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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Diritti e servizi sociali nel nuovo titolo V della Costituzione

di Elena Ferioli  Studi Zancan n. 2/2003

 

Com'è noto, alla fine del 2001 è entrata in vigore la legge costituzionale n. 3/2001, di revisione del titolo V, II parte, della Costituzione.

Si tratta di un testo stralciato dal progetto di revi­sione dell'ordinamento costituzionale elaborato dalla Commissione bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema, i cui lavori si erano arenati definitivamente, per contrasti sorti tra le forze di maggioranza e quelle di opposizione, nel giugno del 1998.

Tra le ragioni, non solo squisitamente politiche, che hanno portato all' approvazione della legge n. 3/2001 vi è stato, come si legge nella relazione parla­mentare di accompagnamento al disegno di legge co­stituzionale, l'intento di apportare modifiche a istituti che risentivano di una concezione «centralista» della forma di stato italiana, e in generale quello di «adegua­re l'ambito delle competenze regionali, tanto legislative quanto amministrative, alla nuova impostazione che l'ordinamento si è dato a seguito della legge n. 59 del 19971» la quale, attribuendo alla competenza ammini­strativa delle autonomie territoriali anche le materie di competenza legislativa statale, richiedeva per così dire una legittimazione a livello costituzionale.

Uno degli aspetti centrali della riforma è rappre­sentato, come noto, dal capovolgimento dell'originario impianto costituzionale di ripartizione delle compe­tenze legislative tra stato e regioni. Allo stato, infatti, è riservata la potestà esclusiva e quella concorrente con le regioni in un elenco espresso di materie, mentre «spetta alle regioni la potestà legislativa in riferimento a ogni materia non espressamente riservata alla legisla­zione dello stato 2». In quest'ultimo caso, previsto dal quarto comma del nuovo testo dell'art. 117 della Co­stituzione, le regioni sono titolari di una potestà legi­slativa «di tipo primario, ossia non limitata dai principi fondamentali della legislazione statale, ma soltanto dal rispetto della Costituzione, dell' ordinamento comuni­tario e degli obblighi internazionali3». Da qui la classi­ficazione di questa nuova competenza legislativa re­gionale come piena o esclusiva. Non può sfuggire quindi il fatto che, come è stato efficacemente sottoli­neato, l'introduzione di tale potestà rappresenta «uno dei punti cardini della riforma, un punto davvero di grande portata» (Falcon G., 2001), posto che in virtù di essa si introduce a favore delle regioni ordinarie una nuova tipologia di competenza legislativa, sciolta dal­l'obbligo di osservare i principi fondamentali stabiliti dalla legge statale, obbligo che riguarda specificamente soltanto l'elenco dettagliato di materie indicate nell'art. 117, terzo comma, della Costituzione.

Per quanto riguarda il settore dell'assistenza socia­le, tale materia non compare né nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello stato, né nelle mate­rie di competenza concorrente, dovendo quindi con­cludersi che, in base alla nuova disciplina costituziona­le, l'assistenza sociale appartenga oggi all'ambito delle materie di competenza legislativa regionale primaria. Ne deriva che le regioni saranno d'ora in poi sciolte dai limiti posti in precedenza alla loro attività legislati­va in materia socio-assistenziale. Ciò significa che l'ambito di attuazione per via legislativa del diritto al­l'assistenza sociale previsto espressamente dall'art. 38 della Costituzione viene in pratica completamente re­gionalizzato, e che spetterà d'ora in poi esclusivamente alle regioni la predisposizione di quelle strutture nor­mative e organizzative indispensabili per l'erogazione delle prestazioni socio-assistenziali. Le regioni potran­no quindi compiere scelte più autonome in ordine alle modalità con cui disciplinare il sistema dei servizi so­ciali e garantire il soddisfacimento di tale diritto sociale all'interno dei propri territori. Uno dei settori classici delle politiche sociali, quello socio-assistenziale, viene dunque lasciato alle decisioni e alle scelte dei governi e dei legislatori regionali, i quali non saranno più vinco­lati all'osservanza dei principi fondamentali e degli in­dirizzi indicati dallo stato.

