel processo di integrazione europea, consentito (senza bisogno di modifiche costituzionali) dalla preveggenza dell’articolo 11 della Costituzione, e oggi rafforzato dalle modifiche all’articolo 117; consente di affrontare senza timori (ma con prudenza e con un punto fermo, insuperabile) l’evoluzione dell’autonomia prevista dagli articoli 118 e 119, di cui è un esempio importantissimo il cosiddetto “federalismo fiscale”, ora in corso di elaborazione. Una riforma che riporta in primo piano la divaricazione e lo squilibrio fra Nord e Sud, il «più grave dei motivi di divisione e di debolezza che hanno insidiato e insidiano la nostra unità nazionale» (per dirla ancora con le parole del presidente Napolitano), ma anche il tema della solidarietà, altro valore costituzionale fondamentale, come la pari dignità sociale - oggetto del nostro incontro - di cui la solidarietà è condizione e strumento insostituibile.

*

     Un dibattito politico appassionato e di altissimo livello, fra tre grandi correnti politiche e ideali, di ispirazione cattolico-democratica, social-comunista e liberal-democratica, diede vita al “compromesso elevato” della Costituzione, realizzato tra il 2 giugno 1946 e il 31 dicembre 1947 dall’Assemblea Costituente. Quelle stesse forze politiche avevano dato corpo alla lotta contro il nazifascismo, dopo l’armistizio dell’Italia con le potenze alleate nel 1943, al termine di una guerra voluta e perduta.

     La Costituzione significa il rifiuto di ciò che il fascismo aveva incarnato: la compressione delle libertà civili e politiche e del pluralismo politico, il totalitarismo di Stato, il bellicismo, il razzismo; ed è espressione del “patriottismo condiviso” nato dalla Resistenza e dalla lotta per la liberazione dal nazifascismo. La premessa e la prima parte contengono i princìpi fondamentali e i diritti e doveri dei cittadini: un impegno comune, nonostante le differenze politiche, ideologiche e culturali nell’interno dell’Assemblea costituente.

     I princìpi democratico, lavorista, personalista, pluralista, di solidarietà, di uguaglianza e pari dignità sociale, di laicità e pacifista - sui quali si fonda la nostra Costituzione e nei quali si radicano i diritti e i doveri che essa prevede e riconosce - sono patrimonio di tutti, ed esprimono l’essenza della condizione umana. Princìpi profondamente attuali, anche di fronte alle contraddizioni e alle inquietudini originate dalla globalizzazione. Il tempo non ha indebolito il significato della prima parte della Costituzione. Anche perché le previsioni costituzionali sono così ampie e ben scritte, da includere valori nuovi, impensabili al momento della sua adozione (come la privacy, l’ambiente, l’adesione alla prospettiva sovranazionale europea e il riconoscimento della concorrenza e del mercato). L’esasperazione della dimensione economica e del mercato, caratteristica della globalizzazione, giustifica ampiamente l’ottica “sociale” di tutela della persona e del lavoro, propria della nostra Costituzione (basti pensare allo scandalo attuale e ricorrente delle morti sul lavoro e del “lavoro nero”, o alla disoccupazione).

     Le poche rughe che la Costituzione ha mostrato si trovano nella seconda parte, che riguarda l’ordinamento della Repubblica, il funzionamento delle istituzioni e i rapporti tra loro. Ogni dibattito sulle opportune e necessarie revisioni di questa parte deve trovare il suo fondamento nella consapevolezza che la Costituzione la lega strettamente alla prima e ai princìpi fondamentali. L’organizzazione dei pubblici poteri non è infatti estranea ai diritti fondamentali, attuati e garantiti nella prima parte. Per questo è bene che ogni modifica del patto costituzionale sia frutto di un accordo ampio, che superi le contrapposizioni politiche; perché la Costituzione non può essere modificata a colpi di maggioranza.

     A queste condizioni, io credo che alla nostra Costituzione si possa guardare non solo con gratitudine, per i sessant’anni di libertà, democrazia e progresso che il nostro Paese ha potuto trascorrere anche grazie ad essa; ma altresì con speranza e fiducia, come progetto almeno per i prossimi sessant’anni.

