Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Difficoltà e disturbi dell'apprendimento

Insegnanti impreparati a riconoscere sintomi e differenze. Circa 1 studente su 5, nel corso della vita scolastica, ha bisogno dell’aiuto di un esperto. L'Osservatorio nazionale di Firenze monitora le conoscenze di genitori e docenti

FIRENZE - Bocciature, ritiri dalla scuola, fatica a stare al passo con gli altri allievi: circa uno studente su cinque in Italia, nel corso della sua vita scolastica, ha bisogno dell'aiuto di un esperto. Il dato è ritenuto significativo e preoccupante dagli studiosi dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l"adolescenza di Firenze che da questa considerazione sono partiti per avviare un’indagine sui problemi delle difficoltà di apprendimento nelle scuole, pubblicata recentemente nei "Quaderni”. Non si tratta di un’indagine quantitativa; l’obiettivo piuttosto era verificare la percezione del fenomeno da parte di chi vive a stretto contatto con i minori  fra 6 e 14 anni, durante cioè gli anni della scuola. Questionari mirati sono stati sottoposti a insegnanti e dirigenti scolastici delle scuole primarie e delle scuole secondarie di I grado, operatori dei servizi sociali e genitori.  

Un passo indietro. Per "difficoltà di apprendimento, spiega la dottoressa Daniela Lucangeli professore ordinario di Psicologia dello sviluppo, Università di Padova, uno dei curatori dell’indagine, si intendono diverse “tipologie di problematiche scolastiche che possono impedire, ostacolare o semplicemente rallentare il normale processo dell’apprendere”. Non sono dunque difficoltà associabili a patologie, ma riguardano sia lo studente (caratteristiche della personalità, stile di vita, motivazione) che il contesto (caratteristiche socioculturali dell’ambiente, aspetti familiari, qualità dell’istituzione scolastica). Altra cosa invece sono i “disturbi specifici dell’apprendimento”, come dislessia, discalculia e iperattività, che, nella quasi totalità dei casi, sono di natura congenita e che “rappresentano una sorta di elemento costitutivo che accompagna il bambino fin dalle prime fasi del suo apprendimento”. In questo caso - spiega la dottoressa Lucangeli – il bambino “deve acquisire nuove abilità, come lettura, scrittura e calcolo, partendo da un assetto neuropsicologico che non favorisce l’apprendimento naturale di quei costrutti”. Gli obiettivi della rieducazione e dell’intervento sono necessariamente differenti. Ma cosa ne sanno gli adulti, soprattutto le figure più importanti nel processo di apprendimento? E quanto sono in grado di distinguere i momenti di difficoltà da disturbi specifici?

Il 77% del totale degli insegnanti intervistati ha risposto in modo inadeguato alla domanda "Che differenza c’è tra difficoltà di apprendimento e disturbi specifici?": il 57% degli docenti della scuola primaria ritiene - in modo errato - che i disturbi specifici precedano le difficoltà di apprendimento; solo il 26% degli insegnanti della scuola primaria risponde esattamente. “Il dato – sottolinea Daniela Lucangeli - è ancora più allarmante se si considera che l’insegnante della scuola primaria è la figura professionale che, forse per prima e più di tutte le altre, si trova coinvolta in problematiche di questo tipo di cui, nella maggioranza dei casi, non comprende adeguatamente l’origine”. I dati che riguardano gli insegnanti della scuola secondaria di I grado non sono molto diversi: il 59% ritiene che i disturbi specifici precedano l’instaurarsi delle difficoltà di apprendimento ed è ancora più bassa la percentuale che risponde correttamente alla domanda (19%), meno di 1 insegnante su 5.  L’8,5% dell’intero campione non riconosce nessuna differenza tra disturbi specifici e difficoltà di apprendimento, il  2,2% non sa rispondere. Non solo; l’indagine mostra che la maggior parte degli insegnati ritiene che “le difficoltà e i disturbi dell’apprendimento siano un problema molto raro e quasi mai riscontrabile” e che “i disturbi dell’apprendimento dipendano sia da una base neuropsicologica sia da svantaggio socioculturale”. Solo 11% degli insegnanti identifica correttamente le cause. 