Vi sono tuttavia nel nuovo ordinamento costitu­zionale altre tipologie di potestà statali idonee a influi­re direttamente sull'autonomia legislativa regionale in ambito socio-assistenziale e sulle modalità di attuazio­ne e tutela del diritto all'assistenza sociale. Ci si riferi­sce, in particolare, alla (già molto commentata) compe­tenza dello stato per la «determinazione dei livelli es­senziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» prevista nell'art. 117, secondo comma, letto m. Si tratta di una previsione posta, evidentemente, a garanzia dell'effettiva tutela dei diritti sociali e del principio di uguaglianza sostanziale tra gli individui, te­sa cioè a impedire che la nuova autonomia riconosciu­ta alle regioni si traduca in forti disuguaglianze territo­riali nelle prestazioni sociali e in contenuti deteriori della cittadinanza sociale dovuti unicamente al luogo di residenza. È quindi essenzialmente a questa norma che è destinato il compito di realizzare un equilibrio tra le ragioni dell'autonomia e quelle dell'unità, tra le esigenze della differenziazione e quelle dell'uniformità, nell'ambito di quelle materie, come l'assistenza sociale, in cui le competenze legislative e amministrative fina­lizzate all'attuazione del diritto sociale sono decentrate verso regioni ed enti locali.

È evidente quindi che gran parte dell'effettiva portata innovativa della riforma costituzionale nel set­tore dell'assistenza sociale si gioca sulle modalità con cui verrà interpretata la disposizione costituzionale in questione e concretamente esercitata dallo stato. La nozione di livelli essenziali e l'effettiva portata di tale competenza statale meritano, pertanto, una riflessione più approfondita.

 

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l Relazione parlamentare degli onorevoli A. Soda e V. Cerulli lrelli, Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati al disegno di legge (ddl) costituzionale n. c. 4462 e altri, 1.

2 Ddl costituzionale n. c. 4462 e altri, art. 3.

3 Relazione parlamentare degli onorevoli A. Soda e V. Cerulli Irelli, Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati al ddl costituzionale n. c. 4462 e altri, 3.

 

 

I livelli essenziali di assistenza nella legislazione ordinaria precedente alla riforma del titolo V della Costituzione

 

Il concetto di «livelli essenziali» delle prestazioni è già stato utilizzato dal legislatore ordinario nel d.lgs n. 229/1999 sulla riforma sanitaria e anche nella legge quadro sull'assistenza sociale (Foglietta F. e altri, a cu­ra di, 2001). L'utilizzo di tale nozione in entrambi i provvedimenti suddetti è strettamente correlata alla fi­nalità di assicurare un sistema di tutela della salute e dei bisogni socio-assistenziali appropriato ed efficace, capace di garantire in ogni territorio prestazioni uni­formi e sostenibili dal punto di vista della spesa sanita­ria e sociale. La definizione in concreto delle presta­zioni da ricomprendersi nei livelli essenziali è stata poi demandata alla programmazione nazionale (e, in sede di attuazione, a quella regionale e locale), attraverso il piano sanitario nazionale e il piano integrato degli in­terventi e dei servizi sociali, contestualmente e in con­formità con l'individuazione della dotazione finanzia­ria.

Sul piano legislativo, invece, nei due provvedi­menti citati vengono fornite delle indicazioni più gene­rali inerenti ai principi che devono orientare tale ope­razione di determinazione. Tra tali principi, il decreto n. 229/1999 menziona la dignità della persona, il biso­gno di salute, l'equità nell'accesso, la qualità delle cure e della loro appropriatezza, l'economicità nell'impiego delle risorse. Attraverso tali principi si cerca così di de­lineare i caratteri di un sistema sanitario universalistico, capace di individuare delle prestazioni prioritarie da garantire a tutti i cittadini e conciliabili con il rispetto dei vincoli di bilancio (Dirindin N., 2000).

Quanto alla legge quadro sull'assistenza, l'art. 22 indica una serie di misure e interventi ritenuti essenzia­li e da erogare in base alle caratteristiche e ai requisiti fissati nella pianificazione nazionale, regionale e zona­le. Si precisa inoltre che comunque le leggi regionali devono prevedere per ogni ambito territoriale conside­rato almeno l'erogazione di cinque tipologie di <<macro prestazioni 4 >>.