*

     La pari dignità sociale, nell’articolo 3 della Costituzione, salda fra loro l’eguaglianza formale (di fronte alla legge) e la parità sostanziale; riassume i princìpi contenuti nella “tavola di valori” della nostra convivenza, attualissima nonostante il tempo decorso; manifesta il legame inscindibile fra quei princìpi.

     La dignità - al di la dei tanti significati che può assumere; alcuni dei quali non privi di astrattezza e ambiguità - è un ponte per superare contraddizioni, lacune, difficoltà della condizione umana. Esprime tensione ideale e grandi potenzialità; ha la capacità di riconoscere le esperienze del passato, senza deludere le aspettative del presente e del futuro.

     Veniamo da un passato nel quale il riconoscimento e la tutela dei diritti umani erano affidati agli Stati nazionali. Eppure le violazioni di quei diritti sono state reiterate, macroscopiche e devastanti, fino a culminare nella seconda guerra mondiale: le armi di distruzione di massa; il coinvolgimento generalizzato dei civili; soprattutto, la shoah.

     Per questo, da quel “crogiolo ardente” (come lo definì uno dei padri costituenti, Giuseppe Dossetti) nacquero l’internazionalizzazione del diritto costituzionale, il riconoscimento della persona sulla scena internazionale, la tutela giudiziaria sovranazionale dei diritti umani, l’ingerenza umanitaria. Soprattutto, nacque l’esigenza di affermare la dignità della persona, nelle dichiarazioni sovranazionali e nelle costituzioni nazionali.

     Viviamo un presente nel quale l’aggressione alla dignità umana - sotto forme nuove, ma sempre uguali - è incombente. Basta guardare alla crisi globale, ai suoi effetti sui livelli di povertà, individuali e collettivi, e sul diritto-dovere al lavoro, premessa della dignità secondo la nostra Costituzione. Basta guardare ai crescenti assalti all’Europa, “fortezza del benessere”, da parte di una immigrazione di massa in fuga dalla fame, la sete, la guerra. Nel Mediterraneo, al di là dei discorsi sulle forme e i limiti in cui si esercita il diritto degli Stati al respingimento e alla tutela della sicurezza, rischia di naufragare - con i migranti, le loro speranze e la loro dignità - anche la tradizione europea di accoglienza e sensibilità per i diritti umani.

     Andiamo verso un futuro di insidie per la dignità, non meno preoccupanti di quelle tradizionali e sempre presenti, come il razzismo e l’intolleranza; penso agli abusi nella gestione delle informazioni sensibili, e agli eccessi della tecnologia medica. Il terrorismo globale - massima espressione del disprezzo per i diritti umani - minaccia di essere sempre più coinvolgente e fanatico; ma, in nome della sicurezza e del contrasto al terrorismo, anche la soglia di rispetto dei diritti fondamentali della persona si abbassa sempre più.

     Leggere il passato, il presente e il futuro attraverso le lenti della dignità, regala margini di speranza, perché consente di coglierne la perenne attualità e la stabilità del suo nucleo fondamentale; ma anche di riflettere sulla moltiplicazione degli ambiti in cui ne viene richiamato il rispetto; di trarre, dalla lezione della storia, indicazioni per affrontare le nuove istanze. La dignità contiene l’essenza della condizione umana, la sua immutabilità; ma altresì il suo realizzarsi in una continua evoluzione, il doversi confrontare con sempre nuove possibilità di offesa ed esigenze di tutela.

*

     La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (di cui abbiamo celebrato il sessantesimo anniversario due anni fa, insieme a quello della Costituzione italiana) ci ricorda che «tutti gli esseri umani nascono eguali in dignità e diritti», e come tali hanno diritto e dovere al rispetto reciproco. All’uguaglianza si affiancano immediatamente le differenze oggettive e ineliminabili di cui ciascuno è portatore. Queste ultime contribuiscono a formare la sua identità; sono fonte di arricchimento e di stimolo; esprimono il pluralismo e il personalismo: valori non meno importanti dell’eguaglianza.