Non va meglio con gli insegnanti di sostegno: l’indagine ne ha coinvolti in totale 279, di cui 143 appartenenti alla scuola primaria e 136 alla scuola secondaria di I grado. “Dalle risposte – sottolineano gli osservatori - si nota come gli insegnanti di sostegno, che forse dovrebbero conoscere più degli altri problematiche e disturbi legati all’apprendimento, non sembrano possedere in realtà maggiori o più chiare conoscenze. Permangono  i numerosi pregiudizi riscontrati nella precedente analisi e molti di essi sono addirittura più evidenti”. La percentuale delle risposte corrette è molto bassa, anche se dimostra, in generale, qualche conoscenza in più: il 20,4% per gli insegnanti di sostegno contro il 16,5% per gli altri insegnanti. Tuttavia secondo i dirigenti scolastici sono principalmente i docenti a evidenziare la presenza di bambini con disturbi specifici o difficoltà di apprendimento. “Questo dato – si legge nel rapporto - risulta abbastanza sconcertante: sebbene i dirigenti scolastici siano convinti che gli insegnanti possano identificare i bambini con disturbi dell’apprendimento e/o con difficoltà di apprendimento, in realtà gli insegnanti spesso non sono in grado di individuarli in quanto mancano di conoscenze fondamentali in questo campo” 

Hanno più problemi i maschi delle femmine…Chi va male a scuola mostra scarsa autostima, paura del fallimento e ansia nell'eseguire i compiti e spesso nutre atteggiamenti ostili e aggressivi verso genitori e insegnanti

Le difficoltà di apprendimento si manifestano più nei maschi che nelle femmine (il rapporto è di 2 a 1) e possono insorgere già dalla prima classe della scuola primaria se non, in alcuni casi, anche dalla scuola dell’infanzia. In questi anni in Italia diverse studi hanno cercato di capire chi sono i bambini che vanno male a scuola, ad oggi identificati prevalentemente sulla base delle valutazioni scolastiche e dei giudizi dei docenti. L’alunno con difficoltà scolastiche assume spesso nei confronti della scuola comportamenti ostili, aggressivi, di chiusura e di rifiuto dello studio, mostra atteggiamenti di noia, distrazione, svogliatezza ed appare indifferente agli insuccessi. Altre ricerche evidenziano che gli alunni con difficoltà scolastiche appartengono generalmente a famiglie numerose in cui la madre lavora e in cui c’è un basso livello d’istruzione oppure appartengono a famiglie che manifestano un atteggiamento negativo nei confronti della scuola e che presentano una condizione sociale svantaggiata. Molti tuttavia provengono da ambienti familiari con status socioeconomico e culturale medio-alto. Difficoltà emergono anche in famiglie con situazioni di disagio legate a divorzi o alla morte di uno dei genitori. In tutti i casi il tratto comune sembra essere la prevalenza di "atteggiamenti educativi estremi”: alcuni sono indifferenti o troppo indulgenti, altri autoritari.

La maggior parte degli alunni con insuccesso scolastico presenta caratteristiche simili: scarsa autostima, specialmente nei riguardi delle proprie capacità scolastiche, paura del fallimento e ansia nell’eseguire i compiti. Questi allievi mostrano poca perseveranza nell’eseguire il compito e tendono ad abbandonare il lavoro assegnato non appena si presenta una difficoltà; in genere non hanno buoni rapporti con i coetanei e stringono rapporti di amicizia con chi ha loro stesse difficoltà. Anche con i loro genitori e con gli insegnanti hanno difficoltà di rapporti e manifestano spesso atteggiamenti ostili, comportamenti aggressivi ma anche tendenze passive, pigrizia, apatia. Ma quanti sono gli alunni che vivono una situazione di difficoltà? Ad oggi si fa riferimento ai dati ufficiali del Ministero dell’Istruzione, che annualmente rileva gli alunni non valutati, bocciati e in ritardo rispetto all’età scolare, ma secondo gli esperti “è impossibile quantificare le difficoltà scolastiche attraverso la percentuale degli alunni bocciati o non valutati”.

Discalculia e dislessia, queste sconosciute….Per questi alunni ''l’aiuto istituzionale offerto dalla scuola è ancora piuttosto modesto, nonostante ci siano maggiori possibilità di intervenire e risolvere il problema''

La discalculia, questo sconosciuta. Colpisce circa 1 alunno su 50 per classe, ma gli insegnanti in materia non hanno le idee chiare, sia quelli della scuola primaria che quelli della scuola secondaria di I grado. Solo poco più del 40% sanno che si tratta di un disturbo che riguarda soltanto le difficoltà di calcolo. Il 10% non sa di che disturbo si tratti e poco più del 30% conosce l’incidenza del fenomeno. Non molto difformi i dati sulla dislessia, forse è la più conosciuta: quasi il 60% degli insegnanti è a conoscenza del fatto che la dislessia può apparire sia in specificità che insieme con altri disturbi, anche se una percentuale non trascurabile (circa il 18%) ritiene che sia un disturbo solo specifico non associato ad altri disturbi. Nemmeno il ritardo mentale sembra essere ben identificato rispetto ai disturbi dell’apprendimento. Solo il 44,1% riconosce correttamente che il ritardo mentale è primario ai disturbi di apprendimento e quasi l’8% ritiene che dipenda da svantaggio socioculturale. I disturbi di attenzione poi, nella stragrande maggioranza dei casi, non sono nemmeno riconosciuti come disturbi dell’apprendimento; solo 1 insegnante su 5 li riconosce come tali. È significativo secondo gli esperi il fatto che circa il 40% consideri che i disturbi di attenzione siano legati a problemi caratteriali, “quando, invece, si tratta di due tipi di disturbi assolutamente diversi”. Il 21% ritiene erroneamente che i disturbi di attenzione siano in relazione ad aspetti socioculturali e l’8,1% che caratterizzino il ritardo mentale. 