La determinazione dettagliata dei livelli essenziali di assistenza sanitaria è stata demandata a un Dpcm adottato a seguito di intesa con la Conferenza stato­regioni 5, provvedimento nel quale sono elencate tipo­logie di prestazioni incluse nei livelli in questione, e quindi da erogarsi da parte del Servizio sanitario na­zionale (Ssn) a titolo gratuito o in compartecipazione alla spesa, e quelle che sono escluse perché prive dei requisiti dell'appropriatezza e dell'efficacia oppure perché, in presenza di altre forme di assistenza volte a soddisfare le medesime esigenze, non soddisfano il re­quisito dell'economicità nell'impiego delle risorse o non garantiscono un uso efficiente delle risorse quanto a modalità di organizzazione e di erogazione dell'as­sistenza.

 

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4 Si tratta del servizio sociale professionale e segretariato sociale, servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari, assistenza domiciliare, strutture residenziali e semiresidenziali, centri di accoglienza residenziali e diurni di carattere comunitario.

 

5 Dpcm 29 novembre 2001.

 

 

Nell'area sociale, invece, è mancata una determi­nazione parimenti dettagliata, in quanto il Piano na­zionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003 disegna tali prestazioni attraverso l'individuazione di tre dimensioni, ovvero le aree di intervento (responsa­bilità familiari, diritti dei minori, persone anziane, con­trasto della povertà, disabili, droghe, avvio della rifor­ma), le tipologie dei servizi (servizio sociale professio­nale e segretariato sociale, servizio di pronto interven­to sociale, assistenza domiciliare, strutture residenziali e semi-residenziali, centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario) e le direttrici per l'in­novazione (partecipazione attiva della persona nella definizione delle politiche, integrazione degli interventi nell'insieme delle politiche sociali ecc.), evidenziando come tali coordinate «contribuiscono a connotare, 0­gnuna da una diversa angolatura, i possibili contenuti dei livelli essenziali» e come <<le tipologie di servizi e prestazioni costituiscono un'articolazione... degli in­terventi che possono essere programmati e realizzati per rispondere alle esigenze delle aree di bisogno».

Mentre, quindi, in materia sanitaria e sociosanita­ria esiste già una ben definita griglia di prestazioni che sono giuridicamente definibili come livelli essenziali e che si prevede debbano essere erogate dal Ssn al­l'interno di ogni zona o distretto, a livello sociale col­pisce il fatto che il piano sociale parli in termini di «possibilità», senza imporre obblighi o doverosità giu­ridiche in ordine alla realizzazione dei servizi suddetti.

Permane quindi nell'area sociale una maggiore magmaticità della materia, anche in considerazione della natura stessa delle prestazioni socio-assistenziali, che si prestano meno di quelle sanitarie a una puntuale e dettagliata enumerazione.

In entrambi i casi, tuttavia, emerge la tendenza ad affrontare la materia della determinazione dei livelli es­senziali di assistenza non tanto in un'ottica pretensiva, cioè sottolineando gli effetti in termini di tutela dei di­ritti sociali che la determinazione in questione dovreb­be possedere, in quanto finalizzata a potenziare la pre­tesa giuridica del cittadino a ricevere tali prestazioni nel proprio territorio di riferimento. Prevale invece nettamente la sottolineatura del profilo organizzativo e di spesa, in quanto si definiscono, soprattutto in mate­ria sanitaria, standard, tipologie, costi, soggetti deputati a sostenere la spesa, modalità organizzative e ammini­strative.

Sembra quindi corretto concludere che in questi provvedimenti precedenti la modifica del titolo V della Costituzione, l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie e sociali si giocava, per così dire, sul terreno della capacità di governo degli esecutivi, sul piano delle politiche di spesa, sulla dimensione ammi­nistrativa e organizzativa.