     L’apparente contraddizione tra eguaglianza e diversità si risolve appunto nell’affermazione e nel riconoscimento della pari dignità: le differenze non possono rappresentare ostacoli insuperabili, ovvero giustificare condizioni di inferiorità, sopraffazione, discriminazione. Gli ostacoli vanno affrontati e rimossi dalla Repubblica (cioè da tutti noi, non solo dalle istituzioni), per consentire la libertà e l’eguaglianza di ciascuno (non solo dei cittadini: delle persone) e il pieno sviluppo della persona umana: per realizzare, appunto, la pari dignità sociale.

     In tal modo la dignità fa giustizia della pretesa - troppo frequente - di utilizzarla come pretesto per imporre comportamenti e conformismi generalizzati; o per non rispettare il diritto di ciascuno alla diversità e al dissenso, in ultima analisi alla sua identità e libertà. Sempre che, beninteso, la libertà si esprima nel rispetto dell’altrui dignità e dei “valori condivisi” (quelli affermati dalla Costituzione), posti a presidio della civile convivenza.

     La stretta connessione fra gli articoli 2 e 3 della Costituzione evidenzia un ulteriore aspetto della pari dignità: l’essere un ponte fra i diritti inviolabili e i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. L’azione di contrasto agli ostacoli che impediscono la concretezza e l’effettività della pari dignità sociale, si realizza solo mobilitando il valore costituzionale della solidarietà, altrettanto essenziale. Assieme alla reciprocità fra diritti e doveri, la solidarietà esprime il bisogno di coesione nella comunità, che trova soddisfazione nell’apporto reciproco, nella socialità, nella solidarietà.

     Infine, la pari dignità lega i molteplici diritti umani e rappresenta il parametro per attribuire contenuto specifico e concreto a ciascuno di tali diritti. In questo modo va interpretata e attuata la Costituzione italiana. In modo ancor più esplicito - per evidenti ragioni di storia e coscienza collettiva, dopo la shoah - la Costituzione tedesca e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea pongono la dignità umana in apertura, come valore generale e premessa di tutti i diritti.

La Costituzione italiana pone la dignità come indice di concretezza dell’eguaglianza (affinché non resti soltanto formale); la richiama esplicitamente come parametro della retribuzione e come limite alla libertà di iniziativa economica; lo fa in modo implicito a proposito della libertà personale, della responsabilità penale, del diritto all’autodeterminazione sanitaria (per citare alcuni tra i riferimenti più importanti).

     Il diverso approccio costituzionale alla dignità, non si traduce in una diversa gerarchia di apprezzamento. Anche nella Costituzione italiana la dignità esprime la saldatura fra eguaglianza, libertà e solidarietà; riassume e concretizza gli altri valori costituzionali e coglie il legame fra i diritti fondamentali, sottolineandone l’universalità, l’indivisibilità, l’effettività.

     Quanto all’universalità, la pari dignità esprime la necessità che quei diritti siano riferibili a ciascuna persona, per la comune condizione umana e non per il possesso della cittadinanza; e che siano condivisi da tutti, nonostante la ben nota difficoltà di individuarne il livello di condivisione, e soprattutto di assicurarne il mantenimento. Questo prescinde dalle peculiarità (e dalle identità) locali, culturali, politiche, ideologiche, religiose, sociali, etniche, di cui sia portatore ciascun singolo, gruppo, comunità. Lungo la storia, e non di rado ancor oggi, una malintesa affermazione di tali peculiarità ha voluto scorgere nei diritti fondamentali un coefficiente di separazione e sopraffazione, anziché di unità.

     Quanto all’indivisibilità, la pari dignità esprime la necessità - per lo sviluppo della personalità di ciascuno - di non introdurre separazioni arbitrarie fra diritti civili e politici, sociali, economici, come testimonia l’articolo 2 della Costituzione con il richiamo alla solidarietà politica, economica e sociale. Restano fermi, ovviamente, i diversi spazi di riconoscimento, ampiezza e tutela di quei diritti, al di sopra di una soglia minima e incomprimibile, individuata appunto dalla pari dignità.

