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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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La commissione di comportamenti penalmente rilevanti

Non frequentemente il disagio giovanile porta alla commissione di comportamenti devianti, in alcuni casi di interesse penale. Molto spesso si tratta di comportamenti solo occasionalmente devianti e pertanto non preoccupanti perché il ragazzo, crescendo, trova un suo equilibrio e si integra nella comunità; altre volte invece la devianza diviene sintomo di una interruzione o deviazione del processo di personalizzazione e di socializzazione e richiede pertanto interventi adeguati di sostegno e recupero.

La cosiddetta criminalità minorile sembra – stando alle enfatizzazioni dei mezzi di comunicazione di massa ed alle preoccupazioni espresse dai politici – un fenomeno in forte espansione che esige interventi drastici per poterlo controllare. In realtà i dati statistici non legittimano affatto i drammatici gridi di allarme:

 I diritti di cittadinanza in alcune situazioni di esclusione sociale

 Distribuzione territoriale degli ingressi nei Centri di Prima Accoglienza nell’anno 1999 per nazionalità e sesso.

 

Italiani

Stranieri

Totale

 

MF

F

MF

F

MF

F

Italia Nord -  Occidentale

239

18

854

229

1.093

247

Italia Nord -Orientale

152

6

271

98

423

104

Italia Centrale

302

15

855

469

1.157

484

Italia Meridionale

769

20

211

118

980

138

Italia Insulare

511

9

84

40

595

49

Totale Italia

1.973

68

2.275

954

4.248

1.022

Fonte:  Ministero della Giustizia

le denuncia nei confronti dei minori italiani maggiori di 14 anni sono significativamente diminuite (contro le 31.879 denuncie dell’anno 1991 si è avuto un progressivo e costante decremento che ha portato le denuncie, nel 1998, a 27.323). Ed è anche significativo che la percentuale dei minori che commettono delitti nel nostro paese sia di gran lunga inferiore a quella di altri paesi europei: nell’anno 1998, su 1.000 minori imputabili, la percentuale di minori denunciati è stata del 43,5 in Francia, dell’81,9 in Germania, del 33,0 in Inghilterra e Galles e solo 9,7 in Italia.

Distribuzione territoriale degli ingressi in Istituto Penale Minorile nell’anno 1999, per nazionalità e   sesso

 

Italiani

Stranieri

Totale

 

MF

F

MF

F

MF

F

Italia Nord -  Occidentale

95

8

393

138

488

146

Italia Nord -Orientale

45

0

117

0

162

-

Italia Centrale

82

8

360

177

442

185

Italia Meridionale

366

6

112

50

478

56

Italia Insulare

283

0

23

0

306

-

Totale Italia

871

22

1.005

365

1.876

387

Fonte: Ministero della Giustizia

            L’attuale opzione dell’ordinamento, fondata su di un recupero in libertà di un processo educativo interrotto, senza etichettature e senza segregazioni ingiustificate, viene oggi fortemente messa in discussione e sono stati già presentati in Parlamento Disegni di Legge per ridurre l’età dell’imputabilità e per superare quella politica dei Tribunali  per minorenni che viene che viene definita come “paternalistica”, buonista, sostanzialmente “lassista”. Ma, a parte la falsità della premessa sullo “spaventoso “ aumento della criminalità, non appaiono condivisibili neppure le due rilevazioni su cui le proposte di modifica si radicano.

            Non è vero che occorre ridurre l’età imputabile perché i giovani oggi sono più precocemente maturi: è vero che assistiamo ad una infanzia precocemente adultizzata ma è anche vero che è assai presente nella nostra vita sociale una adolescenza prolungata e prorogata. La combinazione di questi due fenomeni non rende più agevole un processo di effettiva maturazione ma anzi lo complica notevolmente: in una società complessa come quella odierna – caratterizzata da un progressivo depauperamento della funzione educativa e da una assai ritardata assunzione di responsabilità – il giovane è solo apparentemente più capace che nel passato di opzioni autenticamente libere e veramente coscienti mentre è spesso fortemente conformista, narcisisticamente ripiegato su stesso e sulle proprie più banali esigenze, condizionato dalle molte onnipotenze infantili, profondamente confuso perché riceve continuamente messaggi contraddittori. Non si diviene adulti perché si conoscono molte cose ma solo se si sa dare un senso alle cose che si sanno.

            Non è neppure vero che l’uso della pena carceraria costituisca da una parte una remora alla commissione dei reati e dall’altra un valido strumento di recupero. Sul primo versante è da osservare che bisogna essere psicologicamente adulti per orientare le proprie azioni non sulla base delle sollecitazioni del momento ma prevedendo con acutezza e razionalità tutte le conseguenze connesse al proprio comportamento: il giovane per sua natura è poco razionale, imprevidente, impulsivo, facile preda della suggestione del momento, portato alla trasgressione, spinto dal suo senso di onnipotenza ad essere sicuro che a lui non può venire nessuna conseguenza negativa dalla sua azione intrapresa.

            , sul secondo versante, appare condivisibile la tesi che la detenzione carceraria, per la segregazione e la sofferenza della privazione della libertà imposta, faccia rinsavire il reo e contribuisca alla sua riabilitazione. Innanzitutto perché è una vecchia concezione quella che vede nella pena e nella sofferenza imposta l’unico strumento per riaffermare la giustizia, retribuire la colpa, assicurare la restaurazione dell’ordine sociale violato: la società è più garantita e riparata se, quanto meno nella maggioranza dei casi, il trattamento usato fuori della segregazione carceraria comporta il recupero della personalità in formazione. Poi perché la segregazione in carcere consente alla criminalità organizzata di fare opera di proselitismo e comunque è nel carcere che si realizzano forme di collegamento delinquenziale che diverranno concretamente operative al momento della riconquista della libertà.

            La carcerazione diviene spesso assai controproducente sia perché il deviante è spesso un soggetto in difficoltà e alla ricerca di una identità ed un ruolo, e la sua segregazione con gli altri egualmente etichettati può comportare una spinta addizionale al delitto, pensandosi il soggetto come delinquente e organizzando il suo comportamento in conformità; sia perché la segregazione del condannato dalla società non rimuove le cause che stanno all’origine del comportamento deviante, con la conseguenza che, a pena espiata, il nuovo impatto con la vita sociale riprodurrà, spesso in modo aggravato, la situazione di conflitto preesistente.

            Bisogna quindi riconoscere che la strada della mera e arcigna repressione è una strada cieca: essa o si limita ad assicurare soltanto che, per un breve periodo, persone con difficoltà siano eliminate dal consorzio sociale – ma poi ritorneranno con maggiore aggressività – o impone una continua escalation di interventi sempre più segreganti e di durata sempre più lunga, che crea le premesse di una irrecuperabile devianza sempre più accentuata.


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