Rispetto a tale prospettiva, la scelta di costituzio­nalizzare il riferimento ai livelli essenziali delle presta­zioni sociali sembra di per sé idonea a connotare di nuovi significati la nozione giuridica di livelli essenziali di assistenza e anche le modalità e procedure di deter­minazione degli stessi. Inserita infatti nella Costituzio­ne, la nozione di livelli essenziali delle prestazioni sembra destinata a transitare da elemento della pro­grammazione, da strumento di pianificazione degli in­terventi e della spesa sociale, a nuovo strumento di tu­tela dei diritti sociali, acquistando un'importanza deci­siva nel mutamento delle modalità di attuazione e tute­la dei diritti sociali introdotte dalla riforma del titolo V della Costituzione.

Sorge quindi spontaneo domandarsi in che modo la costituzionalizzazione di tale nozione possa incidere sul suo significato e quale relazione intercorra tra i li­velli essenziali e i diritti sociali menzionati nell' art. 117, secondo comma, letto m, della Costituzione.

 

 

Livelli essenziali delle prestazioni e «contenuto essenziale» dei diritti sociali

 

A tale proposito, vi è chi ha richiamato l'idea in base alla quale ogni diritto sociale di prestazione sia «scomponibile in una serie di situazioni e interessi che possono essere diversamente qualificati e ricevere un grado maggiore o minore di protezione» (Rossi G., Benedetti A., 2001), con la conseguenza che il legisla­tore ordinario potrebbe individuare tra questi quegli interessi che debbono essere garantiti su tutto il terri­torio nazionale, mediante prestazioni ritenute essenzia­li, lasciando alle regioni il compito di disciplinare e organizzare autonomamente la tutela degli altri.

In altre parole, i diritti sociali di prestazione, per effetto dell'intervenuta. modifica costituzionale, «devo­no oggi differenziarsi sotto il profilo strutturale: quan­to a un nucleo essenziale, l'art. 117 introduce un ele­mento di doverosità ... il quale lascia intendere che, pur nel decentramento (pseudo)-federale dello stato u­nitario, quest'ultimo non può rinunciare a garantire ai cittadini condizioni minime essenziali per il dignitoso sviluppo della personalità; quanto a un'ulteriore quota parte, ossia a ulteriori facoltà e poteri del medesimo di­ritto, la Costituzione lascia ampia discrezionalità ora allo stato (art. 117, comma 2, lett o, previdenza socia­le), ora alle regioni (art. 117, comma 3, sicurezza del lavoro, istruzione ecc.) in esercizio di potestà concor­rente ... di apportare la disciplina più idonea, compa­tibile con le risorse disponibili, a garantire un più evo­luto grado di tutela della persona, oltre che dei bisogni essenziali» (Principato L., 2002). La disposizione costi­tuzionale in questione, cioè, sottenderebbe una «co­struzione a gradi» dei diritti sociali a prestazione posi­tiva, precisando che spetta all'autorità statale l'indi­viduazione di quelle prestazioni destinate a tutelare il nucleo essenziale degli stessi, mentre le regioni po­tranno individuare ogni altra prestazione ulteriore ido­nea ad assicurare un maggiore grado di tutela.

Accogliendo tale tesi, si dovrebbe concludere che la disposizione costituzionale in questione sembra i­donea a incidere sul tema dell'effettività dei diritti so­ciali, in quanto viene a riconoscere sul piano delle fonti costituzionali quanto già elaborato per via giurispru­denziale dalla Corte Costituzionale in materia di tutela dei diritti sociali in relazione al principio di gradualità e al contenuto minimo/essenziale dei diritti sociali (Sa­lazar c., 2000).