     L’effettività reclama l’attuazione, la garanzia, la giustiziabilità dei diritti fondamentali, al di là della loro proclamazione. La prima condizione per raggiungere un simile risultato e quindi la pari dignità - particolarmente in tema di diritti sociali - è rappresentata dalla solidarietà.

*

     L’impegno ad attuare i diritti fondamentali non riguarda soltanto la dimensione statale e sovranazionale, come finora è avvenuto: deve coinvolgere anche, e prima ancora, la dimensione locale. L’effettività dei diritti - di fronte alle innumerevoli situazioni di “minorità” e di povertà - deve fare i conti soprattutto con il territorio, quindi con il principio di prossimità, che a sua volta si realizza nella cosiddetta sussidiarietà orizzontale.

     La pari dignità sociale, insomma, si ricollega esplicitamente alla sussidiarietà orizzontale (quella della società civile e del c.d. terzo settore), ribadita - non introdotta ex novo - dall’art.118 della Costituzione riformato nel 2001, dov’è collocata a fianco della sussidiarietà verticale (quella istituzionale).

     Riflettere, in tempo di crisi, sulla pari dignità è un’occasione per reagire e per superare le paure che ci turbano: ad esempio, per tenerne conto al momento di definire nuovi modelli e regole di comportamento - guardando anche al privato-sociale e all’impresa sociale - nel rapporto tra imprese e consumatori, tra finanza e investitori, tra credito e risparmio. È un’occasione per superare le contrapposizioni tra Stato e mercato, tra pubblico e privato, che hanno “giustificato” lacune e dimenticanze di ciascuno di questi mondi in tema di diritti fondamentali. È, infine, un’occasione per rafforzare gli spazi di intervento sul territorio, utilizzando come una leva il mix di sussidiarietà orizzontale e verticale. Il coinvolgimento del territorio nell’attuazione dei diritti è il modo migliore per radicarli, perché vengano assimilati anche sul piano culturale e del consenso sociale, anziché essere percepiti come forme di assistenzialismo o, peggio, come sprechi da sottoporre a tagli e riduzioni. Alla lunga: anche in tema di diritti, l’impegno e il controllo (da parte) del territorio accrescono la sicurezza. Perfino i meno sensibili alle questioni dei diritti umani dovrebbero trarne buone ragioni per investire sulla dignità.

*

     Abbiamo parlato di dignità prendendo le mosse dal ricordo di una tra le prime e più significative tappe dell’Unità italiana. Il 25 aprile abbiamo ricordato la Liberazione nata dalla Resistenza, con cui l’Italia è stata riunificata e da cui è sorta la Costituzione. Il 2 giugno ricorderemo la Costituzione, di cui due anni fa abbiamo celebrato il sessantesimo anniversario, e la Repubblica nata dal referendum popolare del 2 giugno 1946, lo stesso giorno in cui fu eletta anche l’Assemblea costituente che avrebbe scritto la Costituzione. E ci prepariamo a celebrare il 150° anniversario dell’Unità di Italia, dal quale ho iniziato queste riflessioni.

     Qualcuno dirà che abbiamo troppe memorie, e troppe occasioni di celebrazione retorica. Forse: ma dobbiamo sempre ricordare che dal Risorgimento sono nate l’unità e l’individualità d’Italia; dalla Resistenza al fascismo sono venute la libertà e la riunificazione del popolo italiano; dalla libertà e dall’unità è sorta la Repubblica e si è alimentata la democrazia; alla Costituzione democratica e antifascista è stata affidata la proclamazione di questo principio; su questo principio la Costituzione fonda i suoi valori fondamentali, fra cui l’eguaglianza, la dignità e la solidarietà, l’affermazione dei diritti e dei doveri.

     Troppe memorie? Sta a noi fare di esse un’unica memoria condivisa, e non sprecarla: anche perché dovremmo almeno imparare, da quella memoria, che senza solidarietà non ci possono essere né eguaglianza, né dignità; ma senza unità e senza coesione non ci può essere solidarietà.


La pagina
- Educazione&Scuola©