In base alla legge attuale solo disabili o soggetti con gravi disturbi di personalità possono beneficiare di un aiuto diretto all’interno della scuola attraverso l’insegnante di sostegno. “Nei casi meno gravi di difficoltà di apprendimento l’aiuto istituzionale offerto al bambino risulta ancora piuttosto modesto, nonostante ci siano maggiori possibilità di intervenire e di limitare, se non risolvere, il problema. -  osservano gli esperti - Attualmente si occupano di questi bambini operatori pedagogici e psicologi, quando esistono e quando è possibile all’interno della scuola, oppure gli insegnanti di sostegno. Anche gli insegnanti di classe, se sensibilizzati, possono rivolgere una specifica attenzione ai bambini con disturbi dell’apprendimento. Purtroppo, però, non sempre queste figure professionali, che dovrebbero o comunque potrebbero avere un ruolo importante nel trattamento di questi disturbi, si trovano in condizione di poter intervenire”.

Il clima affettivo della famiglia ''determinante'' per il rendimento: concordi docenti e insegnanti di sostegno

Maggiori le difficoltà se è basso il livello di scolarizzazione dei genitori. Pesano anche la mancata partecipazione della famiglia alla vita scolastica e la mancanza di condivisione dei metodi d'insegnamento

Docenti (71,5%) ed insegnanti di sostegno (70,2%) concordano nell’affermare "che il clima affettivo familiare è determinante nell’insorgere o nell’accentuarsi di difficoltà di apprendimento”. Inoltre il 44% dei docenti della scuola secondaria di I grado, il 38,9% della scuola primaria e il 42,7% degli insegnanti di sostegno affermano che “sempre” e “quasi sempre” le difficoltà di apprendimento sono collegate al basso livello di scolarizzazione dei genitori. Ne è emerso anche che il 38,8% del campione dei docenti curricolari ritiene che le difficoltà di apprendimento possano essere “sempre” e “quasi sempre” collegate al comportamento della famiglia che non condivide i metodi d’insegnamento dei docenti e il 33,1% pensa che lo sono “per alcuni casi”; per il 34,8% del campione degli insegnanti di sostegno lo sono “sempre” e “quasi sempre” e per il 34,1% “ogni tanto”.

Tra le cause che incidono sul rendimento dei figli, secondo l’indagine, anche la disponibilità dei docenti ad accogliere la soggettività degli alunni, la mancata partecipazione della famiglia alla vita della scuola, l’elevato numero di alunni per classe e non ultime le problematiche relative agli alunni immigrati (33,2%). Secondo gli insegnanti è “importante intervenire tempestivamente per cercare di risolvere i casi di difficoltà di apprendimento” e sono gli stessi docenti ad esprimere il bisogno di acquisire maggiori competenze sui meccanismi funzionali dell’apprendimento e di essere supportati nella loro funzione da servizi e personale qualificato. Per questo secondo il rapporto sarebbero utili corsi di formazione e aggiornamento specifici per fornire ai docenti competenze per riconoscerne i sintomi più significativi e individuare i casi e l’ntegrazione nel curricolo formativo di discipline specifiche sulle dinamiche dell’apprendimento. (cch)

Indirizzo web: 

http://www.minori.it
http://www.cittasostenibili.minori.it

Centro nazionale documentazione infanzia e adolescenza

Il Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza è stato istituito con la legge 23 dicembre 1997 n.451 e svolge funzioni di supporto all'Osservatorio nazionale per l'infanzia. Per lo svolgimento delle funzioni del Centro, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli Affari Sociali ha stipulato una convenzione con l'Istituto degli Innocenti di Firenze a cui è demandata la gestione organizzativa. Il Centro nazionale istituito dalla L. 451/97 assorbe finalità, compiti e risorse del Centro nazionale per la tutela dell'infanzia, operativo dal marzo 1996, di cui all'art.9 del Decreto del Ministro per la famiglia e la solidarietà sociale del 20 marzo 1995. La continuità tra gli organismi è completa in quanto la sede è stata sempre presso l'Istituto degli Innocenti di Firenze che, mediante convenzioni con il Dipartimento degli Affari Sociali, ne ha gestito le funzioni.


La pagina
- Educazione&Scuola©