In particolare, la nozione di livelli essenziali sem­bra riportare in primo piano la problematica del «con­tenuto minimo essenziale» di un diritto, elaborato dalla giurisprudenza costituzionale 6. In più occasioni, infatti, la Corte ha fatto riferimento al concetto di contenuto minimo essenziale al fine di individuare un nucleo del­la situazione soggettiva costituzionalmente protetta che non può subire compressioni o limitazioni a opera del bilanciamento tra valori costituzionali, pena la vio­lazione della disposizione costituzionale che ne impo­ne la tutela. Tale concetto di «contenuto minimo es­senziale» utilizzato dalla Corte è stato soggetto a non poche critiche da parte della dottrina, innanzitutto perché «esso nasce da un orientamento che si auto ali­menta, senza che possa individuarsi una decisione ca­postipite in cui cogliere una definizione volta a circo­scrivere il concetto» (Salazar c., 2000), con la conse­guenza che, in assenza di ulteriori precisazioni, le sentenze della Corte in materia possono essere interpreta­te nella duplice prospettiva: o che il contenuto minimo essenziale coincida con un quid predeterminato che non può patire lesione ad opera di una legge (statale o regionale) pena l'incostituzionalità della stessa; oppure che esso possa essere determinato di volta in volta, alla luce di quanto disposto dalla legislazione di attuazione del diritto e delle esigenze che presiedono all'opera­zione di bilanciamento (Chessa O., 1998). È quindi e­vidente come, in assenza di un intervento chiarificato­re della giurisprudenza costituzionale in ordine alla de­finizione più precisa del concetto stesso di contenuto minimo essenziale di un diritto, sia potenzialmente molto forte il rischio di un uso indiscriminato di tale concetto nella duplice valenza, e cioè non solo come elemento che sottolinei l'incostituzionalità della dispo­sizione legislativa che incida su tale nucleo essenziale, ma anche come strumento che valga a escluderla, mol­tiplicando le soglie oltre le quali «il pubblico potere è collocato in un'area di irresponsabilità» (Principato L., I 2002) .

Se tuttavia si considera che con il nuovo art. 117, secondo comma, letto m, è la stessa Costituzione oggi a fare riferimento a un concetto di essenzialità esplicitamente correlato alla tutela dei diritti sociali, si po­trebbe ritenere che il livello essenziale delle prestazioni cui si riferisce la predetta disposizione costituzionale sia teso a tutelare appunto il contenuto essenziale dei diritti sociali di prestazione costituzionalmente garanti­ti. La teoria giurisprudenziale del contenuto minimo essenziale dei diritti troverebbe così un «appiglio» costituzionale là dove la legge n. 3/2001 ha riconosciuto  al legislatore statale la potestà di determinare quel livello delle prestazioni che dovrebbe ritenersi essenziale  proprio in quanto teso ad assicurare in ogni territorio la tutela del contenuto essenziale dei diritti costituzionalmente riconosciuti7.

     Tale interpretazione sembra confermata dalla prima pronuncia emessa della Corte Costituzionale sulla nuova disciplina del titolo V della Costituzione. Nella sentenza n. 282/2002, infatti, la Corte precisa che: «Quanto poi ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, non si tratta di una  materia in senso stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea a investire tutte le materie, rispet­to alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti»8. Con tale precisazione la Corte conferma che le prestazioni garantite tramite la determinazione dei livelli essenziali si identificano con l'insieme degli interventi che mirano a tutelare appunto il contenuto essenziale dei diritti.

Non è quindi fuor di luogo sottolineare come la tematica del «contenuto minimo essenziale» dei diritti costituzionalmente garantiti potrebbe in futuro conoscere nuovi sviluppi nella giurisprudenza costituziona­le. Sembra anzi ragionevole ritenere che l'art. 117, se­condo comma, letto m, potrebbe diventare in futuro un parametro di costituzionalità assai «sfruttato» nell'am­bito dei giudizi innanzi alla Corte Costituzionale, sia per quelli in via incidentale, quale limite al bilancia­mento tra interessi costituzionalmente tutelati, ma an­che all'interno dei giudizi costituzionali in via principa­le, data la stretta connessione tra definizione dei livelli essenziali e ripartizione delle competenze legislative tra stato e regioni.

È evidente, infatti, che dalle modalità con cui il legislatore statale interpreterà ed eserciterà la compe­tenza relativa alla determinazione dei livelli in questio­ne dipenderà gran parte dell' effettivo contenuto della nuova potestà legislativa regionale in materia di assi­stenza sociale e anche negli altri settori di competenza regionale relativi all'attuazione dei diritti civili e sociali.

Con la costituzionalizzazione, quindi, il concetto di livelli essenziali sembra ormai aver assunto una va­lenza autonoma, solo parzialmente connessa a esigen­ze di natura finanziaria, in quanto esso si configura ormai come il parametro di riferimento in materia di diritti sociali (Balboni E. e altri, 2003).­

 

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6 Corte Costituzionale, sentenza n. 307/1990, in «Giur. cost.», 1874; Corte Costituzionale, sentenza n. 184/1993, in «Foro.it», l, 1329; Corte Costituzionale, sentenza n. 27/1998, in «Giur. cost.», 134.

 

7 Sul punto si vedano anche le considerazioni sul contenuto essenziale svolte da E. Balboni e altri, 2003.

8 Corte Costituzionale, sentenza 19 giugno 2002, n. 282.

 

Livelli essenziali e principio di uguaglianza

 

Più in generale, si consideri inoltre come la rifor­ma del titolo V obblighi a ripensare l'intero assetto dello stato sociale italiano e la garanzia dei diritti socia­li. Innanzitutto, l'introduzione della potestà statale di determinazione dei livelli essenziali appare tale da ride­finire, all'interno delle materie di potestà legislativa e­sclusiva regionale come quella socio-assistenziale, l'ambito di applicazione dell'art. 3, secondo comma, della Costituzione, posto che l'uguaglianza sostanziale tra i cittadini nei servizi sociali dovrà d'ora in poi esse­re ricercata in riferimento ai livelli essenziali che devo­no appunto essere garantiti sull'intero territorio nazio­nale e non anche in relazione alle ulteriori e aggiuntive prestazioni eventualmente fornite dai singoli sistemi socio-assistenziali regionali.

In altre parole, cioè, al di là dei livelli essenziali delle prestazioni socio-assistenziali, tutte le differen­ziazioni di trattamento tra i cittadini residenti in regio­ni diverse dovranno essere ritenute costituzionalmente legittime in quanto naturale conseguenza dell'autono­mia regionale riconosciuta nella materia in questione.

Ciò ripropone l'annoso dibattito tra federalismo e stato sociale, tra uguaglianza e autonomia, la cui solu­zione delineata nel nuovo titolo V ha destato non po­che preoccupazioni nel mondo scientifico. Su queste problematiche, infatti, sono andate delineandosi so­stanzialmente due posizioni interpretative. Da un lato, coloro che tendono a salvaguardare l'operatività degli strumenti che nel precedente sistema assicuravano l'unità e l'uguaglianza all'interno del decentramento politico (quali l'interesse nazionale e la funzione statale di indirizzo e coordinamento), sottolineando i rischi in termini di garanzia e tutela dei diritti sociali che, in mancanza di tali strumenti, il nuovo ordinamento co­stituzionale potrebbe determinare. Dall'altro, chi giu­dica invece con favore la regionalizzazione dell'at­tuazione dei diritti sociali, richiamando gli effetti posi­tivi della maggiore vicinanza del governo ragionale ai bisogni della collettività e alle attività delle istituzioni del pluralismo sociale, evidenziando come «il parados­so del metodo implicato nel regionalismo dell'uni­formità è stato quello di non essere riuscito, nonostan­te i vari decenni d'applicazione, a garantire l'unifi­cazione delle condizioni di vita» (Antonini L., 2003).

In effetti se, come dimostrano le esperienze di al­tri ordinamenti, ampiamente evidenziate dalla rifles­sione scientifica (Luciani M., 1997), la maggiore auto­nomia regionale in materie ad alta rilevanza sociale non può in se stessa ritenersi antitetica al principio di uguaglianza, il fatto che il nuovo quadro costituzionale ridefinisca l'ambito di applicazione dell'uguaglianza nell'attuazione dei diritti sociali ai livelli essenziali delle  prestazioni rende particolarmente delicata l'operazione di determinazione dei livelli in questione, i quali do­vrebbero intendersi come «condizioni necessarie per rispondere a bisogni (di promozione, mantenimento e recupero delle condizioni di salute della popolazione) e a un giudizio tecnico di appropriatezza rispetto alla valutazione del bisogno e all'efficace organizzazione dell'offerta» (Vecchiato T., 2001), e non come presta­zioni minimali o di base, cosa che potrebbe invece ri­definire in peius il contenuto effettivo della garanzia costituzionale di tali diritti e penalizzare i valori fon­damentali che ispirano il modello di stato sociale deli­neato nella prima parte della Costituzione.

È quindi necessario che il concetto stesso di es­senzialità sia ben interpretato dal legislatore statale, onde evitare che sia nei fatti assimilato e confuso con l'idea dello standard minimo uniforme, cosa che inve­ce porterebbe a una «torsione» dello stato sociale ita­liano in senso residuale.

D'altro canto, si deve anche sottolineare che, in base all'autonomia, i nuovi statuti regionali potranno, una volta assicurato il livello essenziale stabilito dallo stato, anche «aumentare la portata e la garanzia sia dei diritti civili che di quelli sociali» (Rossi E., 2002), in­troducendo una disciplina di maggior favore. Perché, quindi, le nuove norme costituzionali non portino a una mera legittimazione delle differenze regionali am­piamente presenti in tema di attuazione e tutela del di­ritto all'assistenza sociale ex art. 38 della Costituzione (Fargion v., 1997), la differenziazione consentita do­vrà muoversi, per così dire, verso l'alto, permettendo alle regioni che ne sono in grado di finanziare e pro­muovere ulteriori servizi, fermo restando la garanzia per tutti i cittadini di ricevere quelle prestazioni fon­damentali e appropriate per fornire risposte ai propri bisogni socio-assistenziali.

 

I livelli essenziali dalle prestazioni ai diritti

 

Le considerazioni suddette portano a concludere che la clausola prevista all’art. 117, II comma, lett. M, della Costituzione potrà determinare sviluppi importanti nel campo dell’attuazione, tutela ed esigibilità dei diritti sociali.

L'inserimento di tale clausola nella Costituzione, infatti, potrebbe incidere sulla nozione giuridica stessa di livelli essenziali i quali, come sembra emergere dalla recente sentenza n. 282/2002 della Corte Costituzio­nale, possono essere interpretati come l'insieme delle prestazioni che mirano a tutelare il «contenuto essen­ziale dei diritti sociali», la cui violazione deve essere sanzionata in quanto contrastante con le disposizioni della nostra Costituzione, che impongono invece il riconoscimento e la tutela dei diritti sociali. Poiché, in base a quanto chiarito dalla stessa Corte Costituziona­le, il contenuto essenziale dei diritti sociali non può subire compressioni ad opera di altri interessi costitu­zionalmente rilevanti, compreso il vincolo finanziario, ciò potrà spostare in futuro il concetto di livelli essen­ziali dal piano della mera determinazione delle prestazioni e dei finanziamenti al piano della tutela effettiva dei diritti sociali, dando vita a un importante nuovo strumento di tutela dei diritti in questione innanzi alla Corte Costituzionale.

Si può inoltre ipotizzare che la costituzionalizza­zione della nozione di livelli essenziali dovrebbe in fu­turo anche rafforzare l'esigibilità dei diritti sociali, po­sto che qualora una prestazione fosse compresa nei li­velli suddetti il cittadino potrà vantare nei confronti della stessa una pretesa giuridicamente rilevante, po­tendo fare appello, se del caso, all'intervento sostituti­vo del governo nazionale ai sensi dell'art. 120 della Costituzione, qualora regione ed enti locali competenti non fossero in grado di garantirgli l'erogazione della prestazione in questione. La disposizione costituziona­le citata, infatti, prevede espressamente che il Governo possa sostituirsi a organi delle regioni e degli enti locali qualora lo richiedano esigenze di «tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali»9.

Il concetto di livelli essenziali delle prestazioni di­viene così la chiave di volta del nuovo welfare italiano, poiché è su tale clausola che sembra fondarsi il tentati­vo intrapreso dal legislatore costituzionale con la ri­forma del titolo V della Costituzione di conciliare la differenziazione e il decentramento politico e ammini­strativo con il principio di uguaglianza e l'effettiva tu­tela dei diritti sociali.

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9 Costituzione, art. 120, II comma.

